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Antonia Pulci

‘Saint’s Lives’ and ‘Bible Stories’ for the Stage

A cura di Elissa B. Weaver
translated by James Wyatt Cook

The Other Voice in Early Modern Europe: The Toronto Series, 7, Toronto, 2010, pp. 500
ISBN 978-0-77272-0733

Nata a Firenze fra il 1452 e il 1454, Antonina Tanini è la secondogenita di Francesco (classe 1408), proprietario terriero e commerciante, e di Jacopa di Torello. Nel 1467, il padre muore e, nel 1470, in un periodo di serie difficoltà economiche per Jacopa, rimasta vedova appena trentenne e con sette figli (di cui alcuni ancora molto piccoli) a carico, Antonina sposa il trantaduenne Bernardo Pulci, appartenente a una delle famiglie nobili fiorentine più vicine ai Medici e già illustre rappresentante, insieme ai fratelli Luigi e Luca, della élite culturale cittadina.

«Le Muse dai Pulci ci stavano a casa», scrive Domenico De Robertis. E, infatti, se Luigi è celebre per il Morgante, Luca è conosciuto, fra l'altro, per le Pìstole (una imitazione in terzine delle Eroidi ovidiane), mentre Bernardo, noto a Firenze fin da giovanissimo per la sua traduzione (e commento) delle Egloghe virgiliane, è autore di sacre rappresentazioni e di vari poemi d'argomento religioso. Antonia, però, non diventa solo la moglie di un famoso scrittore ma, nel 1471, assiste anche alla nascita dell'industria editoriale fiorentina, che i Pulci sono i primi a sperimentare. La strada che la conduce alla scrittura (e alla pubblicazione), quindi, se si considera anche l'ottima educazione che ha ricevuto dalla madre, è tutta in discesa: comincia a comporre versi e in breve si trasforma in una delle più prolifiche, stimate, popolari e pubblicate autrici di sacre rappresentazioni. Prova ne sia che, nella prima antologia di drammi religiosi fiorentini (1490-1495), compaiono almeno tre dei suoi lavori.   

Bernardo muore nel 1488 e, nel suo testamento, dichiara la moglie, da cui non ha avuto figli, la sua unica erede: Antonia, così, torna a vivere insieme alla madre, studia le Scritture, si dedica a pratiche ascetiche e di penitenza, e di lì a poco prende la decisione di ritirarsi dalla vita secolare e di fondare un convento. Detto fatto: fonda il convento di Santa Maria della Misericordia (appena fuori da Porta San Gallo) e ne diventa priora nel novembre del 1500. Muore nel luglio del 1501, lasciando tutte le proprie sostanze al suo convento, e anche alla cappella dedicata a Santa Monica nella chiesa di San Gallo.    

L'impeccabile volume, ben curato e introdotto in modo chiaro ed esaustivo da Elissa B. Weaver, raccoglie cinque sacre rappresentazioni di Antonia Pulci: alcuni soggetti, cosa tipica del genere, sono tratti o dal Vecchio o dal Nuovo Testamento (come La rappresentazione della distruzione di Saul e il pianto di David e La rappresentazione del figliuol prodigo), altri, invece, assecondando i gusti del pubblico di fine secolo, molto attratto dalle trame avventurose e romanzesche, s’ispirano alle vite dei Santi e delle vergini martiri (La rappresentazione di Santa Domitilla, quella di Santa Guglielma e quella di San Francesco).

Destinate a essere recitate in chiese e oratori, queste opere sono caratterizzate da una straordinaria modernità, sia per l'icastico realismo con cui vengono risolte scene e situazioni, sia per l'arguzia delle parti dialogate, sia per la finezza psicologica con cui sono delineati i personaggi principali. Basti pensare a come Domitilla, fidanzata con Aureliano, difenda la causa del cristianesimo contro quella del paganesimo e soprattutto quella della verginità contro quella del matrimonio, con quanta fede e perseveranza e, nello stesso tempo, con quanta intelligenza. Mirabile inoltre il modo in cui è cesellata la figura di Guglielma, così tragica e insieme così fiera ed elegante: regina d'Ungheria, mentre il marito è in viaggio per la Terra Santa, rifiuta la corte del cognato, che, offeso, quando il fratello torna in patria, la accusa di comportamento indegno e immorale, e la fa condannare a morte. Di fronte a personaggi maschili abietti, disonesti e crudeli (un cognato che la perseguita con le sue appiccicose profferte, un marito che crede al fratello senza neppure interpellarla), la protagonista si staglia maestosa in primo piano, con la sua onestà, la sua dolcezza, la sua umanità. Scampata dalla morte (viene infatti liberata da uno dei cavalieri che dovrebbero giustiziarla), ottiene dalla Madonna la grazia di compiere miracoli, si ritira in un monastero, guarisce molti infermi, fra cui anche il cognato (che, nel frattempo, «per giudicio di Dio», si è ammalato di lebbra) e, alla fine, insieme a lui e al marito, parte per recarsi in «luoghi solitari» a pregare e a fare penitenza.  

Meno popolare rispetto alle rappresentazioni di Santa Domitilla e Santa Guglielma è, all’epoca, quella di San Francesco, che non è un santo ancora molto conosciuto e viene composta dalla Pulci soprattutto in omaggio a suo padre, Francesco Tanini. Il gusto per il realismo vivido ed estroso, anche linguistico, è evidente più che mai nella prima parte dell'opera, ovvero nella descrizione dello scontro fra il giovane protagonista, che sta spendendo tutti i suoi soldi per far restaurare la chiesa di San Damiano, e il padre, che, appena se lo trova davanti, lo apostrofa così: «Io t'ho pur ritrovato, o stolto e matto! / Maladetto sia il dì ch'io t'acquistai. / Tu se' pur quel figliuol che m'hai disfatto; / con tanto studio e spesa t'allevai. / Io te ne darà tante per un tratto / che giù disteso a' pie' mi cascherai. / Entrami innanzi, brutto ladroncello! / Giucato ha' la mia robba e 'l tuo cervello».  

Per originalità, brilla invece, nella produzione dell'autrice, La rappresentazione della distruzione di Saul e del pianto di David, dove la vicenda biblica viene attualizzata grazie all'arguto espediente di tramutare i filistei in turchi e di dare molto risalto all'eroica figura della moglie di Saul, che, per mano dei nemici, viene appesa per i capelli al ramo di un albero e qui muore fra atroci tormenti: «Oimé, oimé, – si lamenta prima di esalare l'ultimo respiro – vedi ch'i' stento, / O giusto Dio, mandami la morte! / Deh, trâmi fuora di tanto tormento / e mena la mie alma allo tuo corte; / di questa grazia tu ne sia contento. / Oimé, quest'albor tira così forte! / Mancami e sensi e la voce e l'ardire. / Pietà, Signor, chiego del mio finire!». È però nel pianto di Saul sulla morte dei figli che la scrittrice dà il meglio di sé e crea dei versi di una bellezza purissima e struggente: «O Gionatas, ov'è la forza tua / che tu solevi forte adoperare? / Aminadab<be>, la belleza sua, / che facie tutto 'l mondo inamorare? / E' parevono dèi tutti a dua. / O Melchi, che per forza volle andare! / O quanto eran gentili, savi e forti! / Ed ora insieme voi iacete morti!».  

Il capolavoro assoluto della Pulci, tuttavia, secondo me, è La rappresentazione del figliuol prodigo, memorabile soprattutto per due aspetti: l'incipit fulminante e quasi precaravaggesco (col figliuol prodigo che, in una bettola, perde i soldi in una partita a carte), e i ritratti di tutti i personaggi (non solo il padre e i figli, ma pure il cassiere e il servo del padre), che sono davvero disegnati, in punta di penna, con pochi tratti e rara maestrìa. L'amore del padre verso i figli (il suo dolore quando il minore parte, la sua felicità quando fa ritorno, la sua pazienza nel placare alla fine l'amarezza del maggiore) non potrebbe essere reso meglio. «Dolce figliuol, – dice al maggiore nell'ottava 64 – per dio non ti turbare, / perché del tuo fratel facci tal festa; / ch’io non t'ami per certo non pensare. / Deh, fa che ingiuria non reputi questa! / Vienti con meco in casa a rallegrare / del tuo fratello. Non ti dar molesta / che nuovamente s'è riguadagnato: / e' dir si può che sia resuscitato». Ma il ragazzo non sembra affatto convinto: «Io ho fatto proposito e pensieri / di non entrar mai più dove tu sia. / Di pregarmi per dio non fa mestieri, / così disposta è la mia fantasia, poi che per questo tristo baratteri / tanta festa e romor par che ci sia, / che tutto l'universo si rintruona, tanti strumenti per costui si suona». «Figliuol diletto, umile e reverente, / – insiste allora (e non invano) il vecchio, perspicace, padre – non voler più tal cose replicare; / dispoglia d'ogni invidia la tua mente, / per mio amor vogli in casa ritornare. / Pel passato mi fusti obbediente; / per l'avenir vogli ancora così fare. / Deh, sia contento rallegrarti insieme / meco del tuo fratel, mia cara speme».

Volume impeccabile – dicevamo – e necessario. Ha infatti portato alla ribalta la figura di una grande (e non abbastanza conosciuta) autrice teatrale, che mostra di aver meditato bene sui due libri del Mondo e del Teatro. Un discorso a parte meriterebbe infine l'ottimo lavoro di James Wyatt Cook, che, rispettando fra l'altro il metro originario utilizzato dalla Pulci, ha tradotto in un inglese moderno e cristallino tutte e cinque le rappresentazioni.   


 

di Giulia Tellini


copertina

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