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Anna Lia Franchetti

Contrade di Francia
Studi di letteratura

Firenze, Alinea editrice, 2011, pp. 203, euro 20
ISBN 978-88-6055-656-1

 

Il volume Contrade di Francia. Studi di letteratura è l’omaggio dei colleghi ad Anna Lia Franchetti in occasione del suo ritiro dall’attività didattica. Vi sono riuniti i suoi studi più significativi, fino ad oggi dispersi tra le pagine delle diverse riviste scientifiche, o negli atti dei convegni. La varietà degli argomenti trattati nel corso della sua carriera accademica rivela la diversificazione degli interessi dell’autrice e la sua attenzione costante per il teatro come registratore sociale; di particolare fascino sono anche lo studio sull’antiromanzo d’area maghrebina o le traduzioni di testi mai apparsi prima in Italia. Proveremo qui a rendere conto di alcuni dei filoni di ricerca che attraversano questa raccolta.

 

Un significativo interesse è riservato alla figura del capitano spagnolo della Commedia dell’Arte, di cui l’autrice individua alcune evoluzioni. Il saggio che apre la raccolta è dedicato alla fortuna francese del personaggio nel primo Seicento. Una fortuna attestata ai tempi della guerra dei trent’anni dalla contemporanea presenza del Capitano Matamoro sia sul fronte popolare che su quello della tradizione letteraria colta: le “crudeli” caricature delle Gazettes da un lato e gli scritti dei vari Saint-Amant, Guez de Balzac, La Mothe le Vayer dall’altro costituiscono un fronte unico di ridicolizzazione del nemico con fini apotropaici, lottando con le paure delle truppe provate da anni di guerra all’avversario spagnolo. L’autrice riconosce in poche tappe fondamentali un percorso che trasforma il capitano dallo sgangherato millantatore delle proprie imprese della tradizione comica italiana (lo stesso delle Gazettes), fino al poeta dell’Illusion comique di Corneille, ritrovandone i passaggi intermedi nel Railleur ou la satyre du temps di Mareschal e nei Visionnaires di Desmarets de Saint-Sorlin.

 

Con Parigi 1642: la Spagna in scena al Palais Cardinal, Anna Lia Franchetti esamina un altro epigono del capitano, l’Ibère della commedia eroica Europe, scritta da Desmarets de Saint-Sorlin sotto l’egida di Richelieu. La commedia viene rappresentata nel teatro privato del cardinale-ministro: destinata alla corte francese e alle principali corti europee, è un’allegoria della guerra dei trent’anni e un auspicio per il raggiungimento di una pace di cui la Francia si fa portatrice. Particolarmente significativo per l’autrice risulta il ritratto che ci viene consegnato della Spagna. Il tema, il luogo e i destinatari della rappresentazione impongono un ripensamento che ripulisca il personaggio di Ibère dai tratti gretti del capitano dell’Arte; tuttavia egli mantiene i contorni del nemico avido e ambizioso, vittima delle passioni terrene. Anche Ibère deve però piegarsi agli obiettivi di propaganda politica contenuti nella commedia: per questo Saint-Sorlin dota il personaggio di una lucidità che gli fa riconoscere i propri vizi, lo conduce alla redenzione e quindi all’adesione ad una pace necessaria, che riporterà l’Europa all’età dell’oro.

 

Il teatro rimane al centro degli interessi dell’autrice nei due saggi dedicati al ruolo drammaturgico del silenzio nelle opere di Corneille. Lo studio si approfondisce secondo più piani d’indagine, guardando sia alla funzione drammaturgica dei personaggi muti in scena, sia alle tematiche a cui l’autore lega i suoi personaggi reticenti, sia, infine, al ruolo del “non-detto” nella comunicazione tra le parti in scena e tra scena e pubblico. Tentiamo brevemente di dar ragione almeno di quest’ultimo punto. Corneille fa uso in questo senso di almeno due tipi di silenzio. Un primo, riconoscibile in La Veuve e Suréna, è un silenzio interno al dramma, che non sospende la comunicazione tra i personaggi, né tra scena e pubblico: in La Veuve esso è adottato come strategia (amorosa) da uno dei protagonisti, ma mantiene una valenza retorica, raccontando con l’aiuto della gestualità tutto quanto quel personaggio ha da dire; in Suréna la reticenza lascia ancora leggere intenzioni e sentimenti sottintesi, ma si mostra nei termini di una scelta politica di censura della comunicazione. Un secondo tipo di silenzio è riconoscibile nella Mort de Pompée ed ha obiettivi ben più drastici: le reticenze di César, dettate da un basso calcolo politico, sospendono il racconto, inserendo nell’ordito drammaturgico dei veri e propri tagli volti a segnare, in definitiva, l’assenza dell’eroe tragico.

 

Parlando di poetica del silenzio, il riferimento a Marivaux appare inevitabile, seppure non direttamente di questo si parla nell’ultimo saggio di area francese della raccolta, dedicato all’insolito Marivaux dei Sincères. Con questo testo, esempio isolato della sua produzione, l’autore francese compie un’operazione di rovesciamento di tutte le sue riflessioni sulla verità e la menzogna, le cui radici sono riconoscibili nella commedia L’Amour et la Vérité. Laddove la poetica di Marivaux riconosce nel silenzio e nel linguaggio dei gesti il principio di verità, e nella parola la portatrice della menzogna, i Sincères aprono alla possibilità di un incontro tra Dorante (il celebre Menteur di Corneille) e Alceste (il protagonista de Le Misanthrope molieriano). Non a caso Marivaux sceglie di recuperare il nome di Dorante per costruire il suo personaggio: un personaggio che rivela la propria sincerità oltre il muro di una «clarté» claustrale che corre spesso il rischio di trasformarsi in vuota fissazione su un pensiero astratto.

 

Chiudiamo con un piccolo passo indietro per segnalare un’interessante incursione di Anna Lia Franchetti nel campo delle arti figurative. L’enfant dans l’art opera un confronto sul ruolo dell’infante nella letteratura e nella pittura del XVII secolo francese. In un’epoca che lo vede come «perturbatore della vita sociale», esso è figura emarginata dai grandi testi letterari, sfiorata appena da pochi casi isolati. Diversamente l’immagine del fanciullo è trattata da pittori e incisori. In qualche modo agevolati da una tradizione rappresentativa (soprattutto di materia religiosa e mitologica) che impone la presenza dei piccoli, i vari Vouet, Poussin, Bosse assegnano agli infanti la stessa funzione che i teorici della drammaturgia classica assegnavano al pubblico in scena: la loro posizione marginale e il loro sguardo rivolto all’esterno rinserrano il legame tra la scena principale e l’osservatore e fanno dell’infanzia rappresentata il simbolo della dialettica presenza/assenza cara proprio a quel teatro.


di Lorenzo Galletti


La copertina

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