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Pasquale Di Palmo

Album Antonin Artaud


Rovigo, Il Ponte del Sale, 2010, pp. 280, euro 36,00
ISBN 8889-615-15-X

Con la sua forma integrante figura e didascalia-commento, il libro tenta un profilo composito dell’artista tanto discusso, controverso e tuttora discutibile nelle sue varie dimensioni espressive. Di Palmo mira alla biografia per accostamento e accumulazione di documenti (copertine di libri, fac-simili di manoscritti, fotografie di persone e luoghi, lettere e oggetti), ma non rinuncia al commento personale. Sotto questo aspetto, mancano di adeguata storicizzazione alcune aree e momenti: la Poesia, per la sorgente simbolista dell’ispirazione e il Surrealismo, per lo scarto dalla sua estetica canonica; il Teatro, per le stagioni della pratica drammaturgica e dell’attore e soprattutto per i tortuosi percorsi d’elaborazione della teoria e dell’utopia sceniche, da L’Évolution du décor (1924) al Théâtre et son Double (1938), fino a Pour en finir avec le jugement de dieu (1948). Privilegiato logicamente il côté esistenziale, le pagine abbondano di notizie riguardanti le turbe psichiche precoci e cure conseguenti, con circostanze, luoghi e responsabili. Curiosi e spesso inediti, i rinvii a personalità contigue all’avventura del poeta. Anche gli amori trovano collocazione adeguata, sia nella vicenda personale sia in quella intellettuale e artistica. 

 

Il libro è diviso in quattro parti cronologiche: dalla nascita a Marsiglia all’arrivo a Parigi, si segue il bambino e il ragazzo in eventi canonici o quotidiani, con risalto a situazioni che ne denunciano disagio psichico e difficoltà di rapporti. L’incontro col gruppo surrealista è caratterizzato dalla mansione di segretario del Bureau de Recherches Surréalistes, in cui Artaud spicca tra le figure di quella nebulosa artistica e ideologica. Marginali risultano le aspettative riposte nel Théâtre Alfred Jarry. Nel decennio 1930-1939, la centralità di Le Théâtre et son Double non risalta nella tensione estetica innovativa, né nel programma produttivo del Teatro della crudeltà si riscontrano le esigenze utopiche delle formulazioni coeve. Per contro, i viaggi in Messico e in Irlanda, preludio allo sbandamento definitivo, vi sono segnalati e documentati in modo preciso e originale. Ancora più ricca, la sezione finale (internamenti a Ville Évrard, a Rodez e soggiorno autonomo a Ivry), con testimonianze sulla recuperata facoltà di scrittura (Van Gogh le suicidé de la société, Pour en finir avec le jugement de dieu) e soprattutto sull’intenzione espressiva e metamorfica profusa nei disegni. Un po’ in ombra, il ruolo di Paule Thévenin nella redazione delle Œuvres Complètes di Artaud; così come non emerge la querelle (postuma però) relativa all’interruzione delle pubblicazioni presso Gallimard del piano originale delle Œuvres. Di Palmo tiene presenti, pertinentemente, la Mostra su Artaud alla B. N. F. di Parigi (2006) e l’Album di Évelyne Grossman, Un insurgé du corps (Gallimard, 2006), quasi un condensato del Catalogo di tale Mostra capitale. Nel complesso, permane la denuncia delle difficoltà nello studio di Artaud, per l’incongruità forse irriducibile fra il dato oggettivo (Documento e cornice storica e culturale, ormai largamente disponibili) e il senso deducibile dall’intenzione creativa dall’autore. Mentre si conferma variabile e relativo l’esito dell’interpretazione del significato e del suo valore d’opera d’arte, appare ulteriormente significativo il parere del Blanchot nel suo identificare soffrire e pensare, per cui il dolore nell’opera di Artaud non è semplice accensione estetica, ma il dramma stesso reso visibile: «Quando leggiamo quelle pagine – scriveva Blanchot – impariamo quel che non arriviamo a sapere: che il fatto di pensare non può essere che sconvolgente […] che soffrire e pensare sono segretamente legati. […] L’estremo pensiero e l’estrema sofferenza aprono forse il medesimo orizzonte?». 


di Gianni Poli


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