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Il castello di Elsinore, a. XXIII, n. 61, 2010


a. XXIII, pp.160, 2010, 18.00 euro
ISSN 0394 – 9389

Ad aprire la sezione Saggi è Federica Natta con Il teatro fonte dell’immagine. L’iconografia escatologica nel Ponente Ligure: Giovanni Canavesio, Matteo e Tommaso Bisacci. In questo intervento la studiosa esamina due cicli di affreschi: quello realizzato dai fratelli Bisacci in San Bernardino ad Albenga  e quello del Santuario di Montegrazie ad Imperia, per dimostrare la tesi della manipolazione del dato teatrale nell’ideazione dell’immagine dipinta.  Gli argomenti degli affreschi riguardano la didattica medievale della Buona e cattiva arte del vivere e delle relative conseguenze: i Castighi infernali, il Purgatorio e il premio del Paradiso. La studiosa spiega che gli artisti utilizzano un principio didascalico piegato ai diversi contesti e funzioni per incitare i peccatori/spettatori ad una presa di coscienza interiore in preparazione al lavoro del confessore. La rappresentazione della morte diviene in questa maniera un dramma che si sostituisce ai discorsi morali e retorici utilizzati nel XV secolo. I soggetti degli affreschi di Canavesio al santuario di La Briga rispettano il significato simbolico dei valori spaziali ecclesiali: la zona absidale orientata verso est rappresenta la Natività, in controfacciata a ovest ritroviamo l’immagine dell’Inferno. La stessa cosa accade con la Passione di San Bernardo al cimitero a Pigna con l’ Annunciazione nell’area absidale, la Salita al Calvario e la Morte in controfacciata e la Discesa al Limbo e il Giudizio Finale sulla parete sinistra. La studiosa dimostra come trasponendo il tutto su un piano tridimensionale virtuale, si materializza quella ‘piazza teatralizzata’ tipica delle rappresentazioni di Aix-en-Provence, Francoforte, Lucerna. In questi affreschi è quindi possibile rintracciare una strutturazione teatrale che rimanda all’idea di interni ed esterni, di attori-personaggi in azione.

Giovanni Isgrò ne La vocazione filmica di Gabriele D’Annunzio individua nel romanzo Il Fuoco l’immaginario artistico – visivo  del Vate. Nella scrittura, D’Annunzio, affidandosi alla gondola che scivola lungo i canali, ferma come in una macchina da presa: gli scorci, gli slanci, gli effetti, i piani sequenza che la cinematografia proporrà in anni successivi. Isgrò si sofferma sull’orientamento cinematografico di D’Annunzio, esaminando altre opere quali La Francesca da Rimini, La figlia di Iorio, La Nave nelle quali è evidente l’approccio ravvicinato al dettaglio e alla profondità di campo, l’interesse per la musica e per gli aspetti coreografici. Lo studioso si sofferma in ultimo sulle problematiche sorte per la messa inscena del Martyre de saint Sébastien e dell’ambizioso progetto dannunziano, naufragato, del “Théâtre de Fêtes”, una sorta di meravigliosa macchina che prevedeva un impianto en plein air per un teatro di massa.

Nella sezione Materiali si raccoglie la testimonianza sull’esperimento del Laboratorio tenuto da Carlo Quartucci e Carla Tatò. Nell’introduzione Armando Petrini spiega come sia nato il progetto “provocatorio” del laboratorio Sueña Quijno promosso dal CRUT ed organizzato in collaborazione con altre istituzioni torinesi. Franco Perrelli in  Una nota su Carlo Quartucci e Carla Tatò delinea un profilo storico-artistico dei due artisti che negli anni ’60 vissero l’esperienza del rifiuto del naturalismo teatrale. Sono questi gli anni in cui si rivolge maggiore attenzione all’astrazione e all’uso fonetico-ritmico della parola, mentre il testo assume un rilievo spaziale e la scenografia e l’attore sono visti come delle entità integrabili. Donatella Orecchia in Fra ieri e oggi. Appunti per un discorso ininterrotto descrive la casa-teatro del duo Quartucci-Tatò aperta a Roma col nome di Teatr’arteria.

Livia Cavaglieri nel Nuovo teatro e teatri Stabili: Carlo Quartucci a Genova (1963-1966) ripercorre le esperienze teatrali di Quartucci  al teatro Stabile di Genova al fianco di Leo de Bernardis, Rino Sudano, Claudio Remondi, Anna D’Offizi e Sabina de Guida. Quartucci, figlio del capocomico siciliano Antonio Manganaro, faceva convergere il suo interesse verso il teatro circense, il mimo e le prime comiche cinematografiche e insieme ai colleghi dello stabile genovese debuttava nella stagione del 1963-1964 con Aspettando Godot, uno spettacolo di ‘controtendenza’ messo in scena come una partitura musicale e con una stilizzazione rigorosa della gestualità che scandiva il vuoto della scena con sequenze geometriche astratte. La studiosa ripercorre tutte le esperienze teatrali di Quartucci impegnato nel sociale e nella politica con Cartoteca, La mucca parlò a Pasquale, La fantesca. In ultimo Giuliana Pititu raccoglie in un reportage l’esperienza del laboratorio Sueña Quijno, raccontando come in una sorta di ‘diario di bordo’ tutte le fasi di preparazione per questa esperienza. Gigi Livio tratteggia la figura della regista-poeta Carla Tatò.

Roberto Alonge, nella sezione Polemiche, s’interroga sulla metodologia adottata  dalla collega Annamaria Cascetta, nel volume La tragedia nel teatro del Novecento, pubblicato recentemente da quest’ultima. Con la precisione di un certosino-investigatore, lo studioso, scandaglia ad uno ad uno significati, concordanze, note, contrapponendosi in maniera radicale a quel lavoro.

di Assunta Petrosillo


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