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Una laurea per Franca Valeri Eventi

Il 20 giugno 2011 l’Università Statale di Milano ha conferito la laurea honoris causa in Scienze dello Spettacolo a Franca Valeri, giusto premio per un’eccezionale donna di spettacolo che ha saputo divenire punto di riferimento per la scena nazionale e internazionale. La “laureanda”, prossima a festeggiare il novantunesimo compleanno, è stata accolta dagli applausi di una folla commossa e riconoscente. Il Rettore Enrico Decleva ha motivato l’attribuzione del diploma come un atto di gratitudine verso chi «ci ha accompagnato da sempre, insegnandoci l’ironia, la capacità di guardare il reale con occhio disincantato, la perfidia senza la cattiveria, ma soprattutto la capacità di usare l’intelligenza». L’attrice ha apprezzato il riconoscimento: «La laurea – ha detto – l’ho sempre desiderata». Intervento non previsto quello del neo assessore Stefano Boeri che ha voluto, con la sua presenza, presentare l’omaggio di tutta Milano all’illustre concittadina.


Applausi per Franca Valeri
(Foto Stefania Ciocca)

 

La laudatio proferita dal Professor Paolo Bosisio, a cui va il merito di aver proposto la laurea per Franca Valeri, ha ripercorso le tappe salienti dell’avventura artistica dell’attrice: gli esordi osteggiati dal padre e la bocciatura all’Accademia d’arte drammatica (inevitabile, se si considera “l’eccentricità” del suo personaggio), il successo dei monologhi femminili alla radio, la “scoperta” di una comicità nuova, sobria e sintetica, con il Teatro dei Gobbi, i recital da solista a partire dal fortunato Donne, la consacrazione alla prosa con Maria Brasca di Giovanni Testori, e ancora l’attività televisiva, le interpretazioni cinematografiche, fino alla scrittura drammaturgica e alla regia di opere liriche. Bosisio ha richiamato i legami ideali di Franca Valeri con la tradizione teatrale milanese che la vogliono erede di Edoardo Ferravilla e di Dina Galli, ma soprattutto ha messo in luce la sua originalità nel triplice ruolo di interprete, drammaturga e regista. In particolare nei suoi monologhi femminili Franca Valeri ha colto e ritratto, nella sua lunga carriera, i cambiamenti della società italiana, facendosi portavoce, con elegante ironia, di una variegata galleria di donne, madri, mogli, amanti e amiche, diverse per provenienza geografica e sociale, alle prese con i problemi quotidiani (amore, lavoro, moda, famiglia...). Pioniera della comicità femminile, donna che scrive e che parla di donne, costituisce un fondamentale capitolo nella storia del comico.


Franca Valeri apre la sua lectio magistralis, intitolata Una vocazione storica (in parte affidata alla lettura dell’amica e attrice Gabriella Franchini), con il consueto piglio ironico: «Sarà difficilmente plausibile fare rientrare questo mio intervento, modesto, nel termine lezione. Ma la mia irrefrenabile attitudine all’esibizione mi ha convinto che da parte mia, anche questa occasione così particolare, fosse utile per ricorrere al genere discorsivo». E rintraccia i segni del suo destino teatrale nelle sua stessa genealogia: un Norsa (questo il vero cognome dell’attrice che assunse quello di Valeri in omaggio al poeta francese Paul Valery) era attore con Leone De Sommi, un’altra ava, Fanny Norsa, calcò le scene alla fine del Settecento. «Dopo due secoli è toccato a me. Mi pare chiara ormai la scansione bisecolare».



La laurenda Franca Valeri e il Professor Paolo Bosisio
(Foto Stefania Ciocca)
 

Nasce da lontano, dunque, l’attrazione di Franca Valeri per le scene ed ha una forza tale da non venire messa in dubbio nonostante gli ostacoli: «Ho cominciato la mia carriera in un momento favorevole alla creatività, uno stato mentale che in definitiva corrisponde alla vocazione. Una vocazione la mia che ha avuto l’incubazione degli anni di guerra. Ma una vocazione non si estingue nell’attesa». Il campo in cui investe le sue energie, il teatro, è «quell’arte che si ascolta e si vede». Il teatro, «fatto di voce e di corpo», risponde al bisogno dell’uomo «di raccontare e di raccontarsi o di ascoltare», ed è per questo «uno dei mezzi che offre l’arte per sfuggire indenni al reality show della vita .

Degli esordi rievoca le incertezze e le difficoltà: «Il palcoscenico si rivela in tutta la sua verità quando c’è il pubblico e ti insidia nella parte più fragile: il corpo. Anche immobile ne senti la falsità. Il palcoscenico è un vecchio dispettoso. La sua amicizia la fa pesare. Diventerà solo col tempo un amico meraviglioso». Accanto a queste anche alcune certezze: «La prima ritengo che sia la scelta o comunque l’assegnazione del ruolo. È certo che un attore non può fare tutte le parti, è una scelta affidata, ancora più che al fisico o all’età, alla cultura sua o di chi lo dirige».

Sulle ragioni del potere “attrattivo” del teatro l’attrice torna a interrogarsi: «Chi è? Perché da tempo immemorabile l’uomo l’ha inventato, reinventato, vi ha costruito le sue case, i suoi monili, gli ha dato le sue voci e soprattutto il suo pensiero?» Nella sublimazione del mondo reale è la sua risposta: «Il teatro è la bella copia della vita. Il male lì è più punito, il bene è più premiato, il vizio è deriso, l’amore è eterno, la morte è finta».

Gabriella Franchini legge la lectio magistralis di Franca Valeri
(Foto Stefania Ciocca)

 

Cuore dell’intervento dell’attrice è la sua dichiarazione di fedeltà alla «bellezza della parola», «il grande mezzo che qualcuno ci ha messo a disposizione». Nel suo duplice lavoro di interprete e di autrice Franca Valeri dichiara di essere sempre stata consapevole della responsabilità di tale dono. «Intendiamoci, per gradimento personale ancor più che per dovere professionale». Come drammaturga ha sentito il rigore del rapporto tra parola e pensiero in teatro. Nella laboratorio dell’autrice le parole «si affollano per essere scelte, ma non è per tutte poter salire sul palcoscenico». Al teatro servono «parole precise», capaci di rivelare «in partenza l’inquietudine di appartenere a una voce». Ciascuna deve essere essenziale.

La riflessione di Franca Valeri si posa poi sul valore “didattico” del teatro. Rispetto alle sedi istituzionali del sapere il teatro «concede più frequentemente agli alunni la possibilità di non capire subito. Nel pubblico che sfolla serpeggia il dubbio di una riflessione che gli è stata imposta. Ne vuole parlare mentre si infila il cappotto. Molti vorrebbero forse leggere quello che hanno sentito, più spesso il sospetto di una rivelazione si disperde una volta saliti in macchina. È come buttare il libro una volta fatto l’esame». Ma se questa considerazione suona come una denuncia di un limite, poco più avanti l’attrice tiene a precisare: «Anche noi abbiamo i nostri alunni, ma insegniamo a tradimento. Erano venuti solo per distrarsi...».

Conclude con il ricordo più significativo della sua vita professionale, un episodio che in giovinezza le dà conferma che il suo interesse per il teatro non è un fuoco di paglia ma, appunto, una vocazione: «Qual è il ricordo più importante della mia carriera? Certo. La prima risata del pubblico. Facevo una parte infinitesimale nella Parigina di Becque. Dico la prima delle mie poche battute. Risata. Indimenticabile. Soprattutto perché sapevo che solo detta così avrebbero riso».

Il pubblico in sala la festeggia. L’attrice, dando prova una volta di più della sua «irrefrenabile attitudine all’esibizione», ha ancora in serbo un’ultima battuta: «Se vi rimangono ancora dubbi sul conferimento della laurea... sono stata anch’io un’alunna. Interrogatemi!».


 
Foto Stefania Ciocca

(Foto Stefania Ciocca)
 



 




 
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