Il poderoso Annale 2010 di «Teatro e Storia» è dedicato allarte dellattore, occidentale ed orientale, e alla sua relazione con lo spettatore. È dedicato in particolare a tre punti di riferimento per la riflessione e la pratica dattore: Claudio Meldolesi, Torgeir Wethal e Alessandro dAmico, scomparsi recentemente. Nella lettera scritta in memoria di questultimo, Stefano Geraci rileva come il teatro fosse diventato «lessico familiare» per il figlio darte. Il dossier Per Torgeir Wethal, attore è un omaggio al fondatore, insieme ad Eugenio Barba, della storica ensemble dellOdin Teatret. Lettere, immagini e interventi di amici attori e studiosi ricordano con stima, sorriso e un pizzico di malinconia larte di questo «attore politico», per dirla con le parole di Ferdinando Taviani. In appendice è riportato la trascrizione integrale della conferenza Istantanee di Wethal al Teatro La Madrugada di Milano, l11 ottobre 2002.
Lo spazio dedicato agli studi di Claudio Meldolesi include una riflessione critica di Raimondo Guarino su La microsocietà degli attori. Una storia di tre secoli e più (1984) e un dossier di sette scritti rari dello storico, testimonianze folgoranti del suo impegno nel rinnovamento degli studi teatrali. Nel saggio sulla «microsocietà» Meldolesi ricostruisce le tracce lasciate dagli attori professionisti in ununica durata temporale dal Seicento al primo Novecento, quando la nascita della regia portò a un ridimensionamento del loro primato. La riflessione di Meldolesi mette a confronto attori e tempi della storia, esaminando il contrasto tra vicende personali e condizioni del mestiere teatrale. Lattore, ereditario delle tradizioni spettacolari e abitante «di un mondo separato e di un tempo spostato», è sempre orientato verso le emozioni e la sensibilità collettiva. Guarino sottolinea come il concetto della microsocietà degli attori, proiezione in scala minore delle dinamiche della società civile, abbia contribuito (sulla scia della nuova storiografia di Braudel, Febvre, ma anche di Macchia e Foucault) alla collocazione del teatro nel tempo e negli spazi della storia generale. Gli altri scritti di Meldolesi dimostrano limpegno dello studioso nel salvaguardare i valori della ricerca dei teatri marginali, polemizzano sul tanto discusso fenomeno della nascita della regia teatrale e sulla risonanza di questa nellopera dei grandi attori.
Ferdinando Taviani porta avanti le riflessioni di Meldolesi, annottando una serie di appunti sul futuro dellarte dellattore di teatro. Unarte in progressiva, seppure non definitiva, estinzione. Lautore analizza quel tipo particolare dattore le cui tecniche sceniche consistono nella relazione che questo intreccia con lo spettatore, ogni volta ex novo.
Luciano Mariti esamina lincidenza del corso temporale nella costruzione, rappresentazione e ricezione dellevento scenico, riflettendo sulla disattenzione storiografica a riguardo. Gli studi teatrali valutano il fattore tempo in quanto correlativo della variabile spazio, senza approfondire quella qualità temporale, non misurabile e specifica della dimensione performativa, scaturita dalla relazione attore-spettatore. Il saggio, sulla scia degli stimoli provenienti dalla neuroscienza, la musica e il cinema, si sofferma sul concetto teorico-pragmatico di sospensione – il cui potenziamento porta alla suspance – unico modo che permette di cogliere il tempo soggettivo della finzione, la sua durata e dinamicità.
Lettera sulle emozioni. Lofferta di un krapfen, questo il titolo dellintervento di Mirella Schino che esamina una questione annosa e poco sondata dagli studi teatrali: il rapporto spettacolo-emozioni. La studiosa esplora le dinamiche che permettono laffollarsi e linterazione delle emozioni tra attore e spettatore; osserva la loro natura composita, dove elementi personali si intrecciano ad altri condivisi collettivamente; riflette infine sullunicità di questi stimoli psico-fisici. Limmagine del krapfen evoca la relazione tra l«involucro» e il «ripieno» del teatro, le condizioni date da un lato e quella materia nebulosa e inafferrabile che è il gioco delle emozioni.
Lo sguardo analitico dei saggi di Matteo Casari e Pierangelo Pompa si sposta rispettivamente in Giappone e Cina dove si riscontrano alcuni fenomeni di carattere interdisciplinare e transculturale. Casari esamina linterrelazione cinema-teatro nella figura del benshi, il commentatore dei film dal vivo nelle sale nipponiche del primo Novecento. Lartista narratore offriva una fruizione marcatamente teatrale dellesperienza cinematografica, diventando il primo motivo di interesse del pubblico che frequentava le sale. La progressiva preminenza del benshi, annota lautore, influenzò persino gli aspetti produttivi ed estetico-narrativi della settima arte. Locchio eurasiano di Mei Lanfang è incentrato invece su alcune recensioni di spettacoli stranieri di Lanfang, il massimo rappresentante della scena cinese negli anni Cinquanta durante la riforma realista del teatro tradizionale. Analizzando il linguaggio tecnico degli scritti, Pompa scopre dei principi comuni tra la tecnica recitativa del jingju (Opera di Pechino) e altri generi formalizzati come il Kabuki e il balletto classico indiano.
Fausto Malcovati ricostruisce il periodo italiano nei primi anni Trenta di Nemirovič-Dančenko, il grande critico letterario russo, artefice del Teatro dArte di Mosca insieme a Stanislavskij. Ricostruendo una rete di relazioni tra gli incontri, i progetti e le reazioni della stampa nei confronti dellattività di Dančenko, si disegna un profilo nuovo del panorama teatrale italiano in rapporto anche ai modelli della regia europea e ai condizionamenti culturali del Fascismo. Valeria Freiberg e Marina de Luca riflettono sul teatro sovietico del primo Novecento tramite la straordinaria figura di L. A. Sulerzickij (1872-1916), fondatore del Primo Studio del Teatro dArte. Le autrici decifrano un ritratto artistico di Suler, sottolineando il valore etico che sta alla base del suo pensiero teatrale anche in relazione alla stesura ed esegesi del futuro Sistema di Stanislavskij,
Lintervento di Francesca Ponzetti contribuisce alla costruzione dellignota vicenda del mecenate torinese Riccardo Gualini che aprì nel 1923 uno spazio culturale dedicato ai balletti e al Varietà: il Teatro Odeon. Lavventura dellOdeon, di breve ma intensa durata, fu un caso isolato di esperienze innovative e anticonvenzionali che accostava la prassi italiana alle più rilevanti manifestazioni teatrali europee.
I saggi di Giovanni Isgrò e Valentina Venturini esaminano lartigianale tradizione teatrale palermitana. Isgrò analizza due forme importanti del teatro siciliano: la farsa della «vastasata» e l«Opra dei pupi» in rapporto anche al contesto socio-politico e culturale dellisola tra il Settecento e lOttocento. Lo scritto Sullorigine (palermitana) dellOpera dei pupi ricostruisce, attraverso fonti inedite, lopera di Gaetano Greco e dei suoi discendenti pupari. La ricerca della Venturini si propone di sradicare lidea preconcetta dellOpra nelle accezioni di teatro minore, dialettale e popolare, considerandola unespressione di pura teatralità, da esplorare e rivalutare.
Concludono lAnnale alcune note su Guido Salvini, uno delle più eclettiche personalità della scena italiana del primo Novecento. Allestitore e scenografo di importanti messinscene, Salvini fu tra i primi ad incarnare concretamente il nascente mestiere del regista, partecipando attivamente alla sua definizione anche sul piano critico-teorico.
di Adela Gjata
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