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Tullio Kezich, Alessandra Levantesi

Una dinastia italiana
L'arcipelago Cecchi-D'Amico tra politica, cultura e società

Milano, Garzanti, 2010, pp. 615, euro 25.00
ISBN 978-88-1159739-1

Sarà perché solo qualche settimana fa se n'è andata anche Suso Cecchi-D'Amico, gran signora dello spettacolo italiano, instancabile, acuta e profonda conoscitrice e osservatrice di vizi e virtù, «l'indispensabile» tra quelli che sono stati i molti geniali sceneggiatori che hanno fatto grande il cinema del secondo dopoguerra... Sarà per questo, forse, che l'ultimo libro del compianto Tullio Kezich, scritto con l'instancabile e fondamentale supporto di Alessandra Levantesi, Una dinastia italiana, è sembrato arrivare come una triste, ma necessaria profezia, a riannodare ancora una volta i fili di un discorso lungo più di un secolo e ancora lontano dall'essersi concluso.

 

Sì, perché scrivere un poderoso volume che ripercorre la storia di due famiglie che si sono fuse in una, per diventare, appunto, «dinastia», non era semplice per l'inusitata importanza che essa ha assunto nella storia politica e culturale del nostro paese dall'inizio del Novecento a oggi, massimamente poi tra gli anni Dieci e gli anni Sessanta. Le due famiglie (una fiorentina, l'altra romana) sono quelle di Emilio Cecchi (critico letterario) e Leonetta Pieraccini (pittrice) da una parte e di Silvio D'Amico (critico teatrale) ed Elsa Minù dall'altra, i cui rispettivi figli, Suso Cecchi e Lele D'Amico, convolati a nozze nel 1938, hanno suggellato quello che è stato irrimediabilmente molto di più di un legame di sangue.

 

Il libro racconta proprio questo, come in un romanzo dalla prosa puntuale e scorrevole in cui i protagonisti principali si muovono lungo traiettorie pubbliche e private, seguendo un flusso narrativo che ne delinea i caratteri, nelle molteplici esperienze di vita fatte di successi e sconfitte, invidie e meschinità, scatti in avanti e battaglie ideali. Kezich e Levantesi hanno infatti impostato il materiale seguendo cronologicamente gli avvenimenti appuntati in quei Taccuini che la Pieraccini iniziò a scrivere nel 1911 e che concluse solo negli anni Settanta; così facendo hanno fatto confluire i grandi avvenimenti della storia italiana (le due guerre mondiali, l'ascesa e la caduta del fascismo, il dopoguerra ecc.) nella storia privata delle due famiglie (in particolare quella di Cecchi). È così che la dimensione privata di due personaggi centrali nella cultura italiana del primo Novecento (Cecchi e D'Amico) viene a completare e anzi a penetrare i risvolti delle loro figure di uomini, descritti attraverso le preoccupazioni di ogni giorno: mancanza di denaro, tradimenti sentimentali, battaglie ideologiche e soprattutto amicizie.

 

Sarebbe infatti impossibile solo tentare di elencare anche una minima parte della miriade di personaggi che attraversano il libro: ci sono praticamente tutti gli uomini e le donne che hanno segnato la cultura e la politica del nostro Paese dalla fine del XIX secolo fino agli anni Settanta, anch'essi ritratti nella loro dimensione umana più intima (divertentissimi a tal proposito sono i ritratti di Luigi Pirandello, Marta Abba, Tatiana Pavlova e Alberto Moravia), questo a significare che sia Cecchi che D'Amico, oggi molto in ombra negli studi sulla cultura italiana del Novecento hanno segnato forse l'ultima stagione in cui il rapporto tra gli intellettuali e tra di essi e politica, nonostante le reciproche diffidenze e avversioni (illuminanti i capitoli sul fascismo), poteva essere fecondo per tutte le parti coinvolte. Nelle vicende dei due, Cecchi che svolse un ruolo fondamentale nella ridefinizione teorica della letteratura italiana del dopo-avanguardie grazie al suo sguardo rivolto alla tradizione anglosassone e alle innovazioni provenienti dagli USA, e D'Amico impegnato a tirar fuori il teatro italiano dalle secche ottocentesche della tradizione dei mattatori del palcoscenico, puntando sia su una pedagogia dell'attore di stampo europeo sia su una legittimazione storiografica del teatro (con l'avventura della gigantesca Enciclopedia dello Spettacolo), si può infatti rintracciare la necessità di un compromesso tra spinta idealistica e realismo politico e tra ideologia e realtà. Non senza perdere di vista tutta la complessità umana che ha reso queste due monumentali figure capaci non solo di essere tali da vivi, ma anche di gettare i semi di un futuro che tra alti e bassi, ancora continua. Del resto, le dinastie non servono proprio a questo?

 

Marco Luceri


copertina

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