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Paola Trivero

Oreste di Alfieri per Vittorio Gassman


Edizioni ETS, Pisa, 2010, euro 18,00, pp. 175
ISBN 978-884672000-9

Lo studio di Paola Trivero analizza la messa in scena dell'Oreste di Alfieri con Vittorio Gassman nella doppia veste di regista e interprete principale. Lo spettacolo, che debuttò a Reggio Emilia fine aprile 1957, ebbe anche una certa risonanza europea nel maggio dello stesso anno quando fu rappresentato al prestigioso teatro Sarah Bernhardt di Parigi. L’incontro di Gassman con la tragedia alfieriana risale agli anni dell’Accademia d’Arte Drammatica ed ha la prima consacrazione il 9 aprile 1949 quando, al teatro Quirino di Roma, si assiste alla prima della spettacolare messinscena orchestrata da Luchino Visconti. Pièce non particolarmente amata dall’aristocratico Visconti che si fa convincere dal «grande attore nuovo», come lo definisce emblematicamente Silvio d'Amico, a confrontarsi con un autore tragico messo in ombra dal teatro italiano del Novecento.

 

Atto IV, scena 4. Oreste tra due soldati ed Egisto
 

Paola Trivero si avvicina alla messinscena di Gassman con una doppia prospettiva: all’indagine filologica della tragedia alferiana e del mito di Oreste accosta l’analisi dello spettacolo osservato grazie a una versione televisiva del 1958, riproposta nel 1985 insieme a una conversazione di Gassman con gli allievi dell’Accademia. Trattandosi di una registrazione che utilizza i mezzi linguistici propri dello strumento audiovisivo, si ha una lettura parziale e orientata del fatto teatrale, utilissima soprattutto nello studio dei fenomeni di carattere cinetico, come le azioni e la gestualità dell’attore. La ricostruzione dell’allestimento, basata sull’esegesi di fonti letterarie e multimediali in primis e integrata dalle testimonianze di Gassman stesso e da diversi documenti iconografici inseriti in appendice, svela la genesi, il processo e l’esito finale dello spettacolo.

 

Il mito di Oreste, variamente trattato da Eschilo, Sofocle ed Euripide, racconta le vicende del figlio di Agemennone ritornato ad Argo per vendicare il padre ucciso per mano di Clitennestra ed Egisto. Alfieri è affascinato dalla sublimità intrisa alla passione di vendetta che determina le azioni del protagonista e l’intreccio della favola. La tragedia, composta nel 1781 dopo quindici anni di lavoro, appartiene alla prima stagione tragica del poeta. Le novità introdotte nella versione alfieriana rispetto ai modelli antichi e moderni (Voltaire e Crébillon prevalentemente) risiedono soprattutto nel rafforzamento psicologico dei personaggi implicati in dolorose contraddizioni e in aggrovigliati rapporti famigliari. Emblematico è il personaggio di Clitennestra, perfettamente condensato nel verso «or moglie or madre, e non mai moglie o madre». Madre pervasa dal dolore e dai sensi di colpa, madre che si oppone ai figli per difendere il marito, ma anche moglie innamorata e non corrisposta, Clitennestra è un carattere squisitamente umano. 
 


Atto IV, scena 4. Oreste e Pilade arrestati
 

Le scene e i costumi di Gianni Polidori restituiscono la valenza mitologica della tragedia e rafforzano la condizione emotiva ed esistenziale dei personaggi. La scenografia è scandita da elementi dichiaratamente simbolici – la tomba di Agamennone, parti di un palazzo in rovina, una serie di gradini dall’andamento verticale – che di volta in volta assumono connotati diversi. Gassman/Oreste esordisce da vero mattatore, a spettacolo inoltrato, in cima ai gradini. Spicca l'ampia camicia bianca dal collo rialzato, i vistosi jabot e il cascante mantello nero, che attribuiscono al protagonista una sembianza vagamente byroniana. All'irruenza di Oreste fa da contrappunto la temperanza di Pilade interpretato da un giovanissimo Giulio Bosetti, che rappresenta l'alter-ego responsabile dell'eroe romantico. Egisto (Mario Feliciani) è il ritratto del classico tiranno. Indossa un ampio mantello, dal gran collo di pelliccia, ed è spesso colto in atteggiamenti che rimandano a certe immagini cinematografiche degli anni Cinquanta: il monarca addenta un frutto, beve da una coppa e si pulisce le labbra con il dorso della mano mentre ascolta e condanna. L’assegnazione delle parti femminili è l'elemento più innovativo dello spettacolo. Il regista affida il personaggio di Elettra ad una trentanovenne Elena Zareschi e quello di Clitennestra, regina di Argo, a Edmonda Aldini, appena ventitreenne. Ad una Elettra/Zareschi maestosa e dichiaratamente materna si contrappone una Clitennestra/Aldini imperiosa e seduttiva.

 

Gassman legge il testo alferiano come uno spartito musicale e come un melodramma  realizza la tragedia. Gli stessi personaggi si configurano come un «quintetto musicale»: Oreste-tenore, Zareschi-soprano, Aldini-contralto, Pilade-baritono. Elettra apre con il suo canto da soprano la piéce, Clitennestra intona la sua lacerata disperazione con una voce da contralto, Egisto accorda i suoi toni su quelli di un «mefistofelico» basso, mentre Oreste primeggia con gli atteggiamenti impetuosi e la vocalità da tenore. Spesso, prima di andare in scena, Gassman e i suoi attori ascoltavano in camerino brani di Spontini o di Verdi, alla ricerca di stimoli emotivi ai fini della resa scenica. Più di un secolo e mezzo prima, nel 1782, Alfieri fece precedere la recita della sua Antigone a Roma da una sinfonia di Cimarosa, per coinvolgere il pubblico in sala.

 


Atto V, scena ultima. Oreste dopo l'agnizione del matricidio

 

L'epilogo dell'Oreste di Gassman è conforme al concetto alferiano, ovvero «strabreve, rapidissimo, e per lo più tutto azione e spettacolo», ed è scandito dalla morte in scena di Egisto e dalla tragica agnizione del matricidio involontario da parte di Oreste. Alla trionfante irruzione iniziale dell'eroe tornato in patria per fare giustizia, corrisponde un Gassman perso nel delirio, ulteriore occasione per giocare l'ultima carta da mattatore. La critica nazionale ed estera elogiò il coraggio di «mettere in scena un’opera del passato con assoluta aderenza, senza ricorrere all’ironia», aderenza riferita soprattutto allo spirito del testo alferiano. Una messa in scena estremamente classica quindi, che intendeva agevolare la comprensione degli spigolosi endecasillabi alferiani e il linguaggio dell'opera, «pieno di contorsioni, aspro, difficile, faticoso da recitare».

 

Lo studio della Trivero intende celebrare un indiscusso protagonista della scena italiana del Novecento che, a sua volta, rende omaggio ad uno dei maggiori poeti tragici italiani. L'autrice, sulla scia dell'allestimento di Gassman, contribuisce a trarre dall'oblìo un’opera che, per il carattere mitologico dei personaggi e della fabula, è destinata a stare accanto alle grandiose vicende di Edipo, Eracle o Prometeo.

di Adela Gjata


La copertina

cast indice del volume


 

 

 

 

 
 


Bozzetti dei costumi
di Gianni Polidori 


 

 

 

 


 


Atto II, scena 2
Elettra e Oreste


 

 

 

 


 


Atto II, scena 2
Elettra e Oreste abbracciati;
 in piedi, Pilade


 

 

 

 


 


Atto V, scena 8
Oreste e Clitennestra 



 

 

 



 

 
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