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Il Teatro Verdi di Padova 1992-2010
Storia, cronache e immagini con lo Stabile del Veneto
A cura di Carmelo Alberti

Venezia, Marsilio, 2010, pp. 126, € 20,00
ISBN 978-88-317-0842-5

«Su questo palco sono passati tutti, hanno emozionato in molti, i grandi maestri, i testi immortali, le voci, la storia e speriamo il futuro del nostro teatro». Le parole di Alessandro Gassman si riferiscono al Teatro Verdi di Padova, di cui è direttore dal 2010, e sono pubblicate nel volume Il Teatro Verdi di Padova 1992-2010. Storia, cronache e immagini con lo Stabile del Veneto. Affidato alla cura di Carmelo Alberti, il libro si conclude dove inizia la gestione di Gassman, perché l’obiettivo è ripercorrere e raccontare un percorso culturale forte di esperienze e progetti maturati nel tempo. Così il passato, anche remoto, è chiamato a legittimare il ruolo primario assunto dall’ente nel territorio veneto e la sua posizione nel panorama italiano. Il ricco e raffinato apparato fotografico illustra la cifra stilistica degli spettacoli prodotti e ospitati nel periodo 1992-2010.

 

Il contributo di Carmelo Alberti, Padova, la città, il teatro, si muove in questa direzione. In poche ma luminose pagine lo studioso cala il Teatro Nuovo, nome originario del Teatro Verdi, nella vita dello spettacolo cittadino tra Sette e Ottocento, animata anche dall’attività del rivale Teatro Obizzi dove agivano prevalentemente compagnie di prosa. Il Teatro Nuovo, costruito per iniziativa della Nobile società, fu inaugurato l’11 giugno 1751 con Artaserse, dramma per musica di Baldassare Galoppi su libretto di Pietro Metastasio. Sul cadere del secolo visse stagioni di crisi, cercò il riscatto ingaggiando compagnie di grido come quelle dirette da Francesco Paganini (1790) e da Pietro Andolfati (1791). La parentesi giacobina, spiega Alberti, produsse cambiamenti negli orientamenti dei repertori. Indicativa in merito è la messinscena di Alzira di Gaetano Rossi con musica di Giuseppe Nicolini, un dramma che sviluppa i temi illuministici di uguaglianza e umanitarismo, affrontati, tra i tanti esempi, anche nel Matrimonio democratico di Antonio Simeone Sografi allestito dalla compagnia di Carlo Battaglia con Napoleone presente in sala, solo per una parte dello spettacolo. Con il passaggio dei territori veneti all’Austria non si avvertirono particolari cambiamenti. «L’ordine imperiale – scrive Alberti – ribadisce la necessità di trasmettere una serenità impossibile» (p. 31).

 

Il pubblico assistette a spettacoli tratti da Goldoni e Gozzi nelle versioni della compagnia di Giuseppe Pellandi. Nell’Ottocento il Teatro Nuovo, oltre ad essere il fulcro della vita dello spettacolo cittadino, consolidò il ruolo di promotore della lirica nel territorio veneto (spicca il debutto di Nabucco di Giuseppe Verdi nel 1843) e si qualificò come piazza privilegiata per le compagnie di prosa più affermate, tra le quali spiccano quelle di Elisabetta Marchionni, Luigi Duse, Giacomo e Gustavo Modena. Nel 1846 l’edificio fu sottoposto a lavori di restauro che interessarono la facciata realizzata da Giuseppe Jappelli, il progettista del caffè Pedrocchi, la sala e il palco. Un altro e più radicale intervento fu svolto dall’architetto Achille Sfondrini tra il 1882 e il 1884, anno in cui il teatro riaprì i battenti con il nome di Verdi. Per l’occasione si tenne la messinscena di Aida. Le ospitalità di grandi attori italiani continuarono negli anni a cavallo tra Otto e Novecento e riguardarono Eleonora Duse, Ermete Novelli, Virgilio Talli, Ermete Zacconi. La storia del Novecento si sviluppò intorno alla promozione della musica e dello spettacolo teatrale. Dal 1951 al 1988 la compilazione dei cartelloni fu di competenza dell’Ente Teatrale Italiano (ETI), dal 1988 al 1992 il Teatro Verdi fu la sede di Venetoteatro, per poi diventare la ‘casa’ del Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni.

 

Una passeggiata verso il teatro è il titolo del contributo di Romolo Bugaro. Si tratta di un itinerario lungo le strade e piazze storiche della città, ravvivato da suoni e rumori, luci e uomini, che si conclude davanti al Teatro Verdi, spazio del silenzio dove «per qualche misteriosa ragione, il traffico non produce rumore» (p. 51).

 

Compete a Giorgio Pullini la sintesi di Diciott’anni di prosa al Verdi, che inizia con la considerazione degli Stabili attivi a Padova prima del 1992, dal Teatro dell’Università alla Cooperativa Teatro Stabile di Padova a Venetoteatro, per poi seguire la programmazione dei vari direttori. Giulio Bosetti, in carica dal 1992 al 1997, si avvalse del contributo di Gianfranco De Bosio e Marco Sciaccaluga, autori di pregevoli allestimenti di commedie di Svevo, Moliére e soprattutto Goldoni, dal repertorio del quale, per esempio, nella stagione 1994-1995 Giuseppe Emiliani trasse Chi la fa l’aspetta, iniziando così una collaborazione tuttora in corso. Bosetti concluse il mandato con la produzione di due spettacoli di tradizione veneta e legati alla sua stessa carriera: La Moscheta di Angelo Beolco detto il Ruzante e Se no i xe mati no li volemo di Gino Rocca. Dopo la direzione biennale di Mauro Carbonoli, caratterizzata dalla diffusione del teatro veneto e dall’impulso dato alla drammaturgia contemporanea, iniziò la decennale gestione di Luca De Fusco. Il regista si dimostrò fedele alla valorizzazione del repertorio goldoniano e attento alla scrittura moderna, segnatamente quella finalizzata alla riduzione teatrale di romanzi, coinvolgendo Giuseppe Manfridi, Edoardo Sanguineti, Tullio Kezich. È sufficiente in merito ricordare gli allestimenti ricavati da L’isola del tesoro e da La certosa di Parma (2000-2001). La passione di De Fusco per il Sei e Settecento si tradusse nella stagione 2003-2004 nella produzione del molieriano George Dandin, Trionfo dell’amore di Marivaux e Mémoires di Goldoni per la regia di Maurizio Scaparro; nella stagione successiva spiccano i titoli del Malato immaginario con Massimo Dapporto protagonista e della Trilogia della villeggiatura che affiancò per il successo ottenuto La famiglia dell’antiquario (2007-2008) trasferita sul palcoscenico del Teatro Verdi da Lluis Pasqual e interpretata da Eros Pagni. Il ciclo di De Fusco si concluse con Vestire gli ignudi, primo testo pirandelliano prodotto dal Teatro Stabile del Veneto nel corso della sua storia.

 

 

di Massimo Bertoldi


La copertina

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