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Il castello di Elsinore a. XXIV, n. 63, 2011


a. XXIV, n. 63, 2011, pp. 121, euro 18
ISSN 978-88-7470-126-1

Il sessantatreesimo numero del «Castello di Elsinore» si apre con la lucida analisi del Macbeth ad opera di Roberto Alonge. «Macbeth», il sogno dell’eternità (e comunque il peggiore è Macduff) esplora, tramite un’analisi minuta degli idiomi shakespeariani, la sottile concatenazione psicologica che corre tra la profezia delle Streghe e le sorti dei coniugi Macbeth: dalla trama dell’omicidio del re alla scomparsa della ferrea Lady. La seconda parte del saggio si sofferma sull’antagonista di Macbeth, Macduff, l'unico uomo che avrebbe potuto sconfiggere Macbeth secondo l'oracolo delle Streghe. Ciò che unisce protagonista e antagonista è il loro essere estranei alle leggi della natura: il primo è il «demone dell'Anti Natura» che vive nell'illusione dell'eternità; il secondo fugge in Inghilterra abbandonando inaspettatamente moglie e figli. Entrambi i personaggi sono contraddistinti da indoli anti-naturali, ma Macduff vince il primato in quanto uomo, no woman born, «non nato da una donna». Il male, conclude Alonge, può essere piegato solo da un altro male, è questo il messaggio ultimo della tragedia che si interroga sulla malvagità del mondo.

 

Paolo Bertinetti analizza la fortuna scenica della comedy of manners, un genere drammatico che riscosse immediato successo, ma la cui fortuna scenica fu influenzata profondamente dai fermenti politici, sociali e religiosi dell'Inghilterra. Nata all’epoca della Restaurazione di Carlo II (1660), la comedy of manners, di ambientazione mondana londinese, rispecchiava il linguaggio, i costumi e i valori dell’ascendente borghesia inglese. I plot delle commedie consistevano mediamente nella schermaglia amorosa tra la bella ereditiera e il corteggiatore libertino intenzionato a migliorare la propria situazione economica. Il pamphlet di  Jeremy Collier del 1698 contro «l’immoralità del teatro» coevo ridimensionò radicalmente la produzione drammaturgica, stabilendo il modello della storia esemplare che punisce il vizio e premia la virtù. Si dovette aspettare il ventesimo secolo per la rivalutazione critica e pratica della comedy of manners in quanto genere drammatico specifico, basato sull’idillio del matrimonio d’amore alla ricerca utopica di un mondo migliore.  

 

Zapolya (1816) è il dramma simbolo della riforma teatrale auspicata da Samuel Taylor Coleridge, un crogiuolo di «istanze politiche, morali, metafisiche ed estetiche» che intendeva trasmettere valori di ordine morale e estetico ad un ampio pubblico, stimolandone anche l’immaginazione. Paola Degli Esposti attua un’analisi intertestuale del dramma romantico di Coleridge e delle opere di due modelli assoluti: Shakespeare da un lato, il più alto esempio di opera immaginativa, e quindi educativa, e Schiller dall’altro, nella fattispecie con la trilogia di Wallenstein. La temperie shakespeariana di Zapolya è immediatamente riscontrabile nel trattamento anticonvenzionale dell’unità di tempo: tra il Preludio e il Seguito del dramma trascorrono di fatto venti anni. Questi intertesti drammatici sono depurati dal filtro dell’intento educativo e dell’azione morale, parte integrante della riforma teatrale auspicata da Coleridge.

 

Il Risorgimento italiano visto dalla Scandinavia è l’omaggio di Franco Perrelli all’unità d’Italia nel suo centocinquantesimo anniversario. Il punto di vista del saggio è quello dei grandi intellettuali scandinavi dell’Ottocento che consideravano il processo dell’unità italiana un evento di portata straordinaria a livello europeo. Mazzini, Cavour, Garibaldi e il re Vittorio Emanuele II divenivano eroi e modelli da seguire, trascendendo, con la loro rivoluzione, la sfera della politica e dell’azione storica: venivano recepiti come protagonisti di un dramma storico poderoso e appassionante capace di educare e destare le coscienze e l’orgoglio nazionale dei popoli scandinavi. L’influsso del Risorgimento italiano è palese nell’opera di sensibilizzazione di alcuni grandi poeti e scrittori quale Bjornson, Ibsen e Bætzmann che invitavano il popolo norvegese a risollevare le sorti della nazione, ma anche nei saggi del critico danese Georg Brandes sull’epopea garibaldina. Gli scrittori scandinavi coglievano le vicende che portarono all’unità d’Italia come un processo storico complesso e problematico, permeato di chiaroscuri ed eventi insieme gloriosi e ingloriosi.

 

Le scene dell’Ingegnere di Paolo Puppa, rilevano alcune tipologie visive ricorrenti nella scrittura di Carlo Emilio Gadda. Per quel che concerne il teatro, l’atteggiamento dello scrittore milanese oscilla tra apprezzamento e disprezzo, un contrasto alimentato dalla distanza tra il linguaggio manierista del poeta e le necessità del linguaggio scenico, indirizzandolo versa una sorta di «autocensura linguistica». Le sue visioni teatrali rientrano, in linea di massima nell’orbita della parodia del sistema spettacolare e dell’opera lirica in particolare. Il teatro di Gadda va cercato, secondo l’autore, in certi racconti contraddistinti dall'accentuato uso del dialetto e del vernacolo (vedi l’Adalgisa e La resurrezione di Lazzaro per esempio), ma anche nelle sue osservazioni da spettatore, annotazioni significative sulla prassi scenica, il linguaggio e la regia. 

 

Stefano Locatelli si avvicina al tanto discusso e preoccupante fenomeno della riduzione del FUS (Fondo unico per lo spettacolo), riflettendo sulle origini e cause che hanno portato all’attuale sistema del finanziamento pubblico al teatro in Italia, auspicandone una riforma strutturale. La dichiarate critiche di Alessandro Baricco alle sovvenzioni statali in materia di teatro, apparse su «la Repubblica» del 24 febbraio 2009, – articolo che suscitò l’indignazione di tanti teatranti e intellettuali – ricordano a Locatelli il pensiero di Paolo Grassi negli anni della fondazione del Piccolo di Milano. Il direttore del Piccolo riteneva che i finanziamenti pubblici dovessero premiare le più rilevanti esperienze nazionali, come, appunto, quella dell'istituzione che presiedeva. Grassi, grazie a un’abile politica culturale basata sull’idea di un teatro d’arte accessibile da tutti, se da un lato fece guadagnare al Piccolo lo status del primo Teatro Stabile in Italia, dall’altra parte aprì la strada all’edificazione di altri Stabili, più o meno validi, e al conseguente sistema di sovvenzioni a pioggia, che è frutto dell’eredità fascista, precisa Locatelli, protrattasi senza cambiamenti rilevanti fino ai giorni nostri. Questo diffuso atteggiamento ha portato in ultima analisi alla sconfitta stessa del teatro, alla sua «marginalizzazione» presso l’opinione pubblica.

 

La sezione “Materiali” del periodico tratta dell’esperienza del comico d’arte Antonio Sacco alla corte di San Pietroburgo negli anni 1733-’34, tratto dalla tesi di dottorato Antonio Sacco comico italiano dalla corte di San Pietroburgo alle commedie di Goldoni e Chiari di Lorenzo Colavecchia (Tutor Prof. Siro Ferrone, coordinatrice Prof.ssa Sara Mamone, XXII ciclo, 2007-2009). L’intervento di Colavecchia fornisce precise informazioni sul contesto culturale della corte russa, le modalità organizzative della compagnia d’arte, i luoghi delle rappresentazioni, i costumi, gli stipendi, i componenti della compagnia e le scelte di repertorio. La tipologia dei canovacci e le caratteristiche delle performances di Sacco nel ruolo del secondo zanni vengono esaminate tramite l’analisi dettagliata de I quattro Arlecchini, una delle pièces che riscossero maggior successo in Russia.



di Adela Gjata


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