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Mara Fazio

François-Joseph Talma. Le théâtre et l’histoire de la Révolution à la Restauration


Paris, CNRS Éditions, 2011, pp. 334, euro 49,00
ISBN 978-2-271-06356-4

Fra le originali ricerche storiografiche ed estetiche, ormai tradizione nella Collana Arts du Spectacle (che s’affianca a Les voies de la création théâtrale) diretta da Béatrice Picon-Vallin per il CNRS, s’inserisce il volume di un’autrice italiana a colmare un vuoto ritenuto significativo nella cultura francese. La biografia critica di François-Joseph Talma appare summa e bilancio, non soltanto di una personalità eminente, ma di un’epoca intera. L’opera elude particolari ricorrenze celebrative e perciò ne risulta ancor più decantato il senso, a un decennio dalla sua prima pubblicazione (Milano, 1999). Nel bicentenario della Rivoluzione, del resto, il Convegno Lo spettacolo nella Rivoluzione Francese aveva consacrato protagonista il grande attore (Atti, Roma, 1989). «C’était l’acteur tragique le plus populaire et le plus représentatif de son époque, qui était aussi l’époque de Goethe et de Napoléon, de Madame de Staël et de Stendhal [...]. Une époque dont les transformations radicales n’ont jamais cessé de nous concerner [...]. De son vivant, il représenta, tout comme Talleyrand, un cas paradoxal de continuité et de transformation» (p. 5). In un momento in cui la politica e la verità di cronaca facevano concorrenza al teatro, Talma comprese che la tragedia poteva diventare un’arma di lotta politica e che anche la sua professione era in grado di accordarsi con il gusto e l’ideologia del potere attuale, di cui sfruttò la forza a proprio vantaggio, senza sminuire l’arte d’elezione. Il giudizio di Goethe considerava tali polivalenze: «Talma è una magnifica persona che, come tutti noi, soffre tuttavia degli elementi nei quali si trova immerso: mentre lotta contro le intemperie, è costretto a prendere, coscientemente o inconsciamente, strani percorsi, che sembrano allontanarlo dalla meta a cui seriamente anela».

 

Con tali premesse, il metodo della biografa si afferma rigoroso: «Je ne voulais pas perpetuer la légende de Talma, mais la comprendre». Così Mara Fazio ristabilisce cronologie e precisa avvenimenti (al posto di aneddoti curiosi e noti) e scambi personali documentati (invece di ricordi e illazioni). Si sofferma necessariamente sui rapporti dell’artista col Théâtre-Français: «Bien plus que l’institution qui devait transmettre le répertoire classique, c’était le forum de la Nation, un centre d’information politique où l’on interrompait les spectacles pour lire les communiqués de guerre» (p. 5). L’intersezione fra Storia e vicenda dell’artista è seguita costantemente, nella convinzione che «était possibile d’écrire un livre d’histoire sur Talma […] un livre qui ne perpétuerait pas le mythe, mais qui essayerait de l’expliquer, en racontant une vie déduite uniquement de materiaux authentiques [...]. Je compris aussi que l’histoire du théâtre, géneralement considérée comme auxiliaire, pouvait devenir une cléf pour entrer dans l’Histoire» (pp. 7-8). La trattazione è distribuita cronologicamente in quattro parti: Les années de formation (1763-1789); L’Acteur de la Révolution (1789-1799); L’Acteur de Bonaparte (1799-1814); La star libérale et franc-maçonne (1814-1826).

 

La prima educazione e l’apprendistato partono dal soggiorno della famiglia Talma a Londra, dove il padre esercita la professione di dentista e dove François-Joseph ne impara il mestiere. Rispondendo al richiamo del teatro, frequenta a Parigi l’École royale dramatique nel 1786. Per il suo precoce talento ottiene subito successo alla Comédie-Française, acteur jeune nel ruolo di Séide in Mahomet, di Voltaire (1787). Lascia la Maison de Molière (allora con sede all’Odéon) nel 1791, per fondare il Théâtre-Français de la rue Richelieu. Consigli straordinariamente competenti gli vengono dal padre, che lo accompagna, con lettere da Londra, nei primi ruoli importanti, come in Charles IX, di M.-J. Chénier (1789) per il quale è riconosciuto attore della Rivoluzione (p. 32). La pièce che rappresentava la notte di San Bartolomeo, costituiva il primo caso di tragedia patriottica. «Dans cette espace vide…la performance de Talma sur la scène du Théâtre-Français fut un événement à la fois théâtrale et évolutionnaire, un acte même de révolution» (p. 33). L’attore preferisce intanto testi contemporanei, con i quali imporre il nuovo ruolo di attore borghese e popolare, più attento al giudizio del pubblico che non al rispetto dei canoni d’élite. Al Théâtre de la Nation (nuovo nome della Comédie), Talma intendeva introdurre riforme che gli altri pensionnaires non erano propensi a condividere.

 

Nel 1791 inaugurò il suo Théatre-Français, «mais en raison des circonstances Talma ne pourra réaliser qu’une partie de son rêve de toute puissance. C’est seulement dans le jeu dramatique et dans le choix du costume, où il pouvait dècider et agir seul, qu’il lui sera donné d’accomplir une véritable réforme, d’imposer un style nouveau» (p. 58).  Seguono progetti, sogni forse, sotto l’apparenza talvolta perfino proterva che emana dall’energica presenza scenica profusa nell’abile commistione fra vita e arte. Cresce comunque il legame dell’interprete con i massimi esponenti sociali; apprezzato da Mirabeau, viene acclamato attore della Rivoluzione; poi stabilirà il rapporto particolarmente ravvicinato e devoto con Napoleone, fonte di tante soddisfazioni e contrasti. Mentre il gusto dello spettatore inclina verso il melodramma, i ruoli che rendono l’attore familiare e celebre a un pubblico sempre più vasto, vanno da Henri VIII, di M.-J. Chénier, Le Cid, di Corneille e Brutus, di Voltaire; interpretando Richard III o Macbeth, esprime congenialità con i ruoli shakespeariani “negativi”. Momenti speciali sono costituiti infatti dalle prime rappresentazioni di drammi di Shakespeare, nei rifacimenti disinvolti e fantasiosi di Jean-François Ducis, partendo da traduzioni improbabili, con eliminazione e invenzione di personaggi addirittura: tipico il caso di Hamlet, dato nel 1803.

 

Ma il genio di Talma innova sia il repertorio, sia lo stile e la dizione dei versi. «Il trouva un heureux compromis entre une expression libre et immédiate et une diction élevée: il inaugura ainsi un nouveau style tragique plus sobre et plus rigoureux» (p. 59). Inoltre, cogliendo la sensibilità del pubblico, attratto dal boulevard, sa anticipare comportamenti e gestualità inedite in scena, quali la mimica, il movimento, il voltare le spalle alla sala, il costume a braccia nude. Ciò è perseguito sempre – nell’auto-formazione assidua che si impone – con l’attenzione alla pregnanza, al tempo decisiva, dei modelli rappresentati dalla pittura. Memore della lezione di David Garrick (modello di acteur moderne per Maria I. Aliverti, La naissance de l’acteur moderne, Gallimard, 1998), anche l’attore francese si modernizza e «promut un jeu dramatique extrêmement figuratif […] adapta le langage du mouvement à la tragédie classique, il devint à sa façon peintre» (p. 60). Analogamente mostra adattabilità, in condizioni sociali e politiche mutevoli, alla situazione del gusto e dell’estetica. Presenza originale la sua, anche nell’instaurarsi della Festa e del melodramma popolari, al varco fra  classicismo e romanticismo. Quando Talma rappresenta Abdélazis et Zuleima, di Murville (sintesi romanzesca ed esotica con trionfo del popolo e delle virtù civili) è nello spirito della pedagogia rivoluzionaria, per cui le arti educano il cittadino. Scampato al Terrore, la sua partecipazione alla Comédie-Française fomenta l’eterna rivalità (e invidia?) coi pensionnaires, causata dal suo carisma corroborato dagli appoggi più potenti.  

 

L’ascesa di Napoleone comporta una politica culturale e teatrale nella quale il ruolo di Talma è enfatizzato. Nel libro, il parallelo fra le due personalità, insistito e puntuale, è convincente; quasi che gli avvenimenti decisivi per il politico si riflettessero in quelli dell’artista e viceversa. Napoleone intanto, aveva indirizzato agli attori del Français una Lettera (gennaio 1801), promotrice del repertorio fondato sulla storia greca e romana. Se pochi anni prima, grazie al Brutus, «romain veut dire révolutionnaire», ora col repertorio dedicato agli antichi splendono i fasti del Console e dell’Imperatore. Di quel repertorio, l’attore è l’interprete più amato dal 1799 al 1814. Finché al crepuscolo e alla caduta del Bonaparte, l’attore riesce a incarnare l’attualità, senza apparire sleale o traditore verso colui che lo aveva sostenuto e gratificato. Entrato a Parigi lo zar Alessandro, accolto come un salvatore, toccò ancora a Talma il gesto più ingrato quando, dopo la recita di Achille in Iphigénie, di Racine, lesse un manifesto oltranzista monarchico, contenente la «bénediction des vaincus» al sovrano (p. 172). Ma l’episodio è forse anche ulteriore prova della  solitudine e della diversità sofferta da Talma nel regno artistico del suo tempo; come anche la sua capacità di adattamento, nella seconda Restaurazione, è sorprendente, allorché forze ancora avverse si disputano la gestione culturale della Nazione. «Au sein des institutions littéraires et du public des théâtres commença la lutte entre romantiques royalistes et libéraux classicistes» (p. 187). Vero scacco irreparabile, che gli venisse rifiutata la direzione della Comédie (p. 220).

 

Nell’indiscusso rilievo che assume l’opera dell’attore in rapporto al gusto e all’organizzazione dell’epoca, è la peculiarità artistica a renderlo unico: «Le secret de Talma, ce qui faisait son originalité, c’était sa manière laborieuse et totalisante de travailler, de comprendre et d’exercer son métier d’acteur» (p. 183); il mettersi in discussione, passando per tutti i generi drammatici e tutte le caratterizzazioni; fino a imporsi anche nella commedia, con L’École des vieillards, di Casimir Delavigne (1824). Un episodio finora non sottolineato è l’Introduzione di Talma a Mémoires de Le Kain, raro contributo testuale ufficiale, che Stendhal stronca e che anche l’autrice giudica inadeguato, però contestualizzandolo. Confortato dai recenti consensi e privilegi, Talma recita l’ultimo ruolo in Charles VI, di Alexandre de La Ville de Mirmont (1826): con un testo scadente, l’attore realizza il proprio capolavoro. Muore in quell’anno. Il funerale, in pompa magna civile, poiché rifiuta il rito religioso con scelta inaudita, è un trionfo: «Il obtint par plébiscite le rôle publique qui ne lui avait pas été reconnu de son vivant. Comme il l’avait prévu, son enterrement se transforma en une rédemption» (p. 247).      

                                                                                  
di Gianni Poli


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