Insigne giurista (e docente di diritto civile a Perugia, Macerata, Pisa, Pavia, Padova e Parma), Sforza Oddi (Perugia, 1540 – Parma, 1611) è famoso presso i suoi contemporanei per la varietà di interessi e competenze che lo contraddistingue. In grado di dissertare con estrema disinvolta padronanza «de motu, de tempore, de elementis, de anima» (come dice, durante il suo elogio funebre, lallievo Girolamo Figini), Oddi deve la sua fama anche al grande successo riscosso dalle molte messe in scena delle sue tre commedie: LErofilomachia (1572), I morti vivi (1576) e Prigione damore (1590). Una passione, questa per il teatro comico, che gli costa un po cara (Gregorio XIII, per esempio, rimuove la sua candidatura a uditore della Rota Romana) ma cui tuttavia lui si tiene ben lungi dal rinunciare, tantè vero che si dedica attivamente allallestimento dei suoi lavori almeno fino al 1590.
A caratterizzare le sue commedie, che contano fra i propri estimatori anche Torquato Tasso (presente a una rappresentazione dellErofilomachia avvenuta a Pesaro nel 1574), è unabile commistione di materia ridicola e materia grave, elemento comico ed elemento patetico, o larmoyant, come lo chiama la curatrice Anna Rita Rati (benché questo aggettivo, riferito a testi cinquecenteschi, ci paia vagamente anacronistico). Obiettivo dellautore è quello di potenziare la «dolcezza del diletto» tramite l«amarezza delle lagrime», così si legge nel Prologo alla Prigione damore: «lamaro del pianto fa più gioconda la dolcezza del riso», scrive Oddi parafrasando Orazio. Questo Prologo, in realtà, altro non è che un autentico manifesto di poetica in forma di contenzioso fra la personificazione della Tragedia e quella della Commedia. Replicando agli attacchi della Tragedia, che laccusa in pratica di “rubarle il mestiere” e di muovere «gli affetti e le lagrime» del pubblico mostrando vicende piene di «eroica virtù», la Commedia sostiene che in ogni popolo ci sono «tre condizioni di persone»: «potenti, che si riputano felici […]; miseri, che son disperati quasi di mai più risorgere» e infine «mezzani, che né per luna, né per laltra faccia di fortuna si conturbono […]. Or, – conclude – lasciando da parte questi ultimi, che non han di bisogno né de vostri avvertimenti, né de miei, de primi lo specchio siete voi, de secondi son io». In una classifica di tutti gli spettacoli che possono insieme «utile e sollazzo recare», la Commedia – si legge nel Prologo allErofilomachia – occupa il primo posto, perché in essa, «come in uno specchio di lucidissimo cristallo», si può vedere riflessa «limmagine della vita nostra e della verità».
A unaccurata e ricca introduzione (in cui la Rati, fra laltro, parla della vita e delle opere dellOddi, del suo stile, dei suoi modelli di riferimento e delle differenze che intercorrono fra i suoi tre lavori teatrali), seguono i testi delle commedie: e se dellErofilomachia le edizioni moderne non mancano (Benedetto Croce laveva pubblicata nel 1946, seguito da Aldo Borlenghi nel 1959, e poi da Emilio Faccioli), dei Morti vivi e della Prigione damore non ne esistono affatto. Ed è perciò questo volume ad incaricarsi di colmare la lacuna.
Ambientata a Firenze, lErofilomachia (ovvero Duello dAmore e dAmicizia), sintitola così perché lautore volle esprimere con una sola parola «i varii effetti e contrarii accidenti che nascono tra due amici, amanti amendue duna medesima giovinetta». Ecco quindi Leandro che ama, riamato, Flaminia ma non può sposarla per via della rivalità che separa le loro due famiglie: allora scappa di casa (abita a Genova), prende la via del mare, viene rapito dai corsari (nelle cui mani rimane per tre anni e mezzo) e, riscattato da Amico per cento scudi doro, lo segue a Firenze, dove si fa assumere come servitore dal padre di Flaminia (che è anchegli fuggito da Genova, insieme alla figlia, ormai da cinque anni). Gli ingredienti, sapientemente mescolati, sono vari: cè lantefatto romanzesco, il travestitismo (Leandro non si fa riconoscere da Flaminia e da suo padre Oberto, e lavora a casa loro facendosi chiamare Fabio), la beffa ai danni di un vecchio matto cui Oberto ha promesso di dare in sposa la figlia, una cortigiana di buon cuore (innamorata di Amico, che è a sua volta innamorato di Flaminia), una ruffiana tutta casa e chiesa, un miles gloriosus detto capitan Rinoceronte, un paio di servi astuti e un servo sciocco. I modelli? Innumerevoli, da Terenzio fino a Benedetto Varchi. La Rati cita, fra gli altri, I tre tiranni di Agostino Ricchi (1533), lAmor costante di Alessandro Piccolomini (1540), Gli ingiusti sdegni di Bernardino Pino da Cagli (1553) e la Suocera del Varchi (1569). Ma anche qualcosa del Furioso dellAriosto e della Liberata del Tasso. E aggiungerei senzaltro la Mandragola di Machiavelli, le commedie dellAretino e, forse, indietreggiando un po nel tempo, anche Il fiore di Dante (vale a dire il Roman de la Rose).
Discorso a parte meriterebbero poi le peculiarità linguistiche del teatro dellOddi, che passa dal linguaggio aulico, di stampo petrarchesco, con cui i protagonisti danno voce alle loro passioni, ai linguaggi propri dei servi: si tratta di una «struttura binaria – spiega bene la Rati – dominata dalla dialettica fra monolinguismo delle passioni e plurilinguismo dei tipi e della degradazione sociale». Leggendo le tre commedie, in effetti, viene da pensare che lOddi non fosse solo un grande conoscitore ed estimatore del teatro colto, ma anche un appassionato frequentatore di spettacoli di comici dellarte. Basti pensare alla vivacità di certi dialoghi fra il vecchio matto Ippocrasso e il suo servo Stempera, o fra il capitan Rinoceronte e il suo servo Diluvio.
Davvero moderno e anticonvenzionale è inoltre il modo in cui lautore delinea le sue protagoniste femminili. Se è innegabile che, nellErofilomachia, Flaminia appare un personaggio piuttosto passivo (più approfondito è il carattere della cortigiana Ardelia), colpiscono molto, tuttavia, nei Morti vivi e nella Prigione damore, il coraggio, lintelligenza e la generosità delle protagoniste: nei Morti vivi, Alessandra (sotto false sembianze) intercede affinché il giovane che lei ama da sempre (e che la riama, ma la crede morta) sposi la donna cui lei è in debito della vita; nella Prigione damore, invece, Erminia (travestita da suo fratello gemello Lelio) si fa chiudere in carcere e condannare a morte per salvare la vita a Flaminio, il giovane da lei amato, e anche a Lelio.
Le figure femminili, così, spiccano di gran lunga su quelle maschili (spesso deboli), per la loro tenacia e la loro forza danimo. Di commedia in commedia, perciò, le ragazze acquistano sempre più spessore, e nello stesso tempo le scene comiche occupano sempre più spazio: nella Prigione damore, infatti, si potrebbe dire che lelemento performativo finisce quasi con lavere la meglio su quello rappresentativo. Non a caso, tanto è complicata la trama dellErofilomachia, così è semplice e lineare quella della Prigione damore, dove a dominare paiono essere le vere e proprie maschere del capitano Bellerofonte e del pedante Ermogene.
Una produzione teatrale esigua, quindi, quella dellOddi, ma molto raffinata, divertente, vivida, originale e interessante: le sue commedie meritano senza dubbio di essere più conosciute e anche rappresentate, vista e considerata la loro evidente ed eccezionale scenicità; con alcuni personaggi che, da un momento allaltro, sembra che siano sul punto di uscire fuori dalla pagina scritta e improvvisare un lazzo, così su due piedi, di fronte al lettore.
di Giulia Tellini
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