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Vsevelod Emil’evic Mejerchol’d. L’ultimo atto. Interventi processo e fucilazione

A cura di Fausto Malcovati

Firenze, La casa Usher, 2011, pp. 233, euro 22,00

Vsevelod Emil’evic Mejerchol’d. L’ultimo atto. Interventi processo e fucilazione racconta la cronaca degli ultimi quattro anni della vita di Mejerchol’d (1874-1940). L’uomo che aveva incarnato il teatro nato con la Rivoluzione d’ottobre diventa, beffardo paradosso della sorte, capro espiatorio di quello stesso sistema i cui ideali aveva eretto a bandiera ideologica della propria arte. 

Fausto Malcovati testimonia la tragica parabola di uno dei più geniali teatranti del Novecento con una mole imponente di fonti inedite, archivistiche e iconografiche. I documenti, ordinati in tre sezioni corrispondenti agli interventi degli anni 1936-39, alla chiusura del teatro e al processo giudiziario, rappresentano la colonna portante del volume. Si tratta principalmente degli articoli accusatori pubblicati sulla «Pravda», organo ufficiale del partito, e soprattutto degli stenogrammi di convegni, lezioni, dibattiti pubblici, degli stremanti interrogatori in carcere, lunghi 14-18 ore, sui quali è stato operato un lavoro di risistemazione onde evitare discontinuità e difficoltà di interpretazione. La terza parte del libro raccoglie invece gli atti più significativi del dossier relativo all’arresto, al processo e all’esecuzione di Mejerchol’d: dalle dichiarazioni relative alla partecipazione in presunte congiure antisovietiche, estorte a forza di torture psicologiche e fisiche, alle lettere disperate indirizzate ai capi politici del Comitato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD).


Un particolare cenno meritano le fonti iconografiche: cinquanta immagini che spaziano dai ritratti di burocrati, artisti, amici e nemici di Mejerchol’d alle foto di scena, locandine, maquettes e bozzetti scenografici degli «spettacoli proibiti». Evocativa è l’immagine del regista davanti al cantiere del grandioso teatro che andava progettando negli anni Trenta, mai concluso, sede odierna della Sala da Concerti Čajkovskij.

«Cosi deve essere», il saggio introduttivo di Malcovati, registra con precisione e tensione ermeneutica i momenti salienti del calvario del regista, dalle tendenziose critiche legate alle scelte stilistiche e di repertorio alla sentenza di pena capitale emessa dal Collegio Militare della Corte Suprema dell’URSS, indagando infine il contesto politico-culturale sovietico e i motivi che condussero il regista nel mirino delle purghe staliniane. 


L’ultimo spettacolo firmato da Mejerchol’d risale al 1935: 33 svenimenti, tre atti unici di Cechov. Il 1936, «annus terribilis per tutta l’arte sovietica» per dirla con le parole dell’autore, si rivela particolarmente nefasto per il nostro artista. Le prime accuse si leggono il 28 gennaio 1936: nel durissimo articolo anonimo pubblicato sulla «Pravda» contro la nuova opera di Dmitrij Šostakovič, Lady Macbeth del distretto di Mcensk, appare il termine dispregiativo di «mejerchol’dismo». Tra questo primo attacco e la fucilazione si compiono la progressiva emarginazione di Mejerchol’d, la perdita del consenso pubblico, le accuse di formalismo – dicitura che si attribuiva a qualsiasi deviazione dall’ostentato realismo socialista decretato da Gor’kij al XVII Congresso del Partito (1934) –, la censura di alcuni spettacoli e di diversi altri giunti fino alla prova generale ma mai rappresentati.

Un teatro estraneo di Platon Keržencev apparso sulla «Pravda» del 17 dicembre 1937 è il secondo duro attacco politico che suggella la chiusura del teatro di Mejerchol’d (TIM) e il suo arresto. Il regista viene accusato di simbolismo, formalismo e trockismo, mentre viene giudicata fallimentare la condotta del suo teatro, unico sui settecento dell’Unione Sovietica a non aver acclamato «i grandiosi problemi della costruzione del socialismo» e non aver aderito alla «lotta contro i nemici del popolo». Il 7 gennaio 1938 va in scena La signora delle camelie, protagonista Zinaida Rajch, compagna di vita e di scena di Mejerchol’d, uccisa accoltellata da due sconosciuti nella loro casa moscovita dopo l’arresto del marito. L’8 gennaio c’è la pomeridiana de Il revisore; quella stessa sera il presidente del Comitato per gli Affari Artistici Keržencev, un tempo partecipe attivo alla battaglia per il rinnovamento del teatro, decreta la chiusura del TIM. La mattina del 20 giugno 1939 Mejerchol’d viene arrestato a Leningrado, dove organizzava una manifestazione pubblica di ginnasti. L’ultima persona che lo vide fu Šostakovič che abitava nello stesso edificio. 

Gli ultimi anni della vita di Mejerchol’d sono intrisi di silenzi, censure e calunnie. Nei lunghi dibattiti che seguirono l’articolo di  Keržencev, Mejerchol’d sente l’ostilità del collettivo col quale collabora da quindici anni. Tutti condannano il suo repertorio “antisovietico” e le scelte simboliste. Una sola persona lo sostiene: il falegname del teatro. Nel panorama culturale internazionale invece solo due personalità si espongono a suo favore: Craig e Stanislavskij. Il primo lancia un forte segnale sul «Times» del 19 gennaio 1938. Nella lettera aperta rivolta all’opinione pubblica e al governo sovietico si legge: «Nessun comitato può decidere nulla su Mejerchol’d, che è un uomo geniale (…) Il suo nome e tutto quello che ha fatto sono di un’importanza assoluta e gli estimatori della sua arte sanno che il suo nome e la sua arte sono intoccabili.» Stanislavskij invece accoglie «il figliol prodigo» al suo Teatro d’Opera nominandolo regista stabile. Con la sua morte, il 7 agosto 1938, crolla per il regista l’ultima barriera difensiva. Ne è testimonianza quel Rigoletto progettato insieme al maestro e arricchito di nuove soluzioni, al cui debutto, il 10 marzo 1939, il nome di Mejerchol’d non viene nemmeno menzionato. 


L’ultima apparizione pubblica di Mejerchol’d risale al 15 giugno 1939: a quattro giorni dall’arresto, partecipa al Congresso dei registi sovietici provocando l’ovazione dei presenti. Ma il suo intervento è sommesso, quello di un «leone ferito» come lo definisce Krol, uno dei relatori, che si inchina dinanzi agli insegnamenti della società comunista, di Lenin e Stalin. Dopo l’arresto, sotto minaccia e torture, Mejerchol’d dichiara di aver svolto lavoro spionistico e antirivoluzionario contro lo stato e di sabotaggio in campo teatrale finché, pienamente consapevole della propria fine, il 13 gennaio 1940 scrive al Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, Molotov: «In articulo mortis, ecco la mia confessione, breve, come si conviene un secondo prima della morte: io non sono mai stato una spia. Io non sono mai entrato in nessuna organizzazione trockista (io insieme al partito maledico il giuda Trockij!), non ho mai svolto attività controrivoluzionaria, parlare di trockismo in arte è semplicemente ridicolo.» Viene fucilato il 2 febbraio 1940 a  Mosca, nel carcere di Butyrki, e sepolto in una fossa comune. 


ll volume curato da Malcovati fa luce sulla politica culturale sovietica degli anni Trenta mediante le vicende biografiche di un artista di cui non si è ancora detto abbastanza. Un volume appassionante come un romanzo, che esce dai confini del settore insinuandosi nella grande storia che talvolta viene a coincidere con quell’inafferrabile campo del sapere che è la storia dello spettacolo.
 

 
di Adela Gjata


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