Unautobiografia, già celebre alla sua uscita (1972) e un album di immagini, saggi e testimonianze, per i centanni dalla nascita di Jean-Louis Barrault (1910-1994): due volumi che si integrano fruttuosamente, dando luogo a una rievocazione memoriale e documentaria della vita del grande artista della scena novecentesca. Il primo, è libro di ricordi, sistemati secondo un progetto razionalmente finalizzato, in cui il ricorso alla memoria proietta verso un futuro ambito e utopico le acquisizioni verificate nel presente, in una sorta di diario rielaborato. Il secondo, accosta ai saggi su diversi aspetti dellattività di Barrault uniconografia preziosa e talvolta inedita.
Souvenirs pour demain parte da lontano, avanti la nascita, nel riordinare e meditare avvenimenti su cui la testimonianza personale cosciente assume via via valore di giudizio oggettivo. «Bien malin celui qui peut dire quelle a étè exactement sa vie!» (p. 27). La Préface è di un discepolo e fan della prima ora che, dopo avere attraversato le fasi dellimitazione e del desiderio di identificazione col proprio modello, tenta un bilancio storicizzato della sua opera. Non agiografia, ma testimonianza anche sentimentale, per cui laffetto si misura con luomo e lartista conosciuti principalmente in palcoscenico; compresi i riflessi critici che ne hanno accompagnato e determinato la fama. «Ce livre était donc un manuel fantasmatique» (p. 11), per il lettore affascinato e coinvolto nella propria esperienza formativa. Jean-Louis respira dagli anni Trenta il clima particolarmente creativo della sua Parigi. Da Charles Dullin attinge i principi che ne informeranno costantemente condotta e ideali. «A chaque instant de lexistence, nous vivons au moins sur trois plans: - on est; - on croit être; - on veut paraître. Ce que lon est - on lignore. Ce que lon croit être – on sen fait une illusion. Ce quon veut paraître – on sy trompe» (p. 27). Fra i ricordi, confessa lautore, «jai choisi ceux qui mont frappé… frappé comme on frappe une médaille» (p. 29). Scherzoso e scettico, si confronta a Freud (p. 35); Scienza e Poesia gli rivelano i campi dinfluenza reciproca sul proprio agire, in scena e nel mondo (pp. 37-38). Orfano di padre a otto anni, dichiara: «Jai passé ma vie à rechercher le Père» (p. 48). Dellinfanzia e delladolescenza, recupera i momenti segnati dalle aspirazioni più profonde verso laffermazione individuale. Ma anche bellezza e armonia sono convocate, in un ordine che la persona deve conseguire responsabilmente. Linclinazione umanistica del primo Barrault si riversa in bisogno di scambio sociale dopo laffermazione della vocazione più intima: «Ma nature craintive a besoin de société et je ne peux retrouver la solitude que dans le monde» (p. 61). Il determinismo della Storia e della Natura è accolto dallinsegnamento degli Antichi: «Je trouve capital le sens du Destin selon Eschyle. Notre Destin est la risultante de trois forces: - Lhéritage moral du passé...; - Le tracé de lavenir... – Lopportunité du hasard dans le présent... » (p. 67).
Dopo i mestieri di contabile, fioraio, sorvegliante di collegio, è lo studente di Belle Arti che si indirizza al teatro, grazie allimpulso di scrivere al direttore dellAtelier e alla risposta favorevole, che lo raggiunge nel ventunesimo compleanno. Allora comprende: «Faire du théâtre, cest exorciser les démons de notre Personnage» (p. 83) e si lancia nellavventura della sua vita. Momento che anche nellAlbum viene adeguatamente documentato; come risulta vivace la rievocazione (nei due libri) dei contatti con Artaud e con Decroux, che comportano risultati sia nella teoria della corporeità alchemica, sia nellallenamento in cerca del “mimo assoluto”. In nessuno dei volumi si affronta direttamente il problema della scelta della vocazione espressiva, che lartista risolse passando di fatto dal mimo al “teatro totale”. Lo stesso Barrault ne è comunque cosciente: «Le génie de Decroux est dans sa rigueur. Mais sa rigueur finissait par être oppressante [...]. Qui avait tort? Qui avait raison? Dommage!» (pp. 94-95). Uninsolita riflessione tocca poi Teilhard de Chardin, scienziato e teologo, del quale considera lidea secondo cui la materia sia “perfettibile” (p. 116) in una mistica perseguibile senza la fede rivelata. Segue lelaborazione di una teoria del corpo mediante unanalisi del linguaggio corporale, a cui il regista-attore si dedicò fino alla fine, presentando uno spettacolo-conferenza, Le langage du corps. Altro evento-chiave, lincontro con Madeleine Renaud, di cui resta ancora da valutare la portata nellopera comune, in Compagnia e nelle creazioni più singolari. Le belle, icastiche immagini dellAlbum, nei ruoli creati dallattrice in opere di Dubillard, Beckett, Duras, Higgins, restituiscono impressioni e valutazioni della sua arte.
Eventi storici riprendono rilievo, da Les paravents di Genet rappresentato con “scandalo” allOdéon, a La tentation de Saint Antoine, di Flaubert, diretta da Béjart, causa di tanta gioia estetica nella condivisione del successo. I fatti del Maggio vi sono riportati in un diario serrato e sconvolto, commosso e dignitoso per la partecipazione civile a un trauma personale e nazionale. Il Diario che procede fino ai giorni dellallestimento del Rabelais («Il est donc la Vie même, au sens biologique du mot», p. 415); continua negli ulteriori traslochi, per chiudersi con lesortazione a non giudicarlo da scrittore; ad accettarlo come un uomo che ha sempre cercato, fino al pianto, fra la disperazione della fine e lesaltazione della gioia di vivere. Così, anche a causa del carattere antinomico della sua condizione di artista eclettico, la bella e gratificante rassegna allestita nellAlbum sa un po di celebrazione. Vi si legge una suite biografica che, senza aggiungere o svelare, stabilisce linee e momenti necessari alla conoscenza dellapertura originale della strada dellartista. Le fotografie del periodo Trenta-Quaranta, integrano e precisano segni già noti, con scenografie, costumi, istantanee di prove e momenti conviviali: la ricchezza degli Archivi, presso la B.N.F. è tale da suscitare sempre sorpresa. Le stagioni si susseguono, dal Marigny allOdéon, con le presenze dei contemporanei in via di canonizzazione, Ionesco, Beckett, Genet, Dubillard, Billetdoux, Duras e Vauthier; allospitalità concessa agli esponenti della scena internazionale. E proseguono coi trasferimenti alla Gare dOrsay e al Rond-Point. Preziosi gli articoli di Boulez sulla Musica; di Uhry sulla collaborazione con André Masson, di cui si riproducono mirabili bozzetti; Guy-Claude François riscopre in unIntervista del 1974 la funzionalità mutevole degli spazi scenici allestiti e vivificati da Barrault. Lincontro a Tokyo con Hisao Kanze è raccontato da Béatrice Picon-Vallin, soffermandosi sullinteresse per il Nô; poi, le metafore che Christian Schiaretti adotta a fecondare la sua creatività di metteur en scène al TNP di Villeurbanne e per chiarire i rapporti tuttora complessi fra Compagnia (privata) e Istituzione (pubblica). La sensibilità dellattore per la Danza è sottolineata da Podalydès: «Si on établi une ligne Artaud-Decroux-Barrault, on arrive nécessairement à la Danse [...]. Barrault finissait toujours pour danser le rôle» (Album, p. 141).
di Gianni Poli
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