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Duellanti, a. IX, n. 61, aprile 2010


«Duellanti», anno IX, n. 61, aprile 2010
ISSN 1724-3580

La copertina del nuovo numero di «Duellanti», occupata dal primissimo piano dell’attore Ewan McGregor, ci informa che la parola chiave del mese di aprile è “spettri”. I film analizzati in questo numero hanno in comune l’inconsistenza materica e la natura imperscrutabile dei loro personaggi. Il primo spettro preso in esame è il protagonista dell’ultimo lavoro di Roman Polanski: il Ghost Writer, letteralmente “scrittore fantasma”, interpretato da Ewan McGregor. L’uomo nell’ombra (questo è il titolo italiano del film) copre l’intera sezione “radiografie”. Il ricchissimo dossier si apre con un’intervista all’attore scozzese, curata da Alessandra Matella. Come tende a sottolineare la redattrice, il ghost writer non è il solo fantasma rappresentato da Polanski. A partire dal Primo Ministro inglese (Pierce Brosnan) che evoca inevitabilmente lo spettro di Tony Blair, fino ad arrivare al guardiano del bunker, ogni personaggio si mostra allo stesso tempo misterioso e conturbante, circondato da una fitta rete di intrighi, apparentemente oscuri e impenetrabili. Grazie alle risposte dell’attore è possibile rilevare alcuni particolari riguardo le scelte registiche di Polanski: McGregor lamenta una certa insistenza da parte del regista nel tenere la macchina da presa perennemente vicina all’attore, rendendo particolarmente impegnativo il lavoro degli interpreti. Dopo aver brevemente descritto la sequenza più significativa del film (la scena di seduzione tra il ghost writer e Ruth, la dark lady, moglie del Primo Ministro), McGregor pone l’accento sugli impliciti rimandi alle vicende giudiziarie del regista presenti nel film.

 

Per Matella, tali riferimenti sono veri e propri fantasmi del passato che irrompono prepotentemente nel presente. Nell’articolo successivo, che approfondisce l’analisi de L’uomo nell’ombra, Marco Toscano individua un’immagine in grado di condensare il senso dell’intera vicenda. Questa scena è offerta dal custode del bunker colto nel vano atto di raggruppare alcune foglie secche, mentre un vento incessante interviene a spazzarle via. L’azione del giardiniere, fare pulizia in una giornata di vento, appare inutile così come lo è il tentare di “rincorrere indizi, ricomporre i pezzi” dell’intricato mosaico, cercando di organizzare la realtà in una forma razionale. Toscano prosegue definendo l’ambiente messo in scena ne L’uomo nell’ombra un vero e proprio territorio polanskiano, ovvero un luogo “impermeabile” all’esterno, ossessivamente circoscritto, simile ad altri luoghi mostrati dal regista: come d’abitudine, lo scenario presentato da Polanski “si predispone naturalmente alla forma privilegiata del Kammerspielfilm”. L’analisi dell’ultimo lavoro del regista di origine polacca continua con Carlo Chatrian che definisce L’uomo nell’ombra un “grande film di genere”, un classico, ovvero “un’opera in cui il rapporto tra storia e forma è diretto e consequenziale.” Se la spy story a sfondo politico si basa principalmente sull’atto del guardare (dell’osservare e del leggere), per Chatrian “la risoluzione del mistero passa attraverso le parole scritte sui fogli bianchi”: quelli del manoscritto che volano via nella scena finale, come banconote di kubrickiana memoria.

 

Il punto di contatto tra l’intervista a Ewan McGregor e i due articoli successivi è riscontrabile nel rapporto che i tre redattori rintracciano tra L’uomo nell’ombra e le pellicole del maestro per eccellenza della suspance, Alfred Hitchcock. Per Matella, Toscano e Chatrian il personaggio principale del ghost writer richiamerebbe il ruolo interpretato da James Stewart o Cary Grant, ossia “l’uomo anonimo” coinvolto in intrighi più grandi di lui e manipolato dall’ironia dell’autore. A chiusura dell’ampia sezione dedicata a Polanski, Matella riporta le testimonianze di Pierce Brosnan (nel ruolo del Primo Ministro inglese Adam Lang) e Robert Harris, autore del romanzo da cui è tratto L’uomo nell’ombra. A proposito della sceneggiatura, co-firmata dallo scrittore inglese e dal regista, Harris sottolinea l’aderenza del film al romanzo soprattutto per quanto riguarda la realizzazione dei dialoghi, affermando di essersi ispirato proprio a un’opera di Hitchcock, Intrigo internazionale (1959), per dar vita al suo best seller.

 

Ancora dei fantasmi, questa volta affatto pericolosi, ma provenienti dalla fantasia di uno scrittore, sono i protagonisti di Happy Family di Gabriele Salvatores, analizzato in “incontriepercorsi” grazie all’intervista al regista italiano a cura di Massimo Rota.

 

Lo spazio dedicato a Happy Family è seguito da un’altra interessante intervista al regista americano Todd Solondz, curata da Matella. Il regista pone l’accento sulle paure e la precarietà della società statunitense dopo l’11 settembre, confidando alla sua intervistatrice che il forte isolamento provato sulla propria pelle si riverbera nel suo nuovo film Perdona e dimentica.

           

Un altro spettro occupa la sezione “incontriepercorsi”. Si tratta del cantautore Bad Black, protagonista di Crazy Heart di Scott Cooper.

A chiudere questa ricca sezione intervengono i quattro articoli dedicati a Alice in Wonderland di Tim Burton. Franco Marineo evidenzia l’inversione di rotta del “genio lunare” Burton. Sulla carta il progetto di trasposizione cinematografica del romanzo di Lewis Carroll si inscrive perfettamente nell’universo poetico del regista. Tuttavia, secondo Marineo, Burton compie un errore nel denotare la giovane protagonista di un senso dell’azione e di un coraggio che non rispecchiano i veri tratti caratteriali di Alice. Marco Toscano sviluppa un parallelismo tra Alice in Wonderland e Shutter Island di Martin Scorsese, individuando molti punti di contatto tra i due film, in quanto entrambi mettono in scena “una dimensione onirica labirintica e angosciosa”. Ambedue i protagonisti compiono un percorso di maturazione: Alice si appropria del suo destino, mentre Andrew tenta di superare il suo trauma, cercando delle risposte per gli inspiegabili sogni che lo tormentano. L’articolo successivo, firmato da Mario Serenellini, traccia un breve excursus sulle numerose trasposizioni cinematografiche del romanzo di Carroll, ponendo l’accento sulla pellicola disneyana, dove la fauna che Alice incontra nel sottomondo è composta da “uno zoo arditamente dada e surrealista anziché quietamente antropomorfo”: un mutamento piuttosto significativo dell’abituale universo disegnato dalla Disney.

 

Nella sezione “immaginemondo”, dedicata al Festival di Berlino, si torna ad analizzare l’incubo mentale prodotto dall’ultimo lavoro di Scorsese. Shutter Island. È ancora una volta uno spettro, dunque, ad abitare il nuovo numero di «Duellanti». Resta da segnalare l’estratto di un dialogo tra Tonino Guerra e Andrej Tarkovskij, di cui è possibile leggere il contenuto integrale nel nuovo libro del poeta romagnolo, La valle del Kamasutra, edito da Bompiani. In questa edificante intervista, Tarkovskij racconta con dovizia di particolari la nascita del suo Stalker (1979), soffermandosi sull’indole del protagonista: un idealista, “un uomo onestissimo, pulito e, per così dire, intelligentemente innocente”. Un personaggio a cui il regista russo dichiara di sentirsi unito da un legame di sangue.

 

di Francesca Valeriani


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