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Theatre Research International, vol. 34, n. 3, ottobre 2009


vol. 34, n. 3, ottobre 2009, pp. 108, £20
ISSN 0307-8833

Ogni tre anni, il comitato editoriale che lavora a «Theatre Research International» viene rinnovato. Con questo numero si conclude una tranche de vie e nell’editoriale Freddie Rokem ringrazia tutti coloro che hanno lavorato con lui fin dal 2007 e cede il testimone a Elaine Aston e Charlotte Canning, che dal prossimo numero ricopriranno il ruolo rispettivamente di Senior e Associate Editor.

 

Qualunque ragionamento sul teatro implica una certa comprensione delle dinamiche sceniche connesse con la manifestazione delle azioni e delle parole umane; ma tale comprensione è stata subissata dalla concezione antropomorfica della fenomenologia antropica, dipendente dall’assunto della concretezza della figura umana. Esa Kirkkopelto (The Question of the Scene: On the Philosophical Foundations of Theatrical Anthropocentrism), tenta di ridefinire concettualmente la relazione tra la manifestazione del dato umano e il modo di rappresentarlo in teatro, attraverso l’analisi dei testi della filosofia classica, al fine di concedere nuove possibilità alla critica dell’antropoformismo teatrale.

 

Mediante l’esemplificazione di To Have Done with the Judgment of God, radiodramma del 1968 di Antonin Artaud, Laura Cull (How Do You Make Yourself a Theatre without Organs? Deleuze, Artaud and the Concept of Differential Presence) analizza i quattro concetti chiave emersi dall’incontro tra l’artista francese e Giles Deleuze: il corpo senza organi, il teatro senza organi, la voce “destrutturata” e il «differential presence».

 

Martin Puchner (The Theatre of Alain Badiou) analizza la relazione tra filosofia e teatro nell’opera del drammaturgo francese, per evidenziare come la comprensione ultima del suo lavoro e del suo pensiero possa avvenire solamente attraverso il riferimento alla filosofia platonica, cui Badiou è debitore. Si propone infine la dicitura di Dramatic Platonism per definire quella tradizione filosofica di cui Badiou è il più significativo esponente.

 

Candice Amich (Playing Dead in Cuba: Coco Fusco's Stagings of Dissensus) riflette sul modo in cui Coco Fusco, artista cubano-americana, ridefinisce la politica sull’esilio così come è stata concepita e amministrata nell’isola caraibica, in cui non è ,mai stata applicata la politica del diritto di libera circolazione. L’analisi di Amich prende spunto da due performance clandestine, svoltesi a L’Havana nel 1997 e nel 2000, in cui, partendo dal concetto di dissensus teorizzato da Jacques Rancière, si cerca di riflettere su «the exile’s impossibile desire for repatriation».

 

In tempi di crisi e disorientamento esistenziale, le arti spesso si affidano al dubbio radicale, che per essere articolato richiede le tecniche proprie della mascherata, dell’inganno, della simulazione, e che contemporaneamente include una mistura di pathos e melanconia. Helmar Schramm e Barbara Sušec Michieli (Pathos and Melancholy: Rethinking ‘Theatre’ in Times of Doubt) passano in rassegna diversi progetti nati in Slovenia, Germania, Russia a altre nazioni, nel periodo successivo alla caduta del muro di Berlino, e li analizzano alla luce degli eventi delle due decadi precedenti. I due autori si focalizzano sulla prospettiva politica e su quella sociale ed evidenziano gli aspetti storico-culturali legati a questo concetto di dubbio. Questi, infatti, in Europa hanno influenzato lo sviluppo del teatro e un approccio sperimentale al sapere, dagli inizi dell’era moderna fino ad oggi.

 

Gli ultimi due saggi si concentrano sul King Lear. Jane Wong Yeang Chui (Unstaging King Lear) prende in esame due messinscene: quella diretta da Trevor Nunn per la Royal Shakespeare Company, con protagonista Ian McKellen, e quella di Ho Tzu Nyen e Fran Borgia, dal titolo The King Lear Project: A Trilogy, entrambe del 2008. Assumendo la prima come la “messinscena modello”, laddove la seconda rappresenta un esperimento meta-teatrale, si conduce una analisi comparata per capire se esista, e quale sia, un “modo giusto” per mettere in scena quel dramma. Paul Rae (Duc Tape His Mouth! On Being Judged), infine, uno degli interpreti del The King Lear Project, riflette sul suo lavoro in quel progetto.

 

di Carlo Lorini e Diego Passera


La copertina

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