Il volume, curato con passione e competenza da Maria Ida Biggi, pubblica integralmente le numerose lettere scritte e inviate da Eleonora Duse alla figlia, Enrichetta Marchetti Bullough. La preziosa operazione editoriale si colloca tra le numerose e importanti iniziative promosse dalla Regione Veneto in occasione del 150° anniversario della nascita dellattrice e si avvale della ricca documentazione messa a disposizione dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, da sempre fedele custode e attenta divulgatrice del più importante e sostanzioso fondo intitolato a Eleonora Duse.
Eleonora Duse e la figlia Enrichetta nel 1886
Venezia, Fondazione G. Cini, Archivio Duse
Dare compiuta veste editoriale alle 452 lettere trascritte nel volume non era operazione facile. Soltanto 80 tra queste sono infatti autografi originali, mentre la parte più consistente del corpus epistolare è costituita da copie parziali dovute allintervento della figlia di Eleonora Duse che si dedicò a ricomporre gli scritti della madre raccogliendoli in circa 300 pagine, fittamente vergate e distribuite in quattro diversi quaderni. La volontaria e laboriosa trasposizione non fu, come spesso accade, unoperazione neutra poiché la diligente Enrichetta provvide anche a censurare ed omettere quanto non le appariva confacente alla ricostruzione pubblica dellimmagine materna. Lintenzionale danno compiuto sullingente documentazione è peraltro aggravato dallevidente distanza che separò le due donne che quasi mai vissero insieme, che poco avevano in comune, e che ancora meno condivisero sul piano delle scelte sociali, artistiche ed esistenziali. Una distanza che emerge nettamente anche dal contenuto e dal tono delle lettere pubblicate. Lattrice allontanò presto, da sé e dallalienante vita del teatro, la bambina facendola crescere ed educare nei migliori collegi italiani ed europei, prima a Torino, poi a Dresda, infine in Inghilterra. Costruì così per la figlia una buona, tradizionale e regolare educazione borghese, quella che a lei era mancata e che sempre aveva rifiutato e che invece la giovane assunse pienamente completandola con il matrimonio contratto con Edward Bullough, professore di italiano nella prestigiosa Università di Cambridge.
Date le accennate premesse non provoca dunque stupore constatare che dalle lettere, per la maggior parte scritte in francese durante gli anni della guerra da una Duse ormai da tempo lontana dalle scene, emerga il lato più crepuscolare, opaco e malinconico della personalità dellattrice propensa a comunicare alla figlia gli aspetti più “normali” e quotidiani della sua esistenza: «sono un cavallo stanco, figlia, forse più di razza che stanco, ma andare nei treni omnibus, con 12 o 13 persone nei compartimenti è assai faticoso» (26 agosto 1915). Non mancano però nellepistolario anche momenti di improvvise accensioni come quando un rinnovato entusiasmo, misto a viva curiosità, fa appassionare lattrice di teatro al mondo del cinema a cui si accosta operativamente per la realizzazione del film Cenere ma che continua a frequentare con interesse anche successivamente nella speranza di poter dar vita a nuovi importanti progetti. Ne scaturiscono descrizioni e considerazioni preziose per lo studioso che rivelano la profondità intellettuale di una donna ormai lontana da una piena attività lavorativa ma ancora desiderosa di incidere nella vita artistica del suo tempo («Così penso, io, per esempio, della mia entrata nel cinematografo. Ho in mente di portar là dentro, una attività intellettuale, che assolutamente manca […]», 3 novembre 1916) e intenta a cogliere e ad approfondire i meccanismi e le modalità produttive della nuova arte: «Je devrais técrire des volumes sur le mystère du filmer, qui a ses raisons, ses secrets, ses charmes […]» (31 maggio 1917).
Eleonora Duse e la figlia Enrichetta (Foto M. Nunes Vais)
Venezia, Fondazione G. Cini, Archivio Duse
Degne di menzione anche le lettere in cui sono raccontate altre esperienze come quella della creazione e del fallimento della Libreria delle attrici, o quella del ritorno alle scene del 1921. Interessanti inoltre alcune missive di natura più strettamente biografica in cui si riferisce della malattia e della morte di Arrigo Boito, a cui lattrice si era nel tempo riavvicinata, o delleredità ricevuta dal padre di Enrichetta, lex marito e attore Tebaldo Checchi o ancora quelle in cui lattrice invia numerosi consigli alla figlia che le ha chiesto aiuto per stesura di unantologia di autori italiani: «Scegli leggendo molto ed evitando le citazioni troppo note che renderebbero banale il testo» (24 ottobre 1918).
Emerge dunque dalla lettura di questo libro un ritratto dellattrice che, sebbene connotato da tinte crepuscolari, ne completa e ne arricchisce limmagine illuminando direttamente il suo non risolto rapporto con una maternità coltivata, sebbene a distanza e in modo non tradizionale, con continuità e affettuosa dedizione.
di Francesca Simoncini
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