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Theatre Research International, vol. 35, n. 3, October 2010
in association with the International Federation for Theatre Research

vol. 35, n. 3, october 2010, pp. 101, £51
ISSN 0307-8833

Questo numero di «Theatre Research International» (TRI) celebra i 35 anni di pubblicazione della nuova serie del prestigioso periodico anglosassone, inaugurato l'ottobre del 1975 e passato nel 2001 sotto l'egida dell'Università di Cambridge, dopo 25 anni di pubblicazione presso l'Università di Oxford. L'editorialista Elaine Aston, assidua studiosa del teatro femminile, riconosce la forza della rivista nel suo respiro internazionale, nello studio di diversi contesti teatrali e nel tentativo di capire la specificità del linguaggio scenico di un determinato scenario teatrale. Questo significa estendere l'indagine oltre l'area euro-americana, compito tutt'altro che facile se si considera la necessità di dover accordare i saggi al denominatore comune della lingua inglese. L'idea dell'internazionalità della ricerca teatrale implica la convivenza di svariate idee, teorie, pratiche e metodologie. A tal riguardo il futuro di TRI, auspica Aston, deve andare nella direzione di studi e ricerche che analizzano teorie e pratiche diversificate. L'idea di un sistema federale di ricerca internazionale implica sfide, rischi e difficoltà, in gran parte derivati dall'approccio critico che tende a mitigare la supremazia della corrente occidentale.

           

I tre curatori di TRI dell'ultimo decennio, Brian Singleton (2001-2003), Christopher Balme (2004-6) e Freddie Rokem (2007-9) ripercorrono la storia della rivista. Le loro memorie si soffermano su alcuni concetti e questioni cruciali degli studi teatrali e recitativi, indagando in modo particolare problematiche di genere interculturale e interdisciplinare. Alcune delle battaglie comuni dei curatori concernono l'ampliamento dei confini della disciplina, il riconoscimento della complessità e specificità dei diversi contesti teatrali, la riduzione dell'egemonia anglofona in modo da dare un più ampio respiro internazionale agli studi, garantire l'interrelazione con altre discipline umanistiche e l'incentivazione dei giovani ricercatori e studiosi di lingua madre non inglese.

 

La storia di TRI è strettamente legata al lavoro dell’International Federation for Theatre Reasearch (IFTR). I punti di forza della Federazione sono i cosiddetti “working groups”, gruppi di ricercatori di nazionalità diverse la cui indagine è incentrata su questioni specifiche.

 

L'attività del “working group” della storiografia teatrale, uno dei più grandi e attivi nuclei di ricerca della Federazione, rappresenta l'esempio massimo di come la IFTR è stata trasformata negli ultimi due decenni. Fondato nel 1992 da studiosi provenienti da diverse parti del mondo questo“working group” contribuisce allo studio e alla disseminazione dei principi della storiografia teatrale. I suoi membri si incontrano annualmente per discutere su questioni basilari concernenti la storiografia teatrale, ma anche per approfondire le proprie ricerche e la metodologia della scrittura. Il “working group” della storiografia teatrale ha largamente contribuito alla definizione di metodi innovativi nell'insegnamento della disciplina in diversi paesi, specialmente durante l'ultima decade. Thomas Postlewait e Barbara Susec Michieli, co-autori del saggio A Transnational Community of Scholars: The Theatre Historiography Working Group in IFTR/FIRT, dimostrano i vantaggi di fare parte di una più vasta e internazionale comunità di ricerca in quanto luogo di idee competitive, diversi punti di vista e feconde prospettive metodologiche.

 

Il lavoro svolto dal gruppo degli studiosi riuniti attorno alle problematiche del teatro arabo è significativo in quanto rompe l'egemonica influenza novecentesca dei soggetti europei e nord americani nella ricerca teatrale. Gli storici Khalid Amine, Hazem Azmy e Marvin Carlson tracciano l'evoluzione del loro “working group” a partire dalle conferenze iniziali e dagli incontri esterni alla IFTR. Il loro saggio esamina metodologie e aree di ricerca ponendo particolare attenzione a problematiche legate ai pregiudizi inflitti al teatro arabo dalla prospettiva occidentale. Amine, Azmy e Carlson si interrogano inoltre sulla difficile questione metodologica inerente l'uso degli strumenti critici per l'analisi di una forma o pratica teatrale destinata a un lettore internazionale.

           

Il saggio del giovane studioso americano Adrian Curtin, dal titolo Cruel Vibration: Sounding Out Antoine Artaud’s Production of Les Cenci, riflette in quale misura il panorama sonoro dello storico spettacolo abbia contribuito al compimento dell'estetica artaudiana del “teatro della crudeltà”. Lo studio di Curtin parte da una prospettiva storiografica ambiziosa e innovativa in quanto cerca di capire quanto la minuziosa ricerca di suoni e rumori tecnologici, in gran parte derivati da una fraintesa idea del teatro balinese, abbia inciso sulla psiche e sui sensi degli spettatori. Egli rileva l'assoluta novità del complesso disegno sonoro costruito da Artaud e la forza trasgressiva delle vibrazioni sonore, nonostante questa stessa complessità abbia portato all'esito fallimentare del progetto in sé, come testimoniano gli atteggiamenti perplessi di gran parte del pubblico in sala.

           

Lo studio di Temple Hauptfleisch sul teatro del Sud Africa sostiene ancora una volta la matrice internazionale del lavoro dell'IFTR. Hauptfleisch individua cinque fasi cruciali dell'evoluzione degli studi teatrali in Sud Africa durante il XX secolo, che inevitabilmente si incontrano con la storia politica, sociale e culturale dello stato africano. Lo studio, ricco di contenuti, quesiti e indicazioni bibliografiche assume il valore di un archivio base per ulteriori approfondimenti e ricerche future.

 

Lo sguardo retrospettivo iniziale va nella direzione opposta con il forum finale dove si riflette criticamente su alcune questioni chiave con i quali gli studi teatrali devono confrontarsi nel futuro. Janelle Reinelt esaminando l'evoluzione della storia e della critica drammatica nota come queste vadano a pari passo con i cambi generazionali. Gli studi teatrali hanno superato i confini tradizionali integrandosi con indagini appartenenti all'area performativa. È anche grazie a questa apertura e collaborazione tra diversi settori della disciplina che i giovani ricercatori affiancano sempre di più la pratica alla teoria; grazie a questi continui scambi è stata superata anche la dimensione testocentrica degli studi teatrali che pongono invece maggiore attenzione alla recitazione, alla regia e ai processi costruttivi dello spettacolo. B. Ananthakrishan, docente all'Università di Hyderabad in India, evidenzia il fatto che alla ricca produzione pratica locale non corrisponde un'adeguata conoscenza e ricerca accademica. I pochi testi scritti riguardano solo generi teatrali tradizionali come Kathakali, Kudiyattam e Jatra, escludendo le forme del teatro moderno indiano. Per ciò che riguarda il panorama teatrale giapponese Yasushi Nagata auspica una maggiore cooperazione e scambio tra questo e il teatro di altri paesi asiatici. Solo distanziandosi dalla corrente europea e nord-americana la teatrografia giapponese può acquisire autonomia e prestigio. Erika Fischer-Lichte riflette invece su come e quanto i processi di globalizzazione resi possibili dai continui scambi tra le compagnie teatrali, possano influire sulla relazione spettatore-attore e la formazione stessa di questi ultimi. Infine Willmar Sauer dell'Università di Stoccolma ipotizza che l'avvento della tecnologia e del virtuale nel teatro possano implicare una revisione dei concetti teorici riguardanti la definizione della rappresentazione teatrale e lo status della disciplina stessa.

 

 

di Adela Gjata


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