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Alberto Moravia - Cinema italiano
Recensioni e interventi 1933-1990
A cura di Alberto Pezzotta e Anna Gilardelli

Milano, Bompiani, 2010, p. 1624, euro 34.00
ISBN 978-88-452-6545-7

Encomiabile lavoro quello fatto da Alberto Pezzotta e Anna Gilardelli, che hanno raccolto in un voluminoso libro (1600 pagine circa, edito da Bompiani) le recensioni di film italiani scritte e pubblicate da Alberto Moravia tra il 1944 e il 1990 (ma anche interventi, saggi, interviste che ricostruiscono il lunghissimo rapporto che lo scrittore ebbe con il cinema nella veste – poco studiata – di critico, in particolare sulle pagine de «L'Espresso», su cui egli scrisse in maniera regolare dal 1955 in poi). Scrive giustamente Pezzotta nell'introduzione: «Spesso i critici di mestiere hanno rinfacciato a Moravia di non essere uno specialista: gli strumenti che egli usa, infatti, non sono attinti dalla storia e dalla teoria del cinema. Ma non è neanche un dilettante, un critico “di gusto”, un semplice elzevirista, come tanti altri critici-letterati. Basterebbe un solo particolare linguistico a differenziare Moravia da scrittori-critici quali Marotta e Soldati: questi ultimi scrivono ostentando la prima persona, usano il pronome “io” per ricondurre ogni giudizio, reazione, scatto umorale a un soggetto che sta a metà tra il personaggio autobiografico e la personalità pubblica. Moravia, invece, all'“io” preferisce un “noi” impersonale: nelle sue recensioni intende elevarsi al di sopra della parzialità del gusto individuale, per farsi guida e portavoce di una società, o perlomeno di una comunità di teste pensanti. L'ambizione è maggiore, ma segnala una dimensione civile e intellettuale spesso sconosciuta sia agli scrittori-critici sia ai critici specialisti e cinefili».

 

E' probabilmente qui la chiave di quello che rappresenta a tutti gli effetti un vero e proprio sistema di pensiero, su cui però è bene fare una puntualizzazione: se da una parte, leggendo gli scritti di Moravia sul cinema, è impossibile negare il fatto che l'analisi sul contenuto narrativo del film sia alla lunga più complessa, arguta e profonda rispetto a quella formale (da qui l'accusa di dilettantismo che gli è sempre stata mossa dai critici di professione), dall'altra si percepisce lo sforzo di considerare il cinema come un «linguaggio», certo assai diverso dalla letteratura, ma insieme a questa indispensabile nel cercare di capire le trasformazioni della contemporaneità. Le recensioni di Moravia non sono né “alte” (non veicolano cioè un particolare credo estetico o ideologico), né “basse” (non si fermano mai alla semplice superficie), ma si trasformano sovente in una riflessione più ampia sulla società e il costume dell'Italia del secondo Novecento. L'approccio non specialistico alla materia ha dunque permesso a Moravia di non relegare la sua riflessione al film inteso solo come feticcio o oggetto di studio/culto per pochi iniziati, ma di considerarlo come motivo su cui poter aprire (anche) un discorso sull'Italia (e sul mondo, visto che scrisse anche sui film stranieri).

 

Questa ricchissima raccolta fornisce anche una testimonianza sui gusti dello scrittore: le preferenze vanno al cinema d'autore, in particolare a quello dei tanto amati Fellini e Antonioni, ma anche a Visconti (nella recensione di Ossessione Moravia coglie alcuni degli aspetti più rivoluzionari del film) e alla generazione successiva, quella di Pasolini, Bertolucci, Bellocchio, Ferreri ecc., tanto che se si volessero fare delle antologie monografiche si scoprirebbe che lo scrittore ha dedicato moltissime riflessioni al cinema di questi registi, evidenziandone sia gli aspetti più originali e riusciti, sia i difetti e le mancanze. Anche se Moravia non ha la divertita acutezza, la sagacia intellettuale e lo sguardo cinico di Ennio Flaiano (di cui l'Adelphi ha da poco ripubblicato il bellissimo Lo spettatore addormentato, che raccoglie le recensioni e gli interventi sul teatro e sul cinema scritti negli stessi anni), la lettura delle recensioni cinematografiche di Moravia se non altro ci riporta (con un pizzico di nostalgia) a un tempo in cui, soprattutto in Italia, erano molto più intensi gli scambi tra le varie attività culturali. Poi venne il tempo delle torri d'avorio e niente fu più come prima.


 

Marco Luceri


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