drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


"Pietro Von Abano" di Louis Spohr.
Quando l’arte mette in scena i nostri luoghi e la nostra memoria

Padova, Armelin Musica, 2009, pp. 92, 12 euro
ISBN 978-88-95738-33-8

Di Louis Spohr si ricomincia a parlare. Ma per merito della pubblicistica, più che della viva realtà esecutiva. Il centocinquantenario dalla morte, l’anno scorso, è passato sotto silenzio nei nostri cartelloni (si dovevano fare i conti con le scadenze bicentenarie di Haydn e Mendelssohn) ed è stato trascurato anche in Germania (a Kassel, dove Spohr per sette lustri fu maestro di cappella e poi Generalmusikdirektor, ci si è limitati a una Jessonda in forma di concerto): insomma, resta uno di quei nomi incontrati nei manuali di storia della musica cui il grosso pubblico non associa alcunché di preciso, al di là del fatto che fu un violinista di levatura storica; e perfino l’autore del volumetto in questione ammette che, prima di lasciarsi stregare dall’opera Pietro von Abano (1827), per lui Spohr era solo l’autore di gentili e serene composizioni da camera, con una spiccata predilezione, condivisa dal più popolare amico-rivale Weber, per la letteratura clarinettistica.

 

Tuttavia, soprattutto dopo il fondamentale Louis Spohr. A critical biography di Clive Brown (Cambridge 1984), su questo eclettico violinista-direttore-compositore, il cui Faust del 1816 può dirsi retrospettivamente la prima opera romantica tedesca, si ricomincia a scrivere: negli ultimi anni, in Italia, sono arrivati contributi di Quirino Principe, una monografia di Ugo Gangi (2007) e Ondine, vampiri e cavalieri di Elisabetta Fava (2006), che a Pietro von Abano dedica un nutrito paragrafo. Spetta a lei anche il breve saggio che, collocato a mo’ di appendice, chiude questa pubblicazione di Dario Bisso Sabàdin, direttore d’orchestra dal curriculum internazionale nonché operatore culturale donchisciottesco ed entusiasta che – corroborato dalle proprie radici venete o, meglio, euganee – si è innamorato a prima vista di quest’opera di cui Spohr era così orgoglioso da rifiutare di modificarla per non scontentare la censura (anche se fu questo a impedirne, dopo il successo iniziale, la circolazione): dedicata al più illustre figlio dell’attuale Abano Terme (medico alchimista e filosofo averroista accusato di eresia, Pietro visse tra il 1257 e il 1315 circa) e caratterizzata da un’ambientazione cangiante ma geograficamente unitaria, dove i quadri che scandiscono i due lunghi atti si svolgono ora ad Abano, ora a Padova, ora sui Colli Euganei.

 

Innamoramento – si diceva – a prima vista, e non a primo ascolto: l’autore racconta come, dopo aver sentito alla radio tedesca la sola Ouverture, e affascinato dall’argomento dell’opera, si sia messo alla ricerca della partitura (consultabile a Parigi, Vienna e Monaco) e di contatti musicologici sull’autore (esiste una Spohr Society in Gran Bretagna, a Leeds, e una negli Stati Uniti, a Memphis). È proprio il racconto di questa sorta di caccia al tesoro la parte più avvincente del libro, che comunque si attiene a un registro colloquiale anche quando si addentra nel terreno di una disamina, sintetica e senza troppi tecnicismi, del testo musicale. Il prosieguo è invece la storia di un appuntamento mancato, anche se – si spera – solo rinviato: acquisita la partitura, assistita a una prima ripresa moderna dell’opera in forma di concerto (proprio a Leeds), Bisso Sabàdin si augurava l’anno scorso, a un secolo e mezzo dalla scomparsa dell’autore, di poter personalmente dirigere – questa volta in forma scenica – Pietro von Abano nella sua sede più logica e naturale: il Teatro Pietro d’Abano ad Abano Terme. La produzione era già stata annunciata e preceduta, in primavera, da un convegno. Poi il silenzio, o il voltafaccia, di chi avrebbe dovuto rendere possibile l’evento.

 

Stando così le cose, la seconda parte del libro è l’appassionata perorazione in difesa di un progetto che lasciar cadere sarebbe, per la vita musicale italiana, un’ennesima occasione perduta; ma anche una riflessione su quanto Spohr e il suo librettista abbiano saputo comprendere un mondo (quello patavino-euganeo) meno lontano dall’opera tedesca di quanto si possa credere. E siccome da un appuntamento mancato può nascere una serie di appuntamenti, Bisso Sabàdin si augura non solo che Pietro von Abano possa quanto prima essere rappresentato nella sua città natale, ma che l’esecuzione dell’opera sia una sorta di numero zero per un festival delle Terme Euganee che continui ad esplorare i rapporti tra quell’area geografica e la civiltà musicale germanica. Il tutto, naturalmente, con un occhio alla location: al contrario di Toscanini, che sosteneva come all’aperto non si debba far musica ma giocare a bocce, Bisso Sabàdin crede nel plusvalore dell’opera en plein air. Anzi, non esclude che Pietro von Abano si possa eseguire negli autentici luoghi del libretto, dal Duomo di Padova al Palazzo del Podestà.

 

Resterebbe da dire che se il vero Pietro d’Abano fu uno spirito libero e illuminato, in quanto tale perseguitato dai tribunali ecclesiastici, il protagonista dell’opera (e della novella di Tieck da cui Spohr prese le mosse) è invece un negromante senza scrupoli, libidinoso e necrofilo. Insomma non un concittadino di cui andare fieri, per gli abitanti di Abano Terme. Ma questa è un’altra storia.

 

di Paolo Patrizi


copertina libro

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013