La
copertina dedicata a Reality di Matteo Garrone, vincitore del Gran
Premio della Giuria al Festival di Cannes 2012, «Segnocinema» n° 176, dopo
labituale “Question & Answer” con i lettori, apre la sezione critica con Cera una volta un immaginario – La
riscoperta del cinema dOltralpe. Nellarticolo si sottolinea come il
mercato cinematografico italiano della stagione 2011-2012 abbia visto trionfare
due film di produzione francese: Quasi
amici (2011) di Eric Toledano e Olivier Nakache e The Artist (2011) di Michel
Azanavicius. Il successo riscontrato è stato tale da indurre i distributori
a importare altri titoli prodotti oltralpe in pochi mesi. Probabilmente, scrive
Roberto Chiesi, una prima ragione di questo fenomeno va ricercata nel fatto che
si tratta di prodotti di buona fattura, con ottimi attori, che colmano così un
vuoto della produzione media italiana, «triste emanazione della televisione
nostrana». Se questa si profila oggi come una nuova tendenza, tuttavia «[…]
fino a trentanni fa, lesistenza di un “cinema francese popolare” in Italia
non era uneccezione anomala ma un fenomeno che apparteneva a una lunga
tradizione e – sia pure in minor misura rispetto alle produzioni statunitense e
italiana – godeva di una fertile continuità pluridecennale, grazie anche alla
formula delle coproduzioni». «Dallinizio degli anni Cinquanta fino alla fine
degli anni Settanta, infatti, il cinema francese è stato visto in Italia da
milioni di spettatori e costituiva un fenomeno al tempo stesso colto e
popolare». Il noir e il polar, la commedia, il feuilleton di cappa e spada, il filone
giudiziario e quello politico, sono alcuni dei generi più in voga nel
trentennio di riferimento. E naturalmente, la Nouvelle Vague, soprattutto di Truffaut e Chabrol. «Questa continuità di generi, mitologie, attori, registi,
sceneggiatori, cessò quasi bruscamente in Italia a partire dalla stagione
‘78-79 […] in concomitanza con lemorragia del mercato cinematografico […].
Paradossalmente proprio nel ‘78-79 si
registrò limmenso successo di una commedia di Edouard Molinaro, Il vizietto
(1978), che rese finalmente popolare il geniale Michel Serrault […]»: il film, rileva Chiesi, può pertanto essere
visto come una sorta di requiem involontario. Il ritorno del successo del
cinema francese nel nostro Paese è dunque probabilmente imputabile al fatto che
mentre lindustria transalpina grazie a leggi adeguate e a unintelligente
strategia distributiva e organizzativa, si è mantenuta florida, altrettanto non
è accaduto in Italia, dove si sono pertanto creati i presupposti per un ritorno
in grande stile.
In
Imparare il cinema: dalla parte degli
studenti, sulla scia del dibattito – apertosi sulle pagine dello scorso
numero – circa linsegnamento del cinema in Italia, Paolo Cherchi Usai esamina
il tema, stavolta dal punto di vista degli studenti: «Come simpara?» è la
domanda provocatoria che lautore (si) pone. «Per imparare il cinema,
andateci.»; «[…] leggete più di quello che vi è stato chiesto; leggete ciò che
il vostro docente ha criticato o mostra di detestare; per farla breve,
ascoltate le altre campane.»: ecco alcuni dei consigli di Usai agli studenti di
cinema, per mantenere viva la fiamma della passione, al di là di esami e
crediti universitari.
In
Prima della rivoluzione – Marylin Monroe
e il cinema degli anni Cinquanta, Valerio Carando rileva come esista «un
linguaggio ibrido e affascinante, capace di muoversi negli interstizi che
separano il rigore narrativo proprio del cinema classico dalla libertà
espressiva – e dalla sostanziale vocazione alla sperimentazione – di quello
moderno. Howard Hawks, Billy Wilder e George Kukor hanno calibrato levoluzione dei rispettivi stili nel
solco di una precisione davvero esemplare. Marilyn
Monroe è stata, in tre peculiari occasioni, la loro musa ispiratrice, e ha
contribuito, se non altro in quanto pura
presenza, a traghettare le forme del racconto classico in direzione di una
maturità dal carattere spiccatamente autocosciente». Carando scandaglia quindi
con cura tre film esemplificativi della sua tesi, dei quali mette in luce la
forte carica innovativa, pur trattandosi di titoli a tutti gli effetti
ascrivibili allambito del cinema classico americano: Gli uomini preferiscono le bionde (Howard Hawks, 1953); Quando la moglie è in vacanza (Billy
Wilder, 1955) e Facciamo lamore
(George Cukor, 1960) sono i titoli proposti dallautrice. «Se è vero che gli
anni Cinquanta hanno rivestito un ruolo determinante nel superamento dei più
consolidati approcci espressivi, occorre riconoscere alle principali icone
popolari del periodo, figlie di un contesto culturale in pieno fermento, il
valore di un contributo importante nel delineare le premesse del rinnovamento».
E Marilyn è senzaltro una di queste.
La
rivista si conferma particolarmente attenta alle nuove pratiche mediali e alle
relative implicazioni semantiche con un “SegnoSpeciale” dedicato agli
interscambi tra cinema e videogames. Lo speciale, a cura di Marco Benoît
Carbone, prende le mosse da un innegabile dato di fatto: «[…] la quantità, la
varietà, e la rilevanza di quanto il videogioco ha riversato nelle immagini in
movimento. Vi è una storia pluridecennale di scambi, ruberie e prestiti –
assolutamente reciproci – tra gli immaginari, le tecnologie e i linguaggi delle
due forme espressive». «Pubblici, pratiche, linguaggi, funzioni e risultati del
videogioco e del cinema condividono sì uno spazio comune sempre più ampio,
dialogano e si richiamano, ma mantengono al tempo stesso forte specificità e
distanza a più livelli». Appunto su connessioni e divergenze dei due mezzi
despressione sinterrogano gli autori dei saggi raccolti allinterno della
sezione della rivista. Enrico Terrone (Un
film, nessun film, centomila film) si pone una domanda – perché parlare di
videogiochi su una rivista di cinema? – e tenta una o più risposte, a partire
dallassunto che i videogiochi pur non essendo film, «hanno essenzialmente a
che fare con il cinema». Grazie alla sua specificità – linterattività – il
videogioco assume i contorni di «[…] un film ontologicamente potenziato, cioè
un film capace di estendersi in una dimensione ontologica ulteriore: quella
della possibilità». Federico Giordano (Quando
i mondi si scontrano) sottolinea come «[…] non solo la narrazione, ma anche
il “Sistema dellAttrazione Mostrativa” e del “coinvolgimento cinestetico” […]
sembrano palesarsi nel cinema e nel videogioco contemporaneo, con radici in
sistemi e strumenti culturali del passato. È possibile ormai, grazie alla
consapevolezza teorica cui si è giunti, riconoscere queste similarità e queste
comuni origini possibili per cinema e videogioco, senza per questo dovere
rinunciare a una differenziazione di sostanza fra le due arti: senza dovere per
forza ritenere queste evoluzioni vuote e prive di pensiero, ma vedendovi la
traccia di una storia più ampia e secolare». Per Mauro Antonini (Io sono leggenda) il videogame, insieme
al gioco di ruolo, detiene il primato dei linguaggi identificativi, consentendo
allutente/giocatore di superare lidentificazione passiva consentita dal
cinema, «[…] in favore di unidentificazione completamente attiva. Non si
tratta più di riconoscersi in una figura immaginaria altra bensì dimpersonarla
[…]». Daltro canto, sottolinea lautore, la Storia del Cinema è la storia di
un mezzo che ha sempre cercato di potenziare linterazione con lo spettatore,
favorendone limmedesimazione e il coinvolgimento. Attraverso i casi
esemplificativi di film come Avatar (James Cameron, 2009), Spider-Man (Sam Raimi, 2002) e le recenti pratiche di crossmedia storytelling della DC Comics, lautore perviene
allassunto che «il videogame, oggi, essendo fruito di più e da più persone
rispetto al cinema […] istituisce la scolastica tecnica per conferire senso a
molti dispositivi filmici, affinché il pubblico videogiocatore che si reca al
cinema possa accomunarne i parametri».
Andrea Fontana (Tra realtà e
sintesi) affronta invece il tema dal punto di vista ontologico, evidenziando
come un rapporto particolarmente stretto si sia stabilito tra videogames e
cinema danimazione in virtù del comune “retroterra ontologico”: «lintenzione
da parte di entrambi di non limitarsi a documentare il mondo ma, semmai, di
crearne uno nuovo». Proprio questo sostrato condiviso fa sì che due mezzi
apparentemente distanti come quello del videogame e quello del cinema
danimazione, finiscano per contaminarsi a vicenda e in ciò gioca un ruolo
decisivo lestetica dellanimazione giapponese. Riccardo Fassone (Linvidia del genere) afferma che i
generi cinematografici sono oggetti inafferrabili, perché in continua
mutazione, rendendo così aleatorio ogni tentativo tassonomico in materia. Ciò è
altrettanto vero per il videogioco, che
«è spesso due cose: un prodotto audiovisivo che evoca convenzioni
generiche preesistenti (nella maggior parte dei casi mutuate dal cinema), e un
artefatto ludico, che funziona secondo regole e meccaniche indipendenti». Se i videogiochi hanno spesso tradito una vera
e propria ossessione per i generi del cinema popolare, rimarca Fassone, «[…] è
forse nellinterazione tra le regole mutevoli ed evanescenti dei generi e le
regole forti del gioco che si realizzano esperienze videoludiche capaci di
evocare il cinema senza predarlo o impoverirlo». Chiude lo speciale Film vs Game – Parallelismi tra le due
forme espressive: strutturato come una rubrica interna al dossier, larticolo propone una serie di
duplici schede, ciascuna delle quali propone la doppia recensione di un film e
del videogioco ad esso legato. Marco Teti, Mauro Salvador, Ivan Girina e
Giovanni Caruso, sono le firme che si avvicendano in questo interessante excursus tra cinema e videogiochi. Il
numero prosegue con la consueta serie di rubriche: “Segnofilm” (che raccoglie
le recensioni dei film di recente uscita nelle sale), “FilmSegni” (dedicato a The Hunger Games, Gary Ross, 2012), “Festival e Rassegne” (in questo numero dedicata
al Festival di Cannes 2012, al Far East Film Festival 2012 di Udine e al 27°
Torino Glbt), “Segno(altro)cinema” (dedicata alle «opere cinematografiche
reperite nelle aree di creatività sommersa»), “ActorSegno” (in questo numero
Mariapaola Pierini analizza le performance attoriche di Michael Fassbender nei
due film di Steve McQueen, Hunger e Shame), “SegnoSound” (Paola Valentini
affronta il caso di The Artist,
Michel Hazanavicius 2011), “SegnoInTranslation” (prosegue nella rassegna di
trasposizioni cinematografiche e televisive dei racconti di sir Arthur Conan
Doyle, protagonista il leggendario Sherlock Holmes), “SegnoCorti”, “SegnoDischi”,
“SegnoBookTrailer”, “SegnoLibri”, “SegnoPostCinema” e infine “StarWars”, la
scheda sintetica che riporta il punteggio attribuito dai collaboratori della
rivista ai principali film di recente uscita.
di Elisa Uffreduzzi
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