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Metamorfosi drammaturgiche settecentesche: il teatro “spagnolesco” di Carlo Gozzi

A cura di Javier Gutiérrez Carou

Venezia, lineadacqua, 2011, pp. 406, euro 30.00
ISBN 978-88-95598-15-4

 

Promotore e curatore di questo volume è uno dei più attivi studiosi del teatro italiano del Settecento, Javier Gutiérrez Carou, autore fra l’altro di una preziosa  guida alle opere di Carlo Gozzi (Carlo Gozzi. La vita, le opere, la critica. Con un inedito componimento in veneziano, Venezia, Supernova, 2006, consultabile anche on line). Il libro che qui si segnala è il risultato dei lavori di un progetto di ricerca che è stato svolto tra il 2007 e il 2010, sotto la direzione dello stesso studioso, grazie ad un finanziamento del governo della regione galiziana laddove Gutièrrez Carou insegna (Università di Santiago de Compostela). Al lavoro collettivo ha partecipato un nutrito gruppo di studiosi e docenti di diversi atenei europei, da Venezia a Salisburgo, da Barcellona a Parigi.

 

Il libro si divide in due parti. Nella prima sono pubblicati i contributi critici degli studiosi che hanno partecipato al progetto, nella seconda parte figurano invece le venti schede dedicate alle opere spagnolesche di Gozzi, a partire da La donna vendicativa (la cui prima rappresentazione andò in scena al teatro Sant’Angelo di Venezia l’8 ottobre 1767 nell’esecuzione della compagnia di Antonio Sacchi) fino a Il montanaro don Giovanni Pasquale messa in scena dalla compagnia Fabbrichesi nella stagione 1806-1807.

 

L’importanza delle fonti spagnole del teatro italiano di antico regime, a partire dagli anni Venti del Seicento fino al pieno Settecento, è stata largamente trascurata dagli studiosi fino a qualche anno fa. La ripresa di più attente ricerche sulla circolazione dei testi iberici di quel periodo – per merito soprattutto di Maria Grazia Profeti – ha messo in luce il grande contributo fornito da quella drammaturgia al teatro di area veneziana, fiorentina e napoletana. Il repertorio era trasmesso da adattamenti messi in opera tanto da scrittori (si pensi a Giacinto Andrea e Jacopo Cicognini, oppure Andrea Perrucci, volendo citare i più rilevanti), quanto da compagnie professionali che viaggiavano fra i due paesi in virtù della forte presenza, diplomatica e militare, degli spagnoli in Italia. Rispetto alla semplificazione operata dalla tradizione francese che, per lo più, aveva recintato il repertorio degli italiani nei ristretti ambiti del teatro comico o del teatro musicale, l’esportazione di opere spagnole verso l’Italia aveva invece favorito la produzione di spettacoli in cui il comico, il tragico, il melodrammatico e il romanzesco si intrecciavano con totale libertà. Furono questi motivi – esteticamente e ideologicamente  antifrancesi e antiborghesi – che spinsero Carlo Gozzi ad accogliere con tanta generosità quel repertorio nel suo scrittoio.

 

Nel suo saggio introduttivo Gutiérrez Carou nota opportunamente l’impossibilità di delimitare con riferimenti ai “generi” o alle origini linguistiche le opere gozziane fino a chiedersi «se esista veramente il “teatro spagnolesco” o se, in realtà, tale concettualizzazione sia solo uno dei risultati del processo automistificante che Gozzi mette in moto lungo i propri testi di storia e di poetica teatrale (e non solo)» (p. 17). Partendo da questo interrogativo – che ritorna anche nel saggio di Susanne Winter (I generi del teatro d’ispirazione spagnola di Carlo Gozzi) e, in parte, in quello di Anna Scannapieco – l’autore svolge una serie di considerazioni che lo conducono ad identificare quello gozziano come «uno spazio drammaturgico medio, sia per l’utilizzazione simultanea di elementi dei due generi estremi (commedia e tragedia), sia per lo smorzamento delle caratteristiche più acute di essi, in modo tale che si potrebbe affermare che Gozzi scrisse nel «periodo spagnolesco […] fondamentalmente tragicommedie drammatiche (o drammi tragicomici)» (p. 20). Considerazione che, se collocata nell’ambito della storia delle forme teatrali dell’antico regime, da una parte si collega alla tradizione di cui abbiamo detto sopra e che risale alle seicentesche Favole rappresentative di Flaminio Scala, ma dall’altra, se considerata in rapporto alle forme contemporanee e future di spettacolo, si innesta con la storia dello spettacolo protoregistico: Gutiérrez Carou ritiene infatti di poter «affermare che il Nostro fosse molto di più di un drammaturgo, era un creatore di spettacoli in tutti i suoi versanti, che assumeva non solo il ruolo di poeta teatrale, ma anche quello di scenografo, di regista, di disegnatore, di ideatore di “colonne sonore”» (p. 27): l’abbondanza di didascalie nei suoi testi potrebbe essere un segnale di questa attitudine.

 

Anna Scannapieco (La riflessione sulle «commedie spagnole» negli scritti di teoria teatrale e nelle prefazioni, pp. 31 – 43) mette in luce le ragioni occasionali che contrassero lo spazio delle esplicite teorizzazioni gozziane a vantaggio della drammaturgia spagnola, integrando quei vuoti teorici con accurate letture e citazioni che mostrano come l’imperversare precettistico e francesizzante di molti teorici del teatro coevi abbia rafforzato l’inclinazione contraria dell’autore delle Fiabe per quelle che egli chiama le «reliquie de’ teatrali spettacoli spagnoli», in questo  coadiuvato dalle sollecitazioni della compagnia sacchiana, com’è noto responsabile di alcune “esportazioni” di testi iberici in Italia. L’atteggiamento antifrancese – è opportunamente rammentato dall’autrice – fa riferimento anche alle posizioni di Luigi Riccoboni, “umiliato” dalle pretese parigine che volevano ridurre a regole puramente commediografiche il repertorio italiano, ma soprattutto nasce dall’aspirazione a una drammaturgia in cui comico e tragico, alto e basso, si tengono l’un l’altro, così come la passione e il ridicolo, giusta la citazione (dalle Lettere) che si trova alla p. 40 del saggio: «Trovai ne’ Spagnoli degl’avvenimenti d’una seria passione tanto robusta che la credei atta a poter reggere a fronte d’un caricato ridicolo».

 

Riecheggia in parte questo tema l’acuto intervento di Susanne Winter (I generi del teatro di ispirazione spagnola di Carlo Gozzi, pp. 81-89) che svolge un’accurata analisi dei caratteri fondamentali di quelle opere rammentando quanto la loro «favolosa inverosimiglianza» fosse congeniale al conte veneziano così come «il romanzesco caricato spagnolo fosse confacente al caricato ridicolo delle […] maschere» (p. 86). Il saggio è di particolare interesse perché mostra come lo scrittore, proprio in questo repertorio, oltrepassi molte delle categorie estetiche e poetiche del tempo, proponendo testi teatrali che manifestano «una certa tal quale regolarità differente da tutte le credute regolarità». La programmatica scelta per un teatro mostruoso e irregolare viene riabilitata con la sottolineatura che  «l’informe sembra informe solo a coloro che non sono disposti a scostarsi dal loro consueto punto di vista» (pp. 88-89).

 

Certo è che molta parte della produzione (ed anche della strategia editoriale) di Carlo Gozzi appare, anche alla luce delle più recenti acquisizioni critiche, come determinata da un atteggiamento «reattivo», giusta l’osservazione proprio di Gutiérrez Carou intorno alle Memorie inutili (pp. 45-68). Di conseguenza, lo spazio concesso alle opere di fonte spagnola appare ridimensionato a vantaggio di reagenti drammaturgici di stampo autobiografico, dalla relazione del conte con Teodora Ricci alla sanguinosa e ben nota polemica con il Gratarol. L’oscuramento o mancata storicizzazione  del teatro spagnolesco sarebbe in parte determinata anche da queste prevalenti urgenze di cronaca.

 

Diverso e complementare è l’approccio al tema che si può leggere nell’intervento di Piermario Vescovo (Effetto notte. Per una “genetica” del teatro gozziano “alla spagnola”, pp. 91-102). Qui la genesi della drammaturgia “spagnolesca” è osservata, anche alla luce di notazioni metodologiche provenienti dalla tradizione critica francese (Genette, Forestier), assumendo come filtro interpretativo la misura del tempo, secondo un punto di vista che lo studioso aveva già adottato in un più ampio studio apparso in forma di volume (Entracte. Drammaturgia del tempo, Venezia, Marsilio, 2007). Sulla base di un suggestivo impianto teorico, il ragionamento induce a più ampie considerazioni che coinvolgono, oltre alle ragioni della drammaturgia, anche quelle della scenografia e della messa in scena (e quindi della recitazione). La scansione del tempo è fondamento del ritmo di chi recita e di chi osserva, produce scarti e vuoti, inverosimiglianze rispetto al quotidiano, un sistema di pause che lo studioso interroga con acuta sensibilità scenica.

 

Un riscontro preciso di questo dato temporale (numero di versi per atto, durata dell’azione, soluzione di continuità fra gli atti e all’interno degli atti, rispetto o meno delle regole delle tre unità, ecc.) si trova nella seconda parte del volume, laddove diversi studiosi si sono impegnati  nella stesura di schede dettagliate per ognuna delle opere in questione. Qui l’impianto è soprattutto statistico. I testi  gozziani sono minuziosamente inventariati e confrontati, punto per punto, con la fonte spagnola. A queste Schede delle opere spagnole di Carlo Gozzi sono dedicate più di 240 pagine, redatte da un’équipe composta da una ventina di studiosi italiani e spagnoli (si veda qui l'Indice).

 

Un apprezzamento particolare da parte degli studiosi di storia del teatro e dello spettacolo merita l’eccellente contributo dovuto alla cura di Giulietta Bazoli, intitolato La vita spettacolare dei testi (pp. 129-145) che ha saputo ricostruire, con una ricerca accurata e documentata, con opportune congetture, la composizione delle compagnie sacchiane che furono impegnate negli allestimenti delle opere di Gozzi. Ricca è la messe di informazioni su quei comici che furono la materia viva della drammaturgia delle Fiabe e dei testi “spagnoleschi”. Senza la collimazione dei testi con le fisionomie congetturabili dei recitanti le statistiche e le analisi drammaturgiche corrono il rischio di essere insufficienti quando non ingannevoli. Ottima scelta editoriale, questa, che consente perciò di integrare il dato letterario con quello della materialità scenica così come la statistica delle strutture drammaturgiche con le biografie artistiche dei comici. Antonio Sacchi e i suoi compagni così come Teodora Ricci non sono meno importanti delle fonti spagnole, hanno solo il difetto di non avere lasciato solide tracce di sé. Ma questa è una vecchia aporia che affligge statutariamente lo studio del teatro e dello spettacolo. La diligente e attenta cura della Bazoli medica almeno in parte questa ferita aperta nella storia del teatro di antico regime.


di Siro Ferrone


La copertina

cast indice del volume


 

Ritratto dello scrittore e commediografo veneziano Carlo Gozzi (1720-1806)




 
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