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Catherine Steinegger

Pierre Boulez et le théâtre
De la Compagnie Renaud-Barrault à Patrice Chéreau

Wavre, Éditions Mardaga, 2012, pp. 432, euro 35,00
ISBN 978-2-8047-0090-4
                                 

Nato nel 1925, Pierre Boulez ha oggi ottantasette anni. Operante come compositore, organizzatore, direttore d’orchestra, docente e ricercatore a livello internazionale, ha goduto di fama crescente e superato brillantemente i diversi bilanci della critica internazionale sull’opera sua, a partire dalla fondamentale biografia di Dominique Jameux (1984). Un aspetto in parte noto della sua personalità è quello della collaborazione con il teatro, e musicale e di prosa. Le frammentarie e discontinue informazioni disponibili vengono ora integrate e discusse in prospettiva organica e misura esauriente. Dalle scene parigine del Théâtre Marigny negli anni Quaranta del Novecento s’avvia il suo lavoro di «direttore della musica» nella neonata Compagnia Renaud-Barrault. È il momento della sua vita artistica che, oltre a stabilire il legame cronologicamente più remoto col mondo dello spettacolo, gli rivela la sua forse più intima vocazione; e da quel periodo parte la ricostruzione biografica ed estetica dei rapporti di Boulez con lo spettacolo. L’autrice aveva fornito una prova della sua specializzazione con La Musique à la Comédie-Française de 1921 à 1964 (2005) e oggi si concentra sul lavoro meno studiato dell’eminente personalità. Ne nasce un volume esteso a oltre sessant’anni (dal 1940 al 2007), omogeneo per materia e riferimenti interdisciplinari, lungo i quali l’apprendistato del compositore e dell’esecutore si sovrappongono alla sua saggistica e al suo magistero teorico e pedagogico, spesso al centro di contese e polemiche.

 

I documenti originali di riferimento, spesso inediti, provengono dagli Archivi Paul Sacher di Basilea, da quelli della BnF-Arts du spectacle, dalla Maison Vilar di Avignone, dagli Archives Contemporaines di Fontainebleau e dall’IMEC di Abbaye d’Ardenne a Caen. Joël Huthwohl convalida la ricerca: «Si l’on devait qualifier le livre de Catherine Steinegger, au delà de l’analyse historique et musicologique, il suffirait peut-être d’écrire qu’il est le livre des rencontres et des fils tendus» (p. 9). Sul primo lavoro a Marigny, rammenta Boulez: «J’avais donc la charge, pas très lourde, de m’occuper des diverses musiques commandées pour les spectacles à des compositeurs très divers» (p. 40). La musica di scena è definita «fonctionnelle», in quanto «illustre le texte. Elle peut intervenir comme rideau sonore pour marquer les grandes articulations du spectacle» (p. 39), mentre si suggerisce la rilevante influenza dell’attore sulla concezione e la qualità musicale. L’intervento successivo d’affermazione originale Boulez lo rivolge al programma concertistico del Domain musical, allestito al Marigny col sostegno entusiasta di Barrault. Il primo concerto, nel gennaio 1954, comprendeva musiche di Bach, Nono, Stockhausen, Webern e Stravinskij (p. 60). L’apporto del Domain fu decisivo per la causa della musica contemporanea: «Nous évoluions dans un milieu hostile et nous étions hostiles au milieu […] j’ai pris le parti de la guérilla, de la micro-institution: c’était David contre Goliath» (p. 55). Moventi e legami dell’impresa teatrale risultano convenienti al nuovo interesse di Boulez, grato al teatrante che lo ospita generosamente e al russo Pierre Souvtchinsky (già estimatore di Stravinskij) che si rivela prezioso (indispensabile, per Jameux) nel sostenere l’iniziativa del giovane talento (p. 57). I tempi successivi registrano rapporti turbati con le Istituzioni francesi e dopo lo spostamento a Baden-Baden nel 1959, i contatti in patria si complicano, se nel 1966 il musicista pubblica Pourquoi je dis non à Malraux.

 

Da teorico e saggista era emerso assumendo la redazione del «Cahier Renaud-Barrault» (n. 3, 1954), dedicato a La Musique et ses problèmes contemporains. L’originalità del musicista-ideologo si precisa nel dibattito che segue vivacemente contrastato. Due anni avanti aveva tacciato di inutilità ogni compositore che non avesse avvertito necessario il linguaggio dodecafonico; ora rileva: «Tout ne va pas pour le mieux au royaume de la série» (p. 81). Un lungo paragrafo è dedicato all’interesse per Antonin Artaud, che avrebbe dovuto concretarsi in un’opera ispirata al suo Héliogabale. I contatti specifici avvengono tramite Paule Thévenin, curatrice per tanti anni delle Œuvres Complètes. L’analisi si sofferma su altre influenze «letterarie» accolte e sviluppate da Boulez in contatti col poeta Henri Michaux e col drammaturgo Armand Gatti, col quale collabora a uno spettacolo progettato per spazi e sonorità specifici (p. 99). Avendo conosciuto il poeta René Char nel 1947 al primo Festival d’Avignon, resterà colpito dai versi del suo Marteau sans maître che confluiranno nella sua partitura omonima (1955). Si segnala inoltre un contatto con Jean Genet, in vista di un’opera tratta da Les Paravents, rimasto però senza seguito. L’autrice commenta: «On perçoit, dans ce numéro des Cahiers, l’urgence d’un combat et la volonté de s’affirmer dans le paysage musical français» (p. 103). E nel secondo dei «Cahiers» (n. 41,1963) la Steinegger rileva i cambiamenti, i progressi e un certo spirito celebrativo, non inerente alla persona, ma al movimento da essa promosso. L’autorità del redattore gode infatti della fama del musicologo (che ha pubblicato nel 1964 Penser la musique aujourd’hui sulle Lezioni tenute a Darmstadt). Souvtchinsky torna a sostenere il cammino compiuto dal compositore «désigné» (p. 103). Le acquisizioni più recenti comprendono Luciano Berio, Hisao Kanze (che si esprime sul Nô, p. 114) e Mauricio Kagel, al quale sono legate le prime, provocatorie proposte di gestualità inserita nell’esecuzione musicale e dove l’autore sviluppa teoria e pratica in riferimento alla sua opera Sonant (1960). Si annuncia così con idee ed esemplificazioni il clima propizio all’apertura dell’IRCAM (che non prevede qui trattazione specifica). Gli stessi «Cahiers» ospitano infine (1975) La musique en projet, raccolta riguardante ipotesi sull’IRCAM, Istituto inaugurato in effetti nel 1977. Il volume «reflète les preoccupations d’une époque tournée vers les sciences qui incarnent la modernité [...]. Le cinéma et sa relation particulière au son accompagne ces réflexions sur la musique contemporaine» (p. 129). Seguono circostanze e ragioni estetiche inerenti alle musiche composte per opere drammatiche, da Le soleil des eaux di René Char (1948) a L’Orestie di Eschilo con la regia di Jean-Louis Barrault (1955). Oltre la collaborazione fra musicista e metteur en scène, l’autrice richiama e vaglia il lavoro complessivo (la traduzione di Paul Mazon e l’adattamento di André Obey, le scene di Félix Lambisse), attenta in particolare agli apporti folcloristici brasiliani e a quelli dodecafonici (pp. 151-152). Analogamente è rievocato Zarathoustra, produzione tratta da Nietzsche. Un impegno insolito è quello per l’indagine sulla situazione nazionale dei Teatri musicali, confluito nella Commission d’étude pour la réforme des théâtres lyriques, istituita da Malraux e affidata alla responsabilità di Jean Vilar nel 1967. Il Rapporto finale è depositato da Vilar il 30 giugno 1968, in piena emergenza della contestazione. Per Boulez, giudizi e proposte risentono della concezione e della gestione del T.N.P.: «Les suggestions faites ici sont à la base, non seulement d’une Réforme de l’Opéra de Paris, mais d’une maison théâtre-musique [....]. Pour donner à ce centre l’importance qu’il mérite dans le futur, il faut penser une réforme aussi radicale que possible» (p. 205). Quanto ai rapporti con la danza, il partner protagonista è Maurice Béjart e comporta notizie anche sulle più recenti creazioni di Pina Bausch e Bartabas (Clément Marty). Il direttore di opere liriche è studiato nelle collaborazioni con sommi registi teatrali, quali Barrault (1963) per Wozzeck di Berg; Chéreau per Ring di Wagner (1976-80) e Lulu di Berg (1979); Peter Stein per Pelléas et Mélisande di Debussy (1992); e ancora Chéreau, per De la maison des morts di Janáček (2007). Esiti artistici che evidenziano le scelte dell’interprete teso all’equilibrio fra dimensione musicale e rappresentazione (p. 259). Per le creazioni a Bayreuth, è valutata l’apertura registica di Wieland Wagner, fino alle conseguenze introdotte dalla coppia Chéreau-Boulez.

 

Fedele all’assunto iniziale - «explorant l’univers boulézien selon des chemins de traverse, ce parcours interdisciplinaire tente d’éclairer sous un nouveau jour l’œuvre et la personnalité de Pierre Boulez. Ce livre conçu dans une perspective de synthèse [...] ne s’adresse donc pas uniquement aux musiciens, mais aussi à tous ceux qui s’intéresseraient aux relations du compositeur avec des artistes incontournables du théâtre du XXe sècle» (p. 17) - l’autrice può auspicare in chiusura la fecondità del suo lavoro: «Ces incursions dans différents domaines, qui pourraient susciter la dispersion de la concentration créatrice, contribuent, au contraire, dans le parcours de Boulez, à une synérgie aboutissant avec une efficacité redoutable à un but unique: valoriser et diffuser l’œuvre, la colonne vertébrale de tout créateur» (p. 332). Infatti, nel panorama storico di più di mezzo secolo, attraversato in relazione alla carriera del compositore, appare con una certa sorpresa sia la sua ridotta attività come musicista di scena, sia la scarsa simpatia per il genere del teatro musicale, ritenuto esaurito con gli esiti di Alban Berg. Le estese Appendici facilitano l’uso del volume per ulteriori, complementari direzioni d’indagine.


di Gianni Poli


La copertina

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