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Raymond Queneau, La scrittura e i suoi multipli

A cura di Chetro De Carolis e Delia Gambelli

Roma, Bulzoni Editore, 2009, pp. 238, 18 Euro
ISBN 978-88-7870-375-9

Raymond Queneau è tra gli scrittori più affascinanti del XX secolo, soprattutto per l’interesse che egli stesso ha mostrato per le arti, in particolare per la letteratura, e per le sperimentazioni realizzate nelle sue opere sull’uso polisemico del linguaggio. Proprio a tal fine, infatti, nel 1960 fonda l’Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle - Officina di Letteratura Potenziale) che si propone di ricercare nuove strutture e nuovi schemi generali che possano essere usati a loro piacimento dagli scrittori. Il titolo suggestivo del presente libro si riferisce proprio a questo particolare rapporto dell’autore francese con il linguaggio ed è conseguenza del seminario Queneau: la scrittura e i suoi multipli. Storie, grafi, scienze e fiori organizzato dall’Associazione Sigismondo Malatesta, fondata nel 1988 da un gruppo di studiosi di varie Università per dare vita a ricerche in ambito letterario secondo una prospettiva comparatistica e interdisciplinare. Il seminario, condotto da Maria Sebregondi, Chetro De Carolis e Delia Gambelli, ha raccolto interventi di esperti internazionali in varie discipline con lo scopo di mostrare la complessità della produzione queneauniana.

 

Paul Fournel, oggi presidente dell’Oulipo, spiega la posizione di Queneau rispetto alla letteratura del suo tempo soffermandosi sull’«antologia dei letterati folli», un catalogo di scrittori da cui egli stesso attingerà idee per i suoi personaggi, tutti in qualche modo legati alla scrittura ed implicati in relazioni “complicate” con le proprie creazioni: un esempio per tutti è Le Vole d’Icare, tradotto Icaro involato, in cui il protagonista scappa dal libro per vivere la vita reale mandando nel panico l’autore, l’editore e gli altri personaggi. Da questo catalogo si ricava una vera e propria teoria della letteratura dell’autore, come mostra Henri Godard nel discorrere sui tre volumi pubblicati con il titolo Les Éscrivains célèbres. In essi, soprattutto nel terzo, Queneau riflette sul genere romanzesco analizzandone il cambiamento in alcuni autori del Novecento ed attribuendolo alla nuova concezione di temporalità rivelata dalle teorie filosofiche e scientifiche (Bergson, Freud, Einstein).

 

Corrado Bologna segnala come nell’autore in questione emerga una «esigenza di organizzazione», una necessità a cercare la «regola di buona costruzione» per la scrittura, che egli chiama contrainte (insieme di norme strutturali e formali), affermando che l’atto creativo sia allo stesso tempo libero e condizionato. Sull’imponente influenza della letteratura inglese, e soprattutto anglo-americana, nell’opera di Queneau si sofferma Chetro De Carolis. In Le Ouvres complètes de Sally Mara l’autore ironizza sulla propria “anglojoycedipendenza” scrivendo un pastiche dell’Ulysses in cui le analogie tra i due scrittori sono facilmente riscontrabili a più livelli. Delle forme del comico e delle corrispondenze con Flaubert presenti ne Les Fleurs bleues trattano i saggi di Anne Marie Jaton e Delia Gambelli. Nel primo Jaton individua una «comicità tendenziosa» e satirica, un umorismo con cui velatamente l’autore denuncia le violenze e la prepotenza dei potenti. Gambelli evidenzia le consonanze tra quest’opera e l’Éducation sentimentale di Flaubert, a cui probabilmente Queneau ha voluto fare omaggio, e delinea i tentativi fatti dall’autore per superare i modelli tradizionali di romanzo.

 

Irene Zanot analizza, invece, le varie forme del silenzio presenti nelle sue opere e, attraverso vari esempi concreti, mostra i diversi significati che esse assumono. L’amore per i numeri spinge l’autore francese a creare una «assiomatica della letteratura», come ci spiega Michele Emmer, ritenendo che il linguaggio sia matematizzabile attraverso la combinatoria (settore della matematica che studia come ordinare e raggruppare secondo delle regole un insieme di elementi), la quale può essere applicata anche alla storia e all’uomo. Infatti di questa «aritmomania» ne sono esempio i Cent mille milliards de poèmes (1961), dieci sonetti con le stesse rime che possono dar vita ad altri centomila miliardi di sonetti, intercambiando i versi tra loro; una sfida, quindi, tradurre un testo del genere, accettata da Maria Sebregondi che spiega questo «libro-oggetto», questa «macchina per produrre sonetti» e il modo in cui ha operato per tradurlo.

 

Per meglio comprendere la versatilità di Queneau Claudio Zambianchi e Marco Pistoia analizzano rispettivamente i rapporti, fortissimi, dell’autore con le arti visive e con il cinema. Per quanto riguarda le prime basta pensare ai dipinti da lui stesso realizzati ed esposti, ma soprattutto ai suoi «pittogrammi» in cui utilizzando un insieme di simboli si propone di offrire un «linguaggio universalmente comunicabile». Né prima né ultima frequentazione cinematografica è la scrittura del testo di commento al cortometraggio-documentario Le Chant du styrène di Alain Resnais: l’affinità poetica tra i due conduce alla creazione di un testo ed un film che si rivelano due «esseri misteriosi» (così definiti dallo stesso Queneau) perché entrambi frutto della combinazione di più forme artistiche. Paolo Bertetto si sofferma sulla riscrittura del romanzo Zazie dans le metro nel film omonimo di Malle, in cui il regista sperimenta mezzi cinematografici efficaci per mantenere la dimensione marionettistica dei personaggi e il senso di irrealtà del testo d’origine.

 

Il libro si conclude con l’intervento di Serena Valeri che a fine seminario ha presentato un video montaggio con fotogrammi e segmenti cinematografici, passando in rassegna le esperienze filmiche che hanno visto Queneau in ruoli diversi: regista, sceneggiatore, interprete, dialoghista, adattatore dei testi, paroliere per le canzoni, autore del commento. Anche qui un numero infinito di combinazioni.


di Mariagiovanna Grifi


copertina

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