Il lavoro dellattore si esprime sotto il segno di un individualismo dalle diverse declinazioni e quello dellacteur insoumis è il primo modello di una serie di caratterizzazioni interpretative, elaborate dal critico e storico del teatro Georges Banu, autore prolifico di cui si conoscono in Italia almeno Mémoires du théâtre (1987) e Peter Brook (1991). Il libro non è un trattato, ma una memoria viva dedicata allarte dellattore del secondo Novecento. «La fonction de lacteur est esplicite, mais son exercice reste énigmatique, imprévisible, fuyant. Pour en parler il ny a pas de projet généraliste qui tienne» (p. 7).
Elusa la sistematicità dellindagine, si propone un «modèle mental» che orienti la ricerca sul soggetto nello spazio e nel tempo. È la categoria dellacteur insoumis quella determinante e posta in rapporto alle altre e diverse in cui si articola il saggio. Insoumis è lattore indisciplinato, indocile o ribelle, la cui creatività non sesprime in esclusiva complicità e collaborazione col regista-leader. La sua centralità originale lo imporrà come acteur-poète.
Il primo capitolo serve allautore per circoscrivere, anche per via negativa, i caratteri tipici del suo attore prediletto e stabilire graduatorie non per merito o valore, ma per profondità dimpressione sulla memoria che diventa criterio di scelta e giudizio del critico militante e dello storico, portatore «dun vécu de spectateur pensif aussi bien quengagé […]. Ce livre entend se placer à ce carrefour propre à lacteur européen déchiré traditionellement entre les impératifs préalables – le texte, le personnage – et lautonomie de son indentité propre, dartiste et de sujet» (p. 8).
Ulteriore distinzione fra gli interpreti emerge osservandoli nel loro scambio col regista. Così, lattore séduit crea in armonia con un direttore a cui riconosce carisma e autorevolezza. Lattore insoumis resiste invece al suo regista, «cultive une relation autre, de tension et confrontation». Sul piano più propriamente tecnico ed espressivo, lattore viene ora vagliato secondo la tendenza alla «composition» del personaggio o alla «confession» della propria realtà più intima. Quindi si avanzano anche criteri e/o parametri di individuazione e classificazione più oggettivi, quali lindice biographique, il degré dappropriation o il coéfficient dinsoumission. Però lautore ha già ammesso come preminente «la trace deposée sur le spectateur» da parte di «ces insoumis dexception [qui] deposent sur nos mémoires les sceaux indélebiles de leur révolte» (p. 19).
Levento memorabile deriva inoltre dallimpronta, acustica, ritmica ed energetica, lasciata dalla prestazione attorale (pp. 23-25). Anche nelluso della lingua, lacteur insoumis si distingue, per cui esempi di trasgressione linguistica si incontrano in attori quali Serge Merlin, Jutta Lampe, Madeleine Marion, Marcel Bozonnet, André Wilms e Bruno Ganz. In negativo, vi sono attori che entrano in scena senza laura o il fulgore delle stars, come Philippe Clévenot, Gérard Desarthe, Valérie Dréville, Yoshi Oida, Sotigui Kouyaté, tutti comunque segnati dallo sforzo di vivere lo spazio scenico e di recitare, senza la garanzia duna vocazione innata e perciò gratuita. Per ciascuno si manifesta unoscillazione perenne: «Écartelé, il se trouve au croisement du déliberé et de linné. Cela le rend unique, mais sans la sauvegarde de cet équilibre précaire il peut basculer dun côté ou de lautre» (p. 27). Risiede in questo il marchio dellattore europeo, opposto a quello orientale. E proprio la ricerca estesa al mondo orientale denuncia il moto di fascination e déloignement per cui Banu è passato, prima di tornare alle origini nelle quali potersi meglio ritrovare.
Tante e tali premesse guidano ai restanti capitoli, quasi complementi dellintero panorama attorale contemporaneo. In esso, si può riconoscere lacteur européen, animato dalla sfida verso un ideale acquisito e rimesso costantemente in discussione. Nella dinamica europea è lodevole la peculiarità che «consiste à dégager des lignes de force sans pour autant les ériger en table des lois ou répertoire des signes» (p. 40). Per lacteur étranger, il paragone sapplica rispetto a una patria cangiante, per cui si toccano le problematiche delle distribuzioni multietniche e della lingua madre, quale sfondo creativo condizionante scarti e invenzioni dogni interpretazione. Rischi e vantaggi di accostamenti e meticciati a scopo artistico sono esaminati nellestetica e nella pratica di alcuni artisti, da Peter Brook e Ariane Mnouchkine a Luc Bondy e Omar Porras; da Strehler e Vitez a Barba. Personalità, quella dellitaliano apolide di Holstebro, molto citata dal saggista. In Lacteur unique ou le double du metteur en scène, si analizzano i risultati e la fisionomia di grandi attori maturati in seno a grandi compagnie dirette da sommi registi. La loro interdipendenza nel successo è totale: «Lacteur unique personnalise une identité double, une attente conjointe, une perspective commune» (p. 85).
Si indicano casi singolari di collaborazione in cui leccezionalità dellattore va a sommarsi in sinergia col progetto collettivo guidato da un regista (p. 94). Lo sguardo attento al comportamento e alla concretezza scenica, coglie certe modalità di presenza fisica come messaggi polemici e così, in Lacteur de dos et de face: deux postures polémiques, riconosce nel voltaschiena di Edoardo De Filippo il segno inequivocabile duna postura polemicamente significativa (p. 101). In riscontro, coglie lemergenza della «frontalité chorale» (p. 106). Nella casistica, Carmelo Bene ha un posto di rilievo, per lesemplarità del suo teatro vocale «frontale», che secondo il critico realizzerebbe lincarnazione dellinsoumission con un potere «non seulement politique mais également héroïque de la frontalité monologale» (p. 110). Lacteur et le corps travesti è esauriente nellesame dei casi frequentati e delle relative latenze e i diversi significati conseguiti o ipotizzati. Dal nu del corpo umano essenziale, al suo contrario in travesti, si toccano gli estremi dellepurazione e della mistificazione.
Il regno del manierismo è attraversato con limpiego ostentato dellartificio, di cui Banu riscontra luso più recente nelle personalità di Vitez, Wilson e Strehler, in sodalizio con gli attori Redjep Mitrovitsa (in Hernani), Isabelle Huppert (in Orlando) e Valentina Cortese (nel Giardino dei ciliegi). Sulla superficie piatta della scena, «le corps saffirme comme graphisme […]. Corps construit, jamais corps reproduit. Corps insoumis à légard du réel et ses contraintes» (pp. 130-131). Di fronte poi alla vecchiaia (Le vieil acteur ou le temps sauvegardé), la riflessione delinea la figura dellacteur-poète, nel quale è peculiare la coesistenza di senso della morte e presenza memoriale tra finzione e autobiografia. Simile al vero poeta, «il saffranchit du rôle sans lanéantir» (p. 163), per ricollegarsi a una definizione iniziale: «Celui-ci fournit, par son jeu, le propre dune œuvre vivante qui acquiert ici les données dune œuvre dart, éternelle et subjective» (p. 20). Ryszard Cieslak chiude la galleria con un ritratto solitario, emblematico duna storia e di unepoca: «Cieslak est lacteur dans lequel sincarna plus quun personnage, une esthétique, celle de Grotowski» (p. 167).
Il saggio, scritto in prima persona, testimonia infine duna giovanile stagione, di attrazione e impegno per la recitazione, finita per palese difetto di doti nel protagonista. In Postface. Pourquoi je ne suis pas devenu acteur, Banu ricorda infatti lesperienza e ne trae una sorta di testamento, in un esercizio impressionistico ricco di analogie e metafore, a sua volta vicenda critica e poetica offerta a sé e ai lettori. Lattore mancato ha forse conseguito la sua migliore funzione creativa, nel suo compito di spettatore stupito e in dialogo perenne con la scena: «Je suis fait autant de létoffe des spectacles que jai vus que des échanges que jai eus» (p. 184).
di Gianni Poli
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