Tentativo, non del tutto riuscito, di coniugare un apparato saggistico a un andamento da fiction. Tuttavia, volumetto di raccomandabile lettura: perché affronta un argomento di capitale importanza (il rapporto tra Wagner e il suo mecenate Ludwig II di Baviera: uno di quegli incontri che hanno cambiato la storia della cultura, non solo musicale, del diciannovesimo secolo) la cui bibliografia in lingua italiana è a tuttoggi sguarnita; e perché il genere, ibrido e suggestivo, del “romanzo saggistico” va comunque incoraggiato, per quanto attenda ancora – dopo i fertili esperimenti compiuti dallelegantissima penna di Stefan Zweig nei primi decenni del Novecento – un autore capace di far quadrare il cerchio dei suoi eterogenei desiderata.
Se lesito finale appare un po interlocutorio è perché Nicola Montenz dà lidea di giustapporre, anziché fondere, il rigore dello studioso allaffabulazione del divulgatore: la ricchezza dei dati (comprese le somme sborsate dal sovrano bavarese ora per consentire la realizzazione dei grandiosi progetti del suo beniamino, ora, più prosaicamente, per tacitarne i creditori) mostra come il lavoro sia estremamente documentato; lapparato di note è fitto, ma non intrusivo; la bibliografia esauriente e tuttaltro che scontata. A fronte di tutto questo appare un po discordante il tono espositivo, caratterizzato da unironia acidula non sempre equilibrata, come se mostrare unestrema antipatia umana nei confronti delloggetto della propria ricognizione (il Wagner egoista, megalomane e delirantemente antisemita esce fuori in tutta la sua mediocrità, ma sotto questo profilo il libro non insegna nulla di nuovo) sia, in qualche modo, viatico di oggettività e rigore.
Limpressione di un certo squilibrio si accresce davanti alla palpabilissima pietas che lautore mostra, invece, nei confronti dellaltro protagonista del libro: linfelice monarca esaltato, delirante, ma – al contrario del suo geniale protetto – non sprovvisto di una propria etica. È lui il Parsifal del titolo, è il suo febbrile candore e il suo donchisciottesco ideale di unosmosi tra Arte e Vita, possibile solo grazie al teatro di Wagner, a rendergli calzante quella qualifica di «puro folle» che spetta al protagonista eponimo dellultima opera wagneriana. Richard, in questa prospettiva, è solo un Klingsor: un incantatore pericoloso e malvagio, pronto a sedurre, sfruttare e fagocitare il candido mecenate. Anche se poi la Storia cinsegna che il fine giustifica i mezzi, e se tutto ciò è servito a lasciare allumanità una lunga serie di capolavori ben vengano i torbidi incanti di Wagner ai danni di Ludwig: il quale, daltronde, non chiedeva altro che lasciarsi incantare da lui.
Il libro ha anche il merito di offrire, sottotraccia, una serie dinformazioni non immediatamente riconducibili al rapporto tra il re e il musicista, ma importanti per sfatare alcuni luoghi comuni sullestetica wagneriana. Scopriamo, ad esempio, come il progetto della costruzione di un nuovo conservatorio prevedesse, nel piano di Wagner, che qualunque competenza musicale si fondasse sullo studio della voce umana e del canto: e la cosa apre una finestra insolita su un compositore spesso imbrigliato (soprattutto da parte di chi non lo ama) nel cliché delloperista più interessato al ruolo evocativo dellorchestra che alle ragioni espressive della vocalità. E a lettura ultimata forse non ci si sarà affezionati ai due personaggi, ma resta il desiderio di approfondire largomento: magari rivedendo il Ludwig di Visconti o, meglio ancora, riscoprendo il meno squisito – ma wagnerianamente più probante – di Ludwig II, Requiem per un re vergine di Hans Jürgen Syberberg.
di Paolo Patrizi
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