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Theatre Research International, vol. 34, n. 2, luglio 2009


vol. 34, n. 2, luglio 2009, pp. 123, £20
ISSN 0307-8833

Il secondo numero del 2009 di Theatre Research International si segnala per la particolare ricchezza di contributi, che prendono corpo dall’indagine del concetto di temporalità, intesa come la relazione tra passato presente e futuro, e che ne fanno uno dei numeri più densi.

 

Nell’«Introduzione» (Poetics and Politics of the Future: Reverberations and Continuations of Cultural Practices from Jewish/Israeli and German Perspectives), a cura di Erika Fischer e Christel Weiler, viene fatto il punto della situazione circa il progetto di ricerca portato avanti in cooperazione dai dipartimenti di teatro dell’Università di Tel Aviv e della Freie Universität Berlin, e sovvenzionato dalla israelo-tedesca Foundation for Scientific Research and Development. Questo focalizza due questioni critiche: in che modo è possibile analizzare e interpretare il futuro come una categoria teoretica e temporale, in relazione alla performance; quali sono i temi e gli argomenti che possono essere sviluppati per esprimere le plurime modalità di riflessione sia politica che poetica (all’interno della performance e attraverso di essa, sempre in relazione al futuro) in relazione ai concetti di identità, creazione artistica, trasferimento e concezione culturali dell’“altro”. Fischer e Weiler propongono alcune riflessioni teoriche che servano da impalcatura per le indagini in relazione al primo quesito. Le teorie espresse sono poi verificate dai quattordici articoli che riflettono su diverse performance, per evidenziare come esse siano effettivamente «future-oriented» o, meglio, «future-generating».

 

I primi tre saggi si focalizzano intorno al concetto di “fine”, intesa nei suoi molteplici campi semantici. Benjamin Wihstutz, (Anticipating the End: Thoughts on the Spectator and the Temporality of Dasein), facendo riferimento alla nozione di “anticipazione della morte” (Vorlaufen) di Heidegger, sottolinea come qualsiasi flash forward sulla fine di una performance riesca a presentare appieno la provvisorietà del Dasein, dell’esistenza. Sharon Aronson-Lehavi (‘The End’: Mythical Futures in Avant-Garde Mystery Plays), chiarisce come la “Fine dei Giorni” sia parte costitutiva della drammaturgia dei mystery plays medievali, che presentano il mondo dalla creazione alla morte, e finiscono con l’avveniristico episodio del Giudizio Finale. I modern mysteries (focus del saggio) rappresentazioni contemporanee e avanguardistiche dei testi biblici, pur muovendo dalle scritture della tradizione, si aprono a nuovi filoni drammaturgici, creando un fenomeno potentemente moderno. Nina Tecklenburg (The Potential of the End(ing): Anticipated Nostalgia in To the Dogs by Lone Twin) analizza il processo alla base della rappresentazione del finale dello spettacolo in oggetto. To the Dogs metaforizza il suggestivo incontro-scontro dei diversi tempi in cui si svolgono gli eventi, mediante un uso straniato di due modalità comunicative normalmente contrapposte: l’evento scenico (il presente) e il racconto narrativo (il passato). «In this process the performance is transformed into a myth, in which the event is anticipated as a closed story, even though it is still about to happen».

 

Interessante It's about Time: The Temporal Evolution of Order di Moshe Perlstein, che recupera la metodologia di indagine dalla fisica e considera il fenomeno teatrale come evoluzione di un sistema: dall’ordine al disordine o viceversa. Si esemplifica attraverso l’esame di due bozzetti scenici di Roni Toren per il Khan Theatre di Gerusalemme.

 

Prospective Genealogies: Einar Schleef’s Choric Theatrei, di Matthias Dreyer, analizza l’opera di Einar Schleef (1944-2001), alla luce di quella compagine di teatro corale sviluppatosi e diffusosi nell’Europa degli anni 1980, che si proponeva come finalità la ricerca di possibilità politiche alternative. Dreyer esamina il modo in cui l’operato di questa propagine di grecità post-moderna abbia avviato il processo di creazione di una memoria culturale per il teatro e, quindi, la creazione di un legame col passato che sarebbe divenuto terreno fertile per il futuro.

 

Daphna Ben-Shaul (Potential Life: Modelling the Void in Two Production of “The Cherry Orchard”) esamina due produzioni de Il giardino dei ciliegi: quella di Giorgio Strehler (1974) e quella di Yevgeny Arye per il Gesher Theater di Tel Aviv (2006). Egli può così evidenziare la percezione spettatoriale dello spazio scenico (monocromaticamente bianco il primo; occupato da un incombente baldacchino bianco il secondo) come di un luogo che, strutturato dal “principio di potenzialità”, è utilizzato come uno sfondo “interattivo” sul quale prendono forma proiezioni mentali e immaginifiche. I personaggi che agiscono questo spazio vivono lo stato del “not yet”, nella speranzosa pretesa/attesa di realizzare le loro vite potenziali.

 

Björn Frers (Work in Progress: Rimini Protokoll’s “Karl Marx: Capital, First Volume” and the Experience of the Future on Stage) esamina il modo in cui il futuro è manifestato e percepito in teatro. Facendo riferimento alla messa in scena citata nel titolo, si relaziona sul rapporto tra passato, presente e futuro, mostrando come i diversi strati temporali siano interrelati l’uno con l’altro. Gli attori non sono professionisti, ma “expert”, “uomini di professione”, le cui vite sono connesse in qualche modo con il Capitale di Marx. Basandosi sulle loro biografie, la performance offre una nuova lettura dell’ideologia marxista, e al contempo mostra anche le similitudini tra l’approccio artistico di Protokoll e quello scientifico di Marx.

 

Ruthie Abeliovich (Envoicing the Future: Victoria Hanna's Exterior Voice) analizza quattro scene di Signals, performance vocale della israeliana Victoria Hanna, per mostrare come la performer, attraverso un particolare rapporto voce-corpo, riesca a iconizzare specifiche dualità: femminile-maschile, umano-tecnologico, fisico-metafisico. Si arguisce che l’essenza del futuro non è nella sua presenza, ma nella sua assenza, quest’ultima metaforizzata dalla disembodied voice di Hanna.

 

Joy Kristin Kalu (Experiencing Expectation: Perceiving the Future in Performance) analizza il futuro attraverso le concettualizzazioni dello storico Reinhardt Koselleck, che definisce il concetto di esperienza e di speranza connettendoli, rispettivamente, a un “passato-presente” e a un “futuro-presente”. Koselleck formula così la teoria delle “Storie Potenziali”. Partendo da questo principio, Kalu relaziona sulle connessioni tra le diverse stratificazioni temporali e le potenzialità di una performance.

 

Dror Harari (Risk in Performance: Facing the Future) sostiene che laddove il pensiero razionale ha adottato svariate metodologie per analizzare gli imprevisti e poterli sovrintendere, certe pratiche performative moderne e post-moderne hanno operato nel senso di un loro accoglimento. Le prime li hanno inglobati al fine di trascendere gli aspetti ontologici della performance; le ultime ne hanno banalizzato il senso, volendo rappresentare la loro inevitabilità, sia negli aspetti della messinscena che in quelli della vita.

 

Matthias Warstat (Images of the Future in Drama Therapy) conduce una analisi comparata attraverso la quale avvicina la performance, strettamente legata all’hic et nunc, e la teatro-terapia, dipendente da tempi molto più lunghi: la profonda affinità di quest’ultima con la pratica della costruzione di immagini del sé, proiettate nel futuro, può essere spiegata con le stesse argomentazioni che chiariscono il problema connesso con gli imprevisti inerenti alla performance.

 

Nissim Gal (The Fall of God into Meaning’: Painting Time in Jacob Wrestling with the Angel) analizza due interpretazioni visive della storia biblica di Giacobbe e l’Angelo (quelle di Delacroix e di Gauguin) lette con la lente delle concettualizzazioni filosofiche di Emmanuel Levinas, per evidenziare come il futuro a volte debba essere spiegato attraverso riferimenti a dimensioni metafisiche.

 

Sandra Umathum, (Given the Tino Sehgal Case: How to Save the Future of a Work of Art that Materializes Only Temporarily) analizza la produzione artistica del tedesco Tino Sehgal: egli finalizza il suo operato alla salvaguardia del futuro della sua arte, ontologicamente effimera, e, nel far questo, si confronta continuamente con i problemi e gli interrogativi che le performance art hanno generalmente trascurato o perfino prodotto.

 

A conclusione di questo numero Freddie Rokem nelle Final Reflections sente la necessità di pensare al futuro delle discipline umanistiche in relazione alla società e alle accademie, e in particolare alle possibilità offerte ai giovani studiosi che hanno deciso di investire il loro avvenire agli studi, alla ricerca e alla pratica in questo campo: senza il supporto delle istituzioni e degli apparati governativi, la nostra cultura si impoverirà più di quello che già non sia.

 

di Carlo Lorini e Diego Passera


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