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Lionello Puppi

Il re delle Isole Fortunate


Costabissara (Vicenza), Angelo Colla Editore, 2010, pp. 190, euro 18,00
ISBN 978-88-89527-45-0

Il 7 maggio 2010, all’Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed arti in Padova, è stato presentato il volume di Lionello Puppi, Il re delle Isole Fortunate e altre storie vere tra le «maraviglie dell’arte», Costabissara (Vicenza), Angelo Colla Editore, 2010, pp. 190, euro 18,00. ISBN 978-88-89527-45-0. Pubblichiamo qui l’intervento di Stefano Mazzoni:

 

 

Sapientemente, per l’ennesima volta, Lionello Puppi conduce il lettore tra le ridolfiane «maraviglie dell’arte» (e non solo). Meraviglie e altre questioni, dunque, che egli, in questo volume, svela nel segno d’una felice vena narrativa appesa al gusto per l’inchiesta archivistica raffinata; caratterizzata poi, in sede esegetica, da una non comune finezza interpretativa come da un respiro culturale ampio e da un impianto saldamente storico-filologico. Un approccio storiografico documentale e multilineare declinato in modo lenticolare, anzi “poliziesco”, alla maniera del detective Abilio Quaresima. Con l’instancabile commissario P. (la calzante definizione è di Giandomenico Romanelli) implacabilmente curioso, come lui stesso dice, nel «rovistar tra le carte» (p. 150), a caccia com’è di labili tracce per restituire spessore di vita a uomini, eventi e “casi”, avventure e sventure, architetture, dipinti e sculture, committenti e artisti, collezionisti e faccendieri d’arte (e così via). Casi, dicevo, sin’ora irrisolti, delitti inclusi: si pensi all’inquietante vicenda del prediletto figlio di Palladio, Leonida, dapprima omicida e poi, forse, assassinato per vendetta (La vendetta dei Camera, pp. 85-91). Oppure casi sconosciuti, talvolta apparentemente insignificanti ma invece, a ben guardare, rivelatori se indagati con senso vivo della storia come fa Puppi

 

Fig. 1 - Francesco dal Ponte (?), Ritratto di Andrea Palladio, 1578 (?), olio su tela (Vicenza, Museo Civico. Il dipinto è ora esposto nel vestibolo del Teatro Olimpico)

 

Perciò le pagine del Re delle Isole Fortunate mettono in valore anche dettagli persino minimi. L’ispezione delle fonti fa scattare nell’investigatore la scintilla interpretativa spesso decisiva per risolvere o problematizzare correttamente i tanti enigmi. L’osservazione individuale, paziente e minuziosa, della fisicità del “reperto” d’altronde è basilare: Freud e Holmes ci hanno insegnato come (e quanto) gli “scarti”, gli indizi impercettibili ai più, i dati apparentemente secondari possano essere spie rivelatrici del sapere indiziario. Il «buon Dio sta nei dettagli», asseriva Warburg sulla scia di Flaubert. In breve: Puppi esercita il mestiere di storico. E lo esercita a tutto tondo, capace com’è d’abbattere gli steccati disciplinari per dar vita a una storia dell’arte sempre tenacemente contestuale, mai svilita dall’egemonia dei lambicchi formali. E piace qui convocare un altro volume del medesimo studioso. Alludo a Verso Gerusalemme (1982), la cui Premessa costituisce a tutt’oggi un viatico metodologico prezioso per investigare perduti orizzonti artistico-culturali in una dimensione multidisciplinare che ambisca a una storicizzazione integrale degli oggetti indagati. È che Lionello Puppi pone la storia al servizio dell’arte. Da qui l’attenzione ricorrente al contesto, alla nozione di progetto culturale, al fondamentale capitolo della committenza; o, ancora, la capacità di far interagire piccole storie e grande Storia; storia dal “basso” e storia dall’“alto”; storia delle marginalità, storia dei prediletti vinti. Quei vinti che del Re delle Isole Fortunate sono i veri protagonisti.

Si ricordi l’avvincente interpretazione della procurata morte del talentuoso pittore Francesco dal Ponte, “costretto” al suicidio in Venezia dall’ombra minacciosa e onnipresente della figura paterna (Lo specchio e la bacchetta, pp. 107-117). Narrazione cui segue, con coerenza narrativa, la veridica storia della scena di quella tragedia: dico l’inquietante ex residenza e officina di Tiziano al Biri Grande, poi casa del dal Ponte, da un balcone della quale il fragile tormentato Francesco, autore di un memorabile ritratto di Palladio da vecchio (fig. 1), si gettò «per frenesia» nel 1591 (La casa stregata al Biri Grande, pp. 119-124). O, ancora, si leggano le storie del pittore e accademico Filarmonico Felice Brusasorzi, l’infelicissimo uomo delle tre donne (Felice nella miseria, pp. 125-130), o dello sventurato storico Giuseppe Marino Urbani de Gheltof deceduto, dopo molto penoso vagabondare, nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino (Dottor Jekyll e mister Hyde, pp. 161-168) e finalmente in parte riabilitato, con intelligenza critica e umana pietà, dallo studioso.

 

Fig. 2 - Palazzo Foscari presso San Simeon piccolo a Santa Croce, Particolare della Pianta prospettica di Venezia di Jacopo de’ Barbari, 1500, xilografia (Venezia, Fondazione Querini Stampalia)

 

Deprivare il lettore del gusto della scoperta sarebbe ingiusto. Basti proporre un’ultima “campionatura”, privilegiante il punto di vista dello storico dello spettacolo che svaria, nelle pagine che presentiamo, dalla narrazione del recupero in luogo sorprendente di un sorprendente oggetto dell’effimero quale l’effigie d’Erasmo scolpita per l’ingresso trionfale a Rotterdam nel 1549 del futuro Filippo II (Erasmo in Giappone, pp. 25-35); alla rievocazione della giostra organizzata da Bartolomeo d’Alviano a Padova nel 1515 in Pra’ della Valle (Il cavaliere dimezzato, pp. 37-43), «sì per dar solazo e piacer a tutti come exercitar et accender la gente d’arme» (così Marin Sanudo); sino alla convincente ricostruzione di un fallimento teatrale illustre (pp. 75-83, Una lunga notte per un fiasco). Dico la rivisitazione della messinscena promossa a Venezia nel carnevale 1565 dall’aristocratica Compagnia della Calza degli Accesi. Allestimento che vide impegnati l’accademico Olimpico Andrea Palladio, il medico-drammaturgo Conte da Monte (Antonio Pigatti) e il pittore Federico Zuccari in uno spettacolo ambizioso del cui esito concreto poco o male si sapeva; e che Puppi, con l’ausilio di un recuperato testimone oculare amico di Palladio, Fabio Monza, giudica a ragione «un fiasco colossale» (p. 82). Un insuccesso, dunque e persino clamoroso, la recita in laguna dell’Antigono di Conte da Monte nello spazio teatrale impalcato per l’occasione da Palladio e ubicato, con ogni probabilità, nei pressi di palazzo Foscari a San Simeon piccolo (fig. 2).

 

Una sconfitta artistica condita d’insulti, probabilmente procurati ad arte dall’attore protagonista, il performativo «Gobbo dell’Anguillara», per indispettire l’intellettuale autore della tragedia. Eppure quell’evento contestato (la «tragedia fu recitata male et per il Gobo furno fati di molti errori», scrive il diarista Monza) resta, stimo, una tappa cruciale per comprendere la diuturna idea di teatro palladiana, culminante nell’enigmatica scenafronte dell’Olimpico di Vicenza (fig. 3). Quell’Olimpico che Puppi elegge, nell’Interludio di questo suo libro (pp. 95-98, Breve conversazione con Palladio), a sede di un memorabile «appuntamento» virtuale tra il commissario P. e un Palladio ormai vecchio, con la fronte «solcata da qualche ruga […] dilatata dall’ampia pelata del capo» e con lo sguardo d’un «azzurro profondo». Un azzurro, aggiungo, di schietto sapore autobiografico, che abbiamo imparato a guardare sino dalla monografia dedicata dallo studioso nel 1997 alla Giovinezza di Palladio, nella quale Andrea si congedava dal lettore stropicciandosi gli occhi «a coprirne, per un lungo momento, la limpida luce d’azzurro» (p. 129). Lascio, infine, la parola a Puppi e al suo alter ego prediletto, Palladio. Quest’ultimo è «seduto all’estremità del gradone inferiore della cavea, a ridosso dell’orchestra. Il suo sguardo è concentrato sul monumentale proscenio, e sembra perplesso. […] “Ben tornato, Maestro”, lo apostrofo. Sobbalza. “Sono tuttavia di fretta”, mormora; e sembra quasi un sospiro. Non è incoraggiante, Palladio» (p. 95). Questo l’incipit di un sogno della storia che mette a colloquio il maestro patavino con il suo studioso principe, autore della più importante monografia palladiana del secolo che ci è alle spalle. E se ne ascoltano delle belle, in quel privato appuntamento. A partire da un’amara constatazione palladiana rivolta ai posteri: «“Millantatori. Nulla hanno inteso”». E ancora: «“cosa vedo intorno a me, adesso? La scancellatura, la cassatura deliberate della memoria per erigere sulle sue polveri […] stramberie senza ordine e ragione”».

 

Fig. 3 - Andrea Palladio-Vincenzo Scamozzi, Teatro Olimpico di Vicenza, 1580-1585

 

Concludo rammentando, con Fernando Pessoa, che le «isole fortunate, / sono terre che non hanno luogo, / dove il Re vive aspettando. / Ma se vi andiamo destando / tace la voce e solo c’è il mare». Chissà cosa ne avrebbe pensato il fratello dell’orgoglioso Re d’una delle Isole Fortunate, l’amerindo appellato abusivamente dai vincitori Diego Colón dono esotico dei sovrani di Spagna alla Serenissima che poi, nel 1497, dislocò costui a Padova. Perciò Giulio Campagnola lo vide, lo ricordò e quindi ne dipinse il volto, sparuto e diverso, tra i personaggi-cornice del suo Sposalizio della Vergine affrescato nella patavina Scoletta del Carmine. È questo il Preludio (I clamori e il silenzio, pp. 9-13) del volume di Puppi. Un volume che dà voce a storie di uomini infelici, la cui memoria è stata troppo a lungo celata, smentita e manipolata, ma che è ora finalmente resa alla luce dal tenace e suadente Uomo degli Archivi.

 

di Stefano Mazzoni


La copertina

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