I rapporti interculturali tra Italia e Inghilterra in epoca di Antico Regime sono stati ampiamente trattati sia per gli aspetti generali che per quelli specifici, soprattutto nella messa in evidenza delle influenze della prima sulla seconda. Eppure ulteriori analisi comparate a livello linguistico e testuale, sostenute dalle linee dindagine dei gender studies, permettono di sciogliere alcuni nodi problematici non trattati o non focalizzati in modo corretto. Così è possibile dissipare gravi misunderstanding che continuano a gravare sulla storiografia e proporre alcune importanti revisioni.
Il volume di Selene Scarsi prende in esame le prime traduzioni sia integrali che parziali dellOrlando innamorato (1495), dellOrlando furioso (1532) e della Gerusalemme liberata (1581). Il focus di indagine è puntato verso lanalisi delle eroine femminili, così come furono percepite e rese dai traduttori; ma non si può prescindere da un discorso preliminare sulle questioni inerenti al problema della traduzione, in particolar modo visti i secoli di riferimento. Di questo si occupa Renaissance Translation Theory (parte integrante dellIntroduction), in cui si espongono in modo necessariamente sintetico ma esauriente le principali questioni non solo per le traduzioni in senso stretto, ma anche per i re-writings e i manipulations degli originali italiani. Interessante, in questo senso, la bibliografia di riferimento.
La struttura del volume segue un preciso ordine logico. La prima parte prende in esame la traduzione integrale dellOrlando Furioso ad opera di Sir John Harington (1591) per mettere in evidenza come la sua mis-translation abbia proposto una interpretazione errata del valore delle figure femminili: la versione inglese denigra e sminuisce in modo sistematico le eroine positive del poema, assumendo un atteggiamento misogino che non può essere passato sotto silenzio. La seconda parte funge da ponte, nelle intenzioni autoriali, e analizza la traduzione integrale della Gerusalemme liberata di Edward Fairfax (1600) e quella parziale dei primi cinque canti della medesima di Richard Carew (1594). Questultimo redige quasi una “traslitterazione” («a metaphrase rendition» nelle parole di Dryden) laddove il primo compila una versione più sciolta che, pur rimanendo fedele a quella di Tasso, assume un andamento più libero. La terza parte, infine, muove dallanalisi di alcune “traduzioni” parziali di Robert Tofte, le Two Tales translated out of Ariosto, per giungere a mostrare il grado di influenza degli originali italiani sullopera di Edmund Spenser, Peter Beverley e George Whetstone.
In questultima parte Scarsi affronta e amplifica la complessa e fondamentale questione terminologica e ne analizza le implicazioni pratiche: i modelli italiani vengono trattati dagli autori inglesi non solo nella direzione di vere e proprie translations ma anche di quelle che Scarsi giustamente definisce adaptations e imitations.
Come si capisce, i problemi correlati sono molti e complessi. A quelli già esposti va necessariamente aggiunto il fatto che nellInghilterra Tudor mancasse in toto una teoria intorno al concetto di traduzione, laddove in Italia, per esempio, si era codificata una regola rigida già dai primi decenni del XV secolo: il De Interpretatione Correcta di Leonardo Bruni (1420-26) si era già diffuso in gran parte dellEuropa. Tenere in conto tale deficienza della cultura doltremanica è di capitale importanza. Uno tra i pregi del volume di Scarsi, dunque, è quello di evidenziare come le traduzioni, gli adattamenti e le imitazioni da lei analizzate differiscano sensibilmente anche, e soprattutto, a seconda del fine cui furono destinate. Uno tra gli esempi più significativi è sempre stato trascurato dalla critica: il potenziale impiego dei testi tradotti come mezzo privilegiato per lapprendimento o il miglioramento dellitaliano. Riprova ne siano le edizioni bilingui che, come si sottolinea prendendo a prestito le parole di Tiziana Menegatti, rappresentavano una «fatica che uno stampatore non avrebbe certo compiuto senza riscontro nelle richieste del pubblico».
di Diego Passera
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