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Bianco & Nero 564, a. LXX, maggio-agosto 2009


a. LXX, n. 564, maggio-agosto 2009, € 15,00.

È con giustificata sorpresa che il lettore scopre che la più accademica delle riviste di cinema italiane dedica un numero monografico ai videogiochi o meglio, come si legge in copertina, all’ “immagine videoludica”. Ma se il lettore è attento si sarà accorto che la relazione cinema-vidoegioco fa capolino ogni volta che si parla di intermedialità e che ormai l’accostamento di due ambiti nati distanti non è più un tabù da respingere con la forza del pregiudizio.  Superficialmente si tende a pensare al rapporto biunivoco che si è stabilito tra adattamenti di videogiochi a film o viceversa, ma i diversi contributi presenti riguardano soprattutto parentele nel linguaggio e nella fruizione.

Si parte dal primo saggio di Patrick Coppock incentrato sui quei videogiochi detti ‘First Person Shooter’  (“Sparatutto” per i videogiocatori italiani) dove il giocatore ha una visione in soggettiva con l’arma ben in evidenza e se ne ricercano gli elementi connotanti per comprendere se esso costituisca o meno un genere. Dario Compagno nel suo intervento illustra i meccanismi che aiutano a configurare un destino, naturalmente finzionale, all’interno del gioco e quanto invece può essere determinato da una casualità o da una reale libertà di scelta che porterà a esiti diversi.  Di ciò vengono poi sottolineate le differenze con film in cui il tema dei possibili destini ha un particolrare rilievo. Altri contributi come quello di Ruggero Eugeni e Massimo Locatelli riguardano invece l’esperienza di gioco attraverso anche riconsiderazioni dei modelli fino ad oggi proposti.

Costituisce una parte importante della monografia anche lo studio di Bernard Perron e Carl Therrien, volto a seguire l’evoluzione dell’immagine videoludica in senso cinematografico grazie anche al potenziamento dei motori 3D e, sempre nel campo delle analogie e parantele si colloca il contributo di  Guglielmo Pescatore e Valerio Sillari che mostra un ulteriore punto d’incontro tra cinema e videogames con il “machinima”, termine nato dall’unione di ‘machine’ e ‘cinema’ (o da ‘machine’ e ‘animation’). Il neologismo altro non designa che un procedimento creativo che utilizza scene tratte da videogames per costruire sequenze narrative, solitamente produzioni amatoriali veicolate dal web.   

Tra i molti interventi, da segnalare anche quello di Andrea Dresseno  sull’Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna a ricordarci che ormai la nozione e la pratica della conservazione possono essere applicate a un medium da tempo in cerca di legittimazione e dignità accademica. In ultimo, accolto con un certo sollievo dai lettori meno attenti alla crossmedialità e più concentrati su studi eminentemente cinematografici, un accurato studio di Luca Mazzei sulla critica e la produzione di Roberto Rossellini prima di Roma città aperta. Appare oggi sufficiente  leggere ciò che scriveva Giorgio Almirante dalle colonne del «Tevere» per non farsi troppo tentare dal definire quel Rossellini regista di film di mera propaganda.  

Per quanto atipico, questo numero della rivista va con certezza a incrementare il numero delle pubblicazioni autorevoli in lingua italiana sulla materia videogames, che, a giudicare dalle fonti citate nei singoli saggi, appaiono al momento piuttosto scarse.

 

di Paolo Grassini


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