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La filosofia a teatro

A cura di Alessandro Costazza

Milano, Cisalpino Istituto Editoriale Universitario, 2010, pp. 590, € 42,00.
ISBN 978-88-205-1004-6

“Indagare (…) non solo come la filosofia abbia influenzato singoli autori o persino interi generi o epoche teatrali, ma anche come il teatro stesso abbia esercitato talvolta un profondo influsso sulla filosofia” (p. 9): sono questi gli obiettivi intorno ai quali ruotano i saggi raccolti da Alessandro Costazza nel corposo volume La filosofia a teatro, frutto di relazioni tenute nell’omonimo convegno che si è svolto a Milano nei giorni 22-24 aprile 2009 per iniziativa del Dipartimento di Studi linguistici, letterari e filologici, Sezione di Germanistica dell’Università degli Studi del capoluogo lombardo. Seguendo lo schema delle funzioni linguistiche elaborato da Roman Jakobson (mittente, destinatario, contesto, messaggio, codice), il criterio di assemblaggio dei numerosi contributi determina tre grandi aree tematiche, vale a dire “Il filosofo a teatro”, “Tematiche filosofiche”, “Estetiche teatrali”. Ognuna di queste sezioni si dirama in specifici e circoscritti ambiti di ricerca che angolano il soggetto in questione da diverse prospettive.

 

Così “Il filosofo a teatro” è affrontato da due scritti dedicati a “Il filosofo come autore”. Chiara Torre in Seneca tragico vs. Seneca filosofo. Nuovi approcci a una vecchia ‘querelle’ prima ripercorre il dibattito storiografico scisso tra pensiero filosofico e produzione teatrale, tra ottimismo stoico e concezione tragica, per poi arginare la spaccatura chiamando in causa gli influssi aristotelici e collocando la recita delle tragedie nell’ambito ristretto dei circoli filosofici che avrebbero prodotto “il ritorno della centralità del testo” (p.55) e, di riflesso, l’avvento dello “spettatore critico”. La tragedia della responsabilità. Filosofia e teatro in Jean-Paul Sartre di Paolo Bignamini e Mauro Carbone intreccia produzione teatrale e sviluppo del pensiero dell’intellettuale francese per dimostrare come i personaggi del cosiddetto “teatro di situazione” ormeggino la figura del loro autore. Da “Il filosofo come autore” si passa a “Il filosofo come interprete o ‘interpretante’”. Spiegare come un’opera filosofica possa diventare strumento per l’analisi testuale costituisce l’ipotesi che attraversa le pagine di Andrea Meregalli di Donna Inger eroina del tragico moderno. Una lettura di Ibsen attraverso Kierkegaard. Partendo dalle considerazioni del filosofo relative al dramma moderno, lo studioso esamina le caratteristiche della protagonista ibseniana nel suo scontro tra stato e famiglia, ponendo se stessa e il proprio dolore al centro del dramma esattamente come l’eroe tragico descritto da Kierkegaard. Che un’opera teatrale possa essere interpretata sulla base di categorie filosofiche costituisce l’assunto di Giancarlo Lacchin in Teatro, storia e filosofia delle immagini. Wedekind, Klages e ‘il gran teatro del mondo’. Lo studioso affronta i temi dell’eros cosmologico e della metafisica delle immagini trattati da Friedrich Gundolf in merito a Risveglio di primavera e illustra gli elementi innovativi presenti nel tessuto testuale. La filosofia di Platone e il teatro di Bertolt Brecht trovano in Teatro e libertà. Mimesi, stupore e straniamento fra Brecht e Platone di Andrea Capra una sorprendente rete di contatti e analogie, segnatamente riconoscibili nel comune rifiuto dell’immedesimazione di attore e pubblico e nella prospettiva di un nuovo teatro di Stato, dei filosofi antichi per Platone o comunista per Brecht.

 

Anche i saggi raccolti sotto il titolo “Il filosofo come personaggio” si presentano piuttosto interessanti. Socrate de Le Nuvole di Aristofane, come sostiene Giuseppe Zanetto ne I filosofi a teatro ? fanno ridere, assurge a modello della figura del filosofo e del sapiente, come si affermerà nella tradizione del teatro comico occidentale. Emblematico è il caso della Francia del Settecento. Mariangela Mazzocchi Doglio ne Il filosofo come personaggio teatrale nel Settecento francese. Riflessioni e conversazioni in scena sceglie a campione una serie di testi tra gli oltre cinquanta composti nel periodo 1750-1775, dai quali emerge, attraverso la trasformazione di Diderot, Voltaire e Rousseau in personaggi teatrali derisi per i loro vizi e debolezze umane, l’atteggiamento paradigmatico di una cultura ostile alle novità dell’Illuminismo. Alle incisive pagine di Gabriella Rovagnati, La filosofia? Cosa da pazzi, in cui Immanel Kant di Thomas Bernhard assurge a sorta di messinscena farsesca della solitudine del filosofo tedesco e metaforica rappresentazione della realtà, “dove chi si permette un pensiero indipendente finisce, come Kant, per indossare la camicia di forza” (p. 84), segue Empedocle figura di Hörderlin. Filosofi sulle scene del Novecento di Marco Castellari, rigorosa e minuziosa analisi della fortuna scenica dell’opera del titolo con particolare attenzione all’allestimento di Klaus Michael Grüber presso lo Schaubühne di Berlino, fondata sulla centralità del poeta-filosofo protagonista di questo dramma del Settecento.

 

Sotto il titolo “Tematiche filosofiche” si riuniscono i saggi distribuiti in tre distinte sezioni. La prima, “Ordine e realtà del mondo” inizia con Antigone contro il sofista di Mauro Bonazzi, illuminante analisi della tragedia sofoclea letta come conflitto tra due opposte concezioni sul significato della legge (nomos), concepita quale sistema ordinatore della realtà, sulla scia delle discussioni che si animarono nell’Atene del IV secolo e che trovarono nell’umanesimo di Protagora un preciso assetto filosofico. Un conflitto del tutto simile ricorre nelle pieghe del testo di La vita è sogno di Calderòn de la Barca. L’analisi di Mariateresa Cattaneo sviluppa le intersezioni di sogno e realtà e dimostra come da un’iniziale indistinguibilità prenda corpo un progressivo percorso di superamento delle passioni individuali a favore delle regole dettate dalla ragione. Teodicea e filosofia della storia in “La morte di Danton” di Georg Büchner di Alessandro Costazza intreccia con mirabile maestria i fili della complessa ragnatela su cui si fonda l’opera del drammaturgo tedesco, sorretta dalle problematiche relative al ricorso della violenza a fini politici, che diventano di fatto ampia riflessione “contro una considerazione teleologica della natura e della storia, smascherandone il carattere antiumanistico e rivendicando con decisione i diritti e l’autonomia dell’individuo” (p. 258). Influssi antiteodicei si incontrano in Aspettando Godot, come sostiene Markus Ophälders in “Pensa, porco! (pausa…)”. La filosofia sul palcoscenico di Samuel Beckett. La denuncia della debolezza del linguaggio razionale poggia su una concezione del mondo inadatto agli uomini e alla ragione. Ultimo saggio presente in “Ordine e realtà del mondo” è Brodskij e il problema del tempo in “Marmi” di Fausto Malcovati, dedicato al concetto del tempo assoluto.

 

Avvia la sottosezione “Influssi filosofici sul teatro” il saggio di Maddalena Giovannelli, “Mettendo nell’arte pensiero e riflessione”. Euripide e la Sofistica, che sviluppa l’ipotesi secondo la quale il drammaturgo usa la Sofistica “come strumento utile per costruire l’impianto retorico dell’eloquio dei personaggi” (p. 299), come emerge dall’agone delle Troiane per la sua vicinanza con l’Encomio di Elena di Gorgia. Non poteva mancare in questa articolata ricerca su La filosofia a teatro uno studio dedicato a L’eredità dei Lumi nel teatro italiano di fine Settecento. Paolo Bosisio si sofferma soprattutto su Venezia per ripercorrere le dure critiche del conservatore Carlo Gozzi prima al riformatore Carlo Goldoni poi ad Elisabetta Caminer, traduttrice di drammi francesi di stampo borghese. Si rimane in ambito settecentesco con Aharon Halle Wolfsschon e il teatro della Haskalah di Anna Linda Callow, che si sofferma sulla penetrazione dell’Illuminismo negli ambienti ebraici sparsi per la Prussia. L’emigrazione di concetti filosofici nella drammaturgia è evidente nell’assimilazione di elementi propri del pensiero di Nietzsche nel teatro dell’Espressionismo, quali la volontà di potenza, la dottrina del Superuomo e la sfera dionisiaca. In merito Moira Paleari in Friedrich Nietzsche e il dramma espressionista tedesco esamina Assassinio, speranza delle donne di Oskar Kokoschka, Da mattina a mezzanotte di Georg Kaiser e Canto del capro di Franz Werfel.

 

Anche la sezione “Riflessioni sul linguaggio” si presenta composta da un gruppo di saggi di spessore scientifico, a partire da Hofmannsthal fra teatro e filosofia. Con particolare attenzione a “L’uomo difficile” di Fausto Cercignani. Lo studioso mette in luce le differenze intercorrenti tra lo scrittore tedesco e Ludwig Wittgenstein in merito alla riflessione sulla crisi del linguaggio, alla quale il primo rispose sostenendo la possibilità della parola come mezzo di espressione artistica. Il pensiero di Wittgenstein ritorna nel teatro di Alberto Moravia. Opere come Il mondo è quello che è e Il dio Kant sostengono l’incapacità dell’arte di rappresentare il reale, secondo quanto argomenta Gianni Turchetta ne La tautologia in scena e la morte del Fato. Il teatro di parola di Alberto Moravia. Sulla critica al linguaggio è costruito il contributo di Antonello Romano. In "Kaspar" e il soggetto della conoscenza contemporanea. Un dialogo tra Peter Handke e Michel Foucault si propone un confronto tra Le parole e le cose di Foucault e Kaspar di Handke, opere che condividono "la descrizione del processo di creazione e limitazione della conoscenza" (p. 413). L'influenza di Wittgenstein nella drammaturgia contemporanea è confermata da Tom Stoppard, segnatamente in Cabout's Macbeath, testo che deriva dalle Ricerche filosofiche a proposito delle riflessioni sul linguaggio, che secondo l'esito dello studio di Mariacristina Cavecchi, Giochi linguistici e acrobazie filosofiche nel teatro di Tom Stoppard, trovano fisicità nella trama e nel gesto dell'attore.

 

L'ultima sezione del volume è "Estetica teatrale", affrontata da due capitoli. Il primo, "Il teatro come conoscenza", pone al centro dell'indagine la tragedia. Simona Chiodo in Rappresentare un assoluto enuclea il discorso dal concetto di "assoluto etico" affrontato dalla tragedia eschilea, che si ammorbidisce in Sofocle ed Euripide per poi uscire di scena con il Cristianesimo. E' il tramonto dell'idea dell'azione eroica senza mediazioni con la realtà che poi declina nella possibilità di incontro/scontro dell'uomo con il mondo. Le pagine che Pierluigi Donini dedica ad Aristotele, il mito, la tragedia e la filosofia ricercano il tema della tragedia nella Poetica. Come si sviluppa nell'ambito del teatro e della conoscenza filosofica la rappresentazione del reale è il cuore dell’indagine di Elio Franzini in Rappresentazione e coscienza simbolica. Filosofo, attore ed artista coniugano il verbo dell'immaginazione e dell'ironia per capire i segreti dell'esistenza.

 

Il conclusivo capitolo "Il paradosso dell'attore e dello spettatore" comprende due saggi. Ne L'ombra del ‘paradosso’ nell'estetica attoriale di Jean-Baptiste Du Bos, Maddalena Mazzocut-Mis espone le teorie sull'attore emerse in Francia tra Sei e Settecento e si sofferma sulle idee innovative di Du Bos, che anticipano il diderotiano Paradosso sull'attore. Le contraddizioni dell'attore, tra libertà e autonomia in quanto individuo, e dipendenza dal personaggio immaginato nel testo ricorrono in "Personanza". Georg Simmel e il teatro di Andrea Pinotti. Il filosofo tedesco teorizzò l'attore come creatore di un mondo nuovo. Infine Chiara Cappelletto firma il contributo Estetica della fruizione teatrale. La virtualità della scena e l’esperienza dello spettatore e chiude questo volume ricco di importanti traiettorie di ricerca che consolidano il rapporto, talvolta stretto, tra teatro e filosofia ed aprono nuovi orizzonti culturali allo studio delle due discipline.

 

 

di Massimo Bertoldi


copertina

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