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Da Canova a Modigliani. Il volto dell’Ottocento

A cura di Francesco Leone, Maria Vittoria Marini Clarelli, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi

Venezia, Marsilio, 2010. Euro 45.
ISBN 978-88-317-0729-9

Presso Palazzo Zabarella a Padova è in corso, fino al 27 febbraio, la mostra Da Canova a Modigliani. Il volto dell’Ottocento. L’allestimento e il catalogo, entrambi curati da Fernando Leone, Maria Vittoria Marini Clarelli, Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, propongono un percorso “lungo un secolo” tra oltre cento opere, prevalentemente pittoriche ma anche scultoree, legate dal comune file rouge del ritratto nella sua accezione più estesa: busti e figure intere, volti e ritratti familiari, in contesti ufficiali o in situazioni intime, si susseguono l’un l’altro recuperando la memoria di una storia tutta italiana, ma di respiro internazionale.

Le prime sezioni dell’esposizione propongono sculture e pitture del primo Ottocento. Dal canoviano busto di Napoleone primo console, eroe proiettato in una dimensione mitica il cui spessore intellettuale è espresso soprattutto dall’intensità dello sguardo, fino al «domestico intimismo psicologico» dell’effigie della marchesa Teresa Gamba Guiccioli osservata dall’occhio di Lorenzo Bartolini, la selezione dei marmi di Antonio Canova, Bertel Thorvaldsen, Lorenzo Bartolini, Pietro Tenerani ripercorre il «passaggio dal mondo neoclassico alla cultura figurativa romantica». Lo stesso itinerario, dalla grazia neoclassica al naturalismo romantico, è tracciato in parallelo anche dalle tele di Andrea Appiani, Giuseppe Bossi, Pelagio Palagi, Giuseppe Bezzuoli, Giuseppe Maria Mazzola, Carlo Arienti, Luigi Zandomeneghi, Francesco Hayez, Luigi Basiletti, Giovanni Andrea Carnovali detto il Piccio e Giuseppe Molteni.


Antonio Canova, Busto di Napoleone Bonaparte Primo console (1808)
 

Un’attenzione particolare è prestata ai ritratti di famiglia dal 1815 alla metà del XIX secolo. Quello della famiglia Antinori (1834) del toscano Giuseppe Bezzuoli e quello della famiglia Ferrero della Marmora dipinto nel 1828 da Pietro Ayres, sono individuati come i più eloquenti esempi della «poetica degli affetti nel mondo della Restaurazione». Il «vero sentimentale» è al centro dell’indagine purista che, a partire dalla Toscana, avrebbe coinvolto molti artisti nel secondo quarto del secolo: da Adeodato Malatesta a Placido Fabris, protagonista di una densa stagione ritrattistica in Veneto insieme a Teodoro Matteini, Michelangelo Grigoletti, Pompeo Marino Molmenti (di cui il percorso espositivo propone il Ritratto della famiglia Buzzati). Se il capolavoro degli anni Trenta è il ritratto della famiglia Barbiano di Belgiojoso d’Este eseguito da Giuseppe Molteni nel 1831, a segnare la svolta negli anni Cinquanta è il ritratto della famiglia di Vincenzo Vela (1857) di Enrico Gamba. Tra le opere di questa sezione della mostra si segnala inoltre il Ritratto della famiglia Bianchini (1855) di Antonio Ciseri.


Antonio Ciseri, La famiglia Bianchini (1855)
 

Suggestivo il capitolo che si sofferma sull’autoritratto e sulla rappresentazione del mestiere di pittore. Dall’autoritratto di Giuseppe Tominz con il fratello, a quello di Giacomo Trécourt in costume orientale, passando per Francesco Hayez (in posa di fronte a un leone e a una tigre in gabbia nel 1831), Jean Alaux detto Le Romain (L’atelier di Ingres a Roma nel 1818), Carlo Canella (che, nel 1837, ritrae il fratello Giuseppe a lavoro davanti a una tela nel suo studio), Mariano Guardabassi (Autoritratto con pappagallo, 1855) e Angelo Inganni (con due ritratti di Amanzia Guérillot, il primo nello studio, 1847-48, il secondo allo specchio, 1856-60), si evidenzia come nell’Ottocento la raffigurazione dell’artista perda il valore di riscatto sociale e autopromozione, acquisendo invece valenze etiche, psicologiche e sentimentali.

Essenziale la scelta di tele dedicate alla rappresentazione di alcune personalità del mondo del teatro e delle lettere. Accostati l’un l’altro i due ritratti divinizzati della ballerina Carlotta Charbert, entrambi risalenti agli anni Trenta, il primo di Pelagio Palagi, l’altro di Francesco Hayez. Allo stesso sarebbe spettato l’importante incarico, nel 1841, di fissare l’immagine di Alessandro Manzoni.


Palagi, Diana cacciatrice (1835) e Hayez, Carlotta Chabert come Venere (1830)
 

La ritrattistica ottocentesca deve confrontarsi nell’Ottocento con l’invenzione della fotografia: defraudata «delle sue istanze rappresentative» l’arte pittorica tende a voler cogliere “l’anima” più che l’aspetto dei suoi soggetti. Vertici della ricerca di realismo e al tempo stesso di profondità psicologica il Ritratto della prima moglie (1865) di Giovanni Fattori, il Ritratto di un giovane uomo (1867-1868) di Odoardo Borrani e il Ritratto di Nerina Badioli (1866 circa) di Antonio Puccinelli. Nel segno di un’alleanza tra le due arti si consumano le esperienze di Domenico Morelli, Bernardo Celentano, Francesco Paolo Michetti e Giuseppe Bertini.

A cavallo tra Otto e Novecento si assiste a un decisivo mutamento dei mezzi espressivi e delle tecniche pittoriche. Se Filippo Carcano, presente in mostra con Il passatempo (1871), documenta l’incipiente dandysmo, gli scapigliati (tra gli altri Daniele Ranzoni, Tranquillo Cremona) portano “alla ribalta” la modernità e l’anticonformismo di aristocratici, ricchi borghesi ed intellettuali. La stessa società è ritratta a Torino da Giacomo Grosso, a Firenze nelle opere tarde di Silvestro Lega, tra Milano, Roma e Bergamo da Cesare Tallone. La mostra ripropone quindi una carrellata di ritratti “alla moda” il cui apice è costituito dalla Mademoiselle Lanthèlme di Giovanni Boldini (1907). Un rilievo particolare viene assegnato al livornese Vittorio Corcos che nel Ritratto della signora Bianchini (19100), in Sogni (1896) e nel Ritratto di Yorick (1889) mostra singolari capacità d’introspezione.


Felice Carcano, Il passatempo (1871)
 

L’itinerario della mostra, intitolata al Volto nell’Ottocento, si chiude con una finestra sul Novecento. Già sul finire del XIX secolo il divisionismo opera il superamento del principio di verosimiglianza «in favore di una riflessione sugli strumenti percettivi della visione». Proprio il divisionismo consegna al secolo successivo gli strumenti tecnici, figurativi e ideologici che costituiscono le fondamenta della prima grande avanguardia, il futurismo, rappresentato in mostra da Giacomo Balla, Umberto Boccioni e Gino Severini. In un momento subito successivo, in direzione diametralmente opposta Amedeo Modigliani opera invece un ritorno alla forme antiche del Trecento e del Quattrocento, ultimo «araldo» della tradizione figurativa italiana. Un ruolo a se stante nel percorso espositivo è infine dedicato alle miniature del bresciano Giambattista Gigola.


Giovanni Boldini, Ritratto di Mademoiselle Lanthelme (1907)


Questa la mostra. Nel catalogo a stampa la descrizione analitica delle opere è introdotta da quattro saggi. Nel primo Francesco Leone approfondisce la storia del ritratto italiano nell’Ottocento. L’intervento di Fernando Mazzocca tesse una serie di rinvii tra ritratti in arte e letteratura. Maria Vittoria Marini Clarini si sofferma sul ritratto femminile e su alcune donne talvolta rese celebri proprio grazie ad opere d’arte, come Mademoiselle Lanthèlme. L’attenzione di Marina Miraglia è infine rivolta al rapporto tra pittura e ritratto fotografico.

di Emanuela Agostini


copertina

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