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Comunicazioni sociali, a.XXXI, n.2, maggio-agosto 2009
Rivista di media, spettacolo e studi culturali

A cura di Annamaria Cascetta

a. XXXI, n. 2, maggio-agosto, 2009, pp. 131, euro 17
ISSN 0392-8667

Il nuovo numero di «Comunicazioni sociali. Rivista di media, spettacolo e studi culturali», curato da Annamaria Cascetta, è interamente dedicato all’Attualità della tragedia: Teorie e letture sceniche e ospita i saggi di quattro giovani studiosi del Dipartimento di Scienze della Comunicazioni e dello Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano. Da tempo la curatrice si occupa dell’argomento qui trattato e nel 2009 ha pubblicato per Laterza il volume La tragedia nel teatro del Novecento.

 

Tancredi Gusman fornisce una chiave di lettura per una nuova interpretazione del significato di ‘Trauerspiel’ e tragedia nell’«Origine del dramma barocco tedesco» di Walter Benjamin. Egli compose il suo scritto a metà degli anni 1920 per ottenere l’abilitazione (che gli fu comunque rifiutata) all’insegnamento universitario presso l’Università di Francoforte. Gusman conduce un’analisi comparata con altri scritti dell’intellettuale tedesco. Tra tutti spiccano Trauerspiel e tragedia e Il significato del linguaggio nel Trauerspiel e nella tragedia, poiché «contengono il primo abbozzo di un’analisi critica e di un confronto tra le due forme drammatiche» (p. 112). Si aggiungono poi altri documenti: alcune lettere di Benjamin e un appunto da lui scritto su di un pezzo di carta in cui è riportata la frase di uno degli intellettuali che ne ispirarono l’opera per quel che concerne i concetti di agone e profezia: Florens Christian Rang. Il saggio muove dall’analisi del concetto di origine, «una tensione che è sempre presente e non si esaurisce in nessuno dei prodotti concreti che definisce», la mette in relazione con la Storia («il luogo in cui, nelle forme artistiche, si manifestano le forze che operano nella storia è l’origine», p. 113) e passa poi al vaglio tutti i temi trattati da Benjamin: Tragedia e mito; Agone e Profezia; Socrate e la fine della tragedia; ‘Trauerspiel’ e disincanto; Melanconia e Luteranesimo; Lutto e allegoria. Gusman evidenzia: «la più importante premessa della tragedia è il mito» (p. 117), laddove si intende la prima come una riscrittura del secondo: la comunità greca, attraverso il confronto con la propria pre-istoria, definisce se stessa.

 

Il rapporto tra tragedia e mito è affrontato anche da Laura Aimo (Danza del tragico: «Night Journey» di Martha Graham). La studiosa, introducendo il suo discorso, si riferisce al doppio sfondo con cui ha dovuto confrontarsi qualunque riscrittura tragica del Novecento: da un lato tutto quello che è confluito nella tradizione (o coscienza collettiva, diremmo, per citare Freud, tanto amato da Graham), dall’altro «la forza creatrice insita nell’ininterrotto processo di costruzione semantica dei mondi rappresi nelle forme del pensiero mitico» (p. 140). Quest’ultimo prevarrebbe sulla prospettiva storica, nell’accezione con cui essa è stata intesa da Benjamin. Night Journey (coreografia del 1947, ma qui ci si riferisce alla versione preparata dalla stessa danzatrice per il film del 1961) è una “riscrittura” dell’Edipo. Aimo intende mostrare come la coreografia non è solo una «trasposizione coreica» della tragedia sofoclea, ma che questa rappresenta una interpretazione originale del “tragico” contenuto in quel mito; e in particolare vuole mettere in evidenza che può essere intesa come «esempio paradigmatico di esibizione e attualizzazione di una particolare struttura: un ritmo spiralico di forze opposte» (p. 140). Le sezioni tematiche intorno a cui si struttura il saggio sono Circolo, opposizione e spirale; L’unione impossibile degli opposti; Un unico ritmo: ‘contraction’ and ‘release’; Il dramma cosmico; Un’esperienza assoluta.

 

I due successivi, e ultimi, contributi mettono a fuoco riscritture novecentesche «drammaturgiche e sceniche del mito e della tragedia antica, secondo una declinazione femminile» (p. 110). Ilaria Dazzi concentra la sua attenzione su Elettra e Antigone: dall’Eroe mitico alla femminilità quotidiana in Jean Anouilh e Marguerite Yourcenar. L’analisi dei lavori dei drammaturghi indicati nel titolo occupa i primi cinque paragrafi: I frammenti dell’«Oreste» di Anouilh: bozza per la riscrittura del mito; «Elettra o la caduta delle maschere» di Marguerite Yourcenar: Qui n’a pas son Électre?; «Antigone» di Anouilh: Creonte vs Antigone, il duello; Un’esperienza di confine: «Fuochi»; Agli antipodi: La prospettiva di Clitennestra in «Fuochi».

 

Le indagini specifiche ivi condotte aprono la strada alla seconda sezione del saggio (Il mito dalla ‘polis’ al Novecento; Continuità del mito; Mito ieri, mito oggi: l’esempio Elettra; Modernità vera o presunta?). In questa si amplia l’orizzonte di indagine e, in relazione al lavoro di altri autori e studiosi che quelle tragedie hanno rispettivamente riscritto o studiato, in ogni caso interpretandole, si evidenziano le specificità della trattazione del Mito nel Novecento. Impossibile prescindere, quindi, sia dall’apporto della psicanalisi di Freud che dal concetto di archetipo junghiano; e ovviamente ci si riferisce ai contributi offerti dall’antropologia e dalla sociologia. D’altra parte «nella contemporaneità i drammaturghi sembrano voler mostrare il meccanismo di distruzione del passato mitico del personaggio, preferibilmente decontestualizzandolo, per ‘agire’ sulla sua psicologia» (p. 180). Particolare interesse rivela dunque la Teoria Sistemica (anni 1940-50), volta al «superamento della settorializzazione degli studi e del recupero di un approccio olistico ai problemi» (p. 176). Si evidenzia che «il meccanismo che caratterizza il rapporto con il mito consiste in una sorta di osmosi, la necessità cioè di ricorrere al mito per l’irriducibilità che lo caratterizza» (p. 175). Le questioni principali affrontate dalle riscritture novecentesche sarebbero: la mutata essenza della famiglia, il ruolo della donna, la relazione fratello-sorella, lo scontro tra madre e figlia, il femminismo.

 

All’analisi di cinque allestimenti delle Troiane di Euripide, tenutisi tra il 1974 e il 2005, è dedicato il saggio di Donatella Castagna, Il tema dello scontro culturale e dell’esilio nella ripresa contemporanea delle mitografie della Grecia classica: il caso delle «Troiane». Il teatro del Novecento ha dedicato grande attenzione alla tragedia greca classica, e in particolare proprio a quella euripidea. Nonostante tutto le Troiane ha per noi post-moderni qualcosa di più attuale delle altre. Il tema della guerra (nella forma di sterminio perpetrato con fini di supremazia travestita da democratizzazione) è sentito fortemente odierno dall’opinione pubblica europea insieme alla responsabilità dei paesi occidentali verso quelli in via di sviluppo. Una delle matrici di interesse, quindi, si rinviene nella tendenza a un teatro politico, «che esce idealmente dalle sale per inserirsi proficuamente nel dibattito culturale contemporaneo» (p. 195). Si avverte però, che sarebbe un errore ridurre questa tragedia al solo monito politico. Citando Nicole Loraux (La voix endeuillée, 1999), il nucleo del fascino esercitato dalla tragedia euripidea si rinviene nella «condivisione del dolore»: nell’irrazionalità del pianto delle donne contrapposta alla ragione politica, «necessariamente disumana, dei vincitori» (p 196). Castagna passa in rassegna sei messinscene che presentano «“l’irruzione della contemporaneità” nel dramma antico, offrendo spunti per una maggiore comprensione dell’una e dell’altro» (p. 196). L’autrice avverte, però, che sono spettacoli e autori poco noti ma che comunque «hanno fornito un particolare contributo al dibattito del loro tempo, che vale la pena di recuperare oggi per una migliore comprensione del valore che hanno avuto e continuano ad avere le Troiane» (p. 196). Gli spettacoli in oggetto sono: 1974, Teatro greco di Siracusa, regia di Giuseppe di Martino; 1965, Teatro Metastasio di Prato, riscrittura di Jean-Paul Sartre, regia di Fulvio Tolusso; 1966, produzione RAI, regia di Vittorio Cottafavi; 2005, riscrittura di Jean-Paul Sartre, Teatro Arsenale di Milano, regia di Annig Raimondi; 2005, ATIR, ideazione e regia di Serena Sinigaglia.

 

 

di Diego Passera


La copertina

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