Vsevelod Emilevic Mejerchold. Lultimo atto. Interventi processo e fucilazione racconta la cronaca degli ultimi quattro anni della vita di Mejerchold (1874-1940). Luomo che aveva incarnato il teatro nato con la Rivoluzione dottobre diventa, beffardo paradosso della sorte, capro espiatorio di quello stesso sistema i cui ideali aveva eretto a bandiera ideologica della propria arte.
Fausto Malcovati testimonia la tragica parabola di uno dei più geniali teatranti del Novecento con una mole imponente di fonti inedite, archivistiche e iconografiche. I documenti, ordinati in tre sezioni corrispondenti agli interventi degli anni 1936-39, alla chiusura del teatro e al processo giudiziario, rappresentano la colonna portante del volume. Si tratta principalmente degli articoli accusatori pubblicati sulla «Pravda», organo ufficiale del partito, e soprattutto degli stenogrammi di convegni, lezioni, dibattiti pubblici, degli stremanti interrogatori in carcere, lunghi 14-18 ore, sui quali è stato operato un lavoro di risistemazione onde evitare discontinuità e difficoltà di interpretazione. La terza parte del libro raccoglie invece gli atti più significativi del dossier relativo allarresto, al processo e allesecuzione di Mejerchold: dalle dichiarazioni relative alla partecipazione in presunte congiure antisovietiche, estorte a forza di torture psicologiche e fisiche, alle lettere disperate indirizzate ai capi politici del Comitato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD).
Un particolare cenno meritano le fonti iconografiche: cinquanta immagini che spaziano dai ritratti di burocrati, artisti, amici e nemici di Mejerchold alle foto di scena, locandine, maquettes e bozzetti scenografici degli «spettacoli proibiti». Evocativa è limmagine del regista davanti al cantiere del grandioso teatro che andava progettando negli anni Trenta, mai concluso, sede odierna della Sala da Concerti Čajkovskij.
«Cosi deve essere», il saggio introduttivo di Malcovati, registra con precisione e tensione ermeneutica i momenti salienti del calvario del regista, dalle tendenziose critiche legate alle scelte stilistiche e di repertorio alla sentenza di pena capitale emessa dal Collegio Militare della Corte Suprema dellURSS, indagando infine il contesto politico-culturale sovietico e i motivi che condussero il regista nel mirino delle purghe staliniane.
Lultimo spettacolo firmato da Mejerchold risale al 1935: 33 svenimenti, tre atti unici di Cechov. Il 1936, «annus terribilis per tutta larte sovietica» per dirla con le parole dellautore, si rivela particolarmente nefasto per il nostro artista. Le prime accuse si leggono il 28 gennaio 1936: nel durissimo articolo anonimo pubblicato sulla «Pravda» contro la nuova opera di Dmitrij Šostakovič, Lady Macbeth del distretto di Mcensk, appare il termine dispregiativo di «mejercholdismo». Tra questo primo attacco e la fucilazione si compiono la progressiva emarginazione di Mejerchold, la perdita del consenso pubblico, le accuse di formalismo – dicitura che si attribuiva a qualsiasi deviazione dallostentato realismo socialista decretato da Gorkij al XVII Congresso del Partito (1934) –, la censura di alcuni spettacoli e di diversi altri giunti fino alla prova generale ma mai rappresentati.
Un teatro estraneo di Platon Keržencev apparso sulla «Pravda» del 17 dicembre 1937 è il secondo duro attacco politico che suggella la chiusura del teatro di Mejerchold (TIM) e il suo arresto. Il regista viene accusato di simbolismo, formalismo e trockismo, mentre viene giudicata fallimentare la condotta del suo teatro, unico sui settecento dellUnione Sovietica a non aver acclamato «i grandiosi problemi della costruzione del socialismo» e non aver aderito alla «lotta contro i nemici del popolo». Il 7 gennaio 1938 va in scena La signora delle camelie, protagonista Zinaida Rajch, compagna di vita e di scena di Mejerchold, uccisa accoltellata da due sconosciuti nella loro casa moscovita dopo larresto del marito. L8 gennaio cè la pomeridiana de Il revisore; quella stessa sera il presidente del Comitato per gli Affari Artistici Keržencev, un tempo partecipe attivo alla battaglia per il rinnovamento del teatro, decreta la chiusura del TIM. La mattina del 20 giugno 1939 Mejerchold viene arrestato a Leningrado, dove organizzava una manifestazione pubblica di ginnasti. Lultima persona che lo vide fu Šostakovič che abitava nello stesso edificio.
Gli ultimi anni della vita di
Mejerchold sono intrisi di silenzi, censure e calunnie. Nei lunghi dibattiti
che seguirono larticolo di
Keržencev, Mejerchold sente lostilità del
collettivo col quale collabora da quindici anni. Tutti condannano il suo
repertorio “antisovietico” e le scelte simboliste. Una sola persona lo
sostiene: il falegname del teatro. Nel panorama culturale internazionale invece
solo due personalità si espongono a suo favore: Craig e Stanislavskij.
Il primo lancia un forte segnale sul «Times» del 19 gennaio 1938. Nella lettera
aperta rivolta allopinione pubblica e al governo sovietico si legge: «Nessun
comitato può decidere nulla su Mejerchold, che è un uomo geniale (…) Il suo
nome e tutto quello che ha fatto sono di unimportanza assoluta e gli
estimatori della sua arte sanno che il suo nome e la sua arte sono
intoccabili.» Stanislavskij invece accoglie «il figliol prodigo» al suo Teatro
dOpera nominandolo regista stabile. Con la sua morte, il 7 agosto 1938, crolla
per il regista lultima barriera difensiva. Ne è testimonianza quel Rigoletto progettato insieme al maestro
e arricchito di nuove soluzioni, al cui debutto, il 10 marzo 1939, il nome di
Mejerchold non viene nemmeno menzionato.
Lultima apparizione pubblica di Mejerchold risale al 15 giugno 1939: a quattro giorni dallarresto, partecipa al Congresso dei registi sovietici provocando lovazione dei presenti. Ma il suo intervento è sommesso, quello di un «leone ferito» come lo definisce Krol, uno dei relatori, che si inchina dinanzi agli insegnamenti della società comunista, di Lenin e Stalin. Dopo larresto, sotto minaccia e torture, Mejerchold dichiara di aver svolto lavoro spionistico e antirivoluzionario contro lo stato e di sabotaggio in campo teatrale finché, pienamente consapevole della propria fine, il 13 gennaio 1940 scrive al Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, Molotov: « In articulo mortis, ecco la mia confessione, breve, come si conviene un secondo prima della morte: io non sono mai stato una spia. Io non sono mai entrato in nessuna organizzazione trockista (io insieme al partito maledico il giuda Trockij!), non ho mai svolto attività controrivoluzionaria, parlare di trockismo in arte è semplicemente ridicolo.» Viene fucilato il 2 febbraio 1940 a Mosca, nel carcere di Butyrki, e sepolto in una fossa comune.
ll volume curato da Malcovati fa luce sulla politica culturale sovietica degli anni Trenta mediante le vicende biografiche di un artista di cui non si è ancora detto abbastanza. Un volume appassionante come un romanzo, che esce dai confini del settore insinuandosi nella grande storia che talvolta viene a coincidere con quellinafferrabile campo del sapere che è la storia dello spettacolo.
di Adela Gjata
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