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Paris capitale mondiale du théâtre
Le Théâtre des Nations
A cura di Odette Aslan

Paris, CNRS Éditions, 2009, pp. 332, euro 49,00.
ISBN 978-2-271-06866-8

L’idea viene da Firmin Gémier e da Gaston Baty e dai loro sforzi negli anni Venti del 900, per lo scambio e l’integrazione fra le culture. Nella Société Universelle du Théâtre nasce il progetto di una Rassegna internazionale, concretatasi nel dopoguerra, al Théâtre Sarah-Bernhardt, col primo Festival International d’Art dramatique de la Ville de Paris. L’ambizione s’evidenziava nel titolo: «L’intitulé fédérateur Théâtre des Nations impliquait la convocation de tous les théâtres du monde sur une scène» (p. 8). Partita sotto l’egida dell’UNESCO e diretta da A.-M. Julien (pseud. di Aman Maistre, 1903-2001) e Claude Planson (1914-1999), l’istituzione muoveva i primi passi di un cammino utopico nel 1954. Questo volume, curato da una sola autrice (la Aslan all’epoca era addetta alla direzione letteraria, responsabile delle letture-spettacolo e tramite dei ricercatori con il CNRS), è frutto di un lavoro di gruppo, davvero eccezionale se a distanza di mezzo secolo ricompone - quasi giorno per giorno, spettacolo per spettacolo - l’intera storia del Théâtre des Nations. Per una tradizione avvalorata nel 900 fino al mito, Parigi è stata centrale nel mondo teatrale. Sminuita ormai tale fama, è oggi opportuno uno sguardo critico su quel periodo per riappropriarsi del senso di tante attività, idee e progetti, condensati in dodici anni di impegno.

 

Odette Aslan e i collaboratori forniscono dati sintetici, indicazioni teoriche per l’attualità; oltre all’esposizione, cronologica e per generi di spettacolo, delle varie esperienze; profili delle personalità e dei problemi affrontati e discussi allora. Scrive la curatrice: «Dans un après-guerre encore troublée de mauvais souvenirs, secouée par de nouveaux conflits  […] bien de conservateurs refusaient les innovations, les jeunes générations s’agitaient. […] Le Théâtre des Nations était le champ de résonance de ces feux qui couvaient, il reflétait l’état du monde» (p. 9). L’impostazione cronologica intende ricostituire il clima e le sue mutazioni, al variare del senso e degli scopi nel susseguirsi degli spettacoli, reimmersi nella loro atmosfera anche mondana. Il periodo iniziale offre notevole ricchezza di suggestioni e di confronti. Apre la Rassegna Cyrano de Bergerac di Rostand, interpretato da Gino Cervi (regia di Raymond Rouleau), spettacolo e interprete valutati i migliori, assieme a Helene Weigel, dalla critica. Fra gli invitati, spicca il Berliner Ensemble per le rappresentazioni di Mutter Courage e di La Cruche cassée. «La France s’est longtemps considérée – scriveva Sylvain Dhomme – comme une forteresse culturelle plus dominante que curieuse du génie des autres. Le TdN a ouvert  les ponts-levis de la forteresse» (p. 39). L’anno seguente il Berliner rappresenta Le Cercle de craie caucasien, ma l’attrazione è l’Opera di Pechino, mentre l’Italia mostra Questi fantasmi (Sacrés fantômes) di Eduardo De Filippo. La Locandiera di Goldoni segue poi a illustrare la scena italiana e costituisce l’evento capace di attizzare il dibattito su Comment jouer Goldoni? La critica riconosce le lettura “classista” di Visconti in una messa in scena dal realismo “anticonvenzionale” (p. 56).

 

Cadenze storiche segnano la sequenza delle presenze italiane. Nel 1957 si assiste a Oreste, di Alfieri interpretato da Gassman; l’accoppiata Goldoni e Visconti si ripropone nel 1958 con l’Impresario delle Smirne; nel 1959 torna Gino Cervi, protagonista dei Giganti della montagna con la regia di Guido Salvini e Les Joyeuses commères de Windsor di Shakespeare. Figli d’arte, di Diego Fabbri, è interpretato da Morelli-Stoppa; Gassman ritorna nel 1961 col recital Poésie et théâtre (Da Shakespeare a Pirandello), indi nel 1963, con Le Jeu des héros, «spectacle qui se veut une antologie de comportements divertissante, didactique et qui dispense un plaisir esthétique» (p. 187). Nel 1960, il Teatro Ca’ Foscari presenta la Commedia degli Zanni; La Moscheta di Ruzante con regia di De Bosio è del 1961. Seguono Domenico Modugno, con Rinaldo in campo (1962) e Peppino De Filippo, con Les Métamorphoses d’un musicien ambulant (1963). Due le presenze del Teatro Stabile di Genova, con Ciascuno a suo modo (1962) e I due gemelli veneziani (1964). Proclemer-Albertazzi presentano Amleto (1964). Contemporaneamente, si hanno le prime apparizioni di alcune personalità destinate ad affermarsi nel secondo Novecento, quali Tadeusz Kantor, Peter Brook, Maurice Béjart, Josef Szajna, Jerzy Grotowski e salgono autorevoli alla ribalta civiltà lontane e sconosciute dello spettacolo, il Nō e il Kabuki; le danze Kuosi del Camerun o quelle di Ceylon o della Costa d’Avorio.

 

Considerata rischiosa l’invadenza crescente dell’informazione, «il importe de maintenir les conditions d’une synthèse et relier le théâtre d’abord à l’ensemble de ses activités, puis à l’ensemble de la culture» (Éditorial, 1958, p. 85). Al momento del successo (marzo 1959), interviene il neo ministro André Malraux a lodare l’operato dei responsabili, riproponendo il proprio pensiero sulla missione del teatro, che consiste nel «donner conscience à tous les hommes de la grandeur qu’ils ignorent en eux» (p. 101). Il grafico ascendente nella stagione più favorevole è ancora rilevato da Planson: il direttore, tramite il periodico del Festival, «Théâtre», profetizza la fusione delle arti sceniche: «Dans deux ou trois générations un acteur devra obligatoirement parler deux ou trois langues s’il veut faire carrière. En France, il faudrait d’autres conceptions architecturales. Trois grandes formes de théâtre me paraissent valables: le théâtre de masse, le spectacle total, le théâtre expérimental» (p. 119).  D’altro canto, il problema delle lingue induce a introdurre nel 1960 un sistema di traduzione simultanea durante gli spettacoli. Il giudizio odierno non minimizza, nel riconoscimento dell’innovazione diffusa e profonda di tanti eventi concentrati in poco tempo, le difficoltà di gestione e comprensione e certi risultati diseguali: «Eshétiquement les critiques acceptent mal tout ce qui ne correspondrait pas à la mesure, au bon goût français. […] Ils veulent bien être surpris, dépaysés, mais pas trop» (p. 85).

 

L’entrata in crisi dell’impresa vede la nascita dell’alternativa nel Festival Mondial de Nancy (1963-1983), di cui tratta Béatrice Picon-Vallin nel saggio Nouveau rendez-vous des théâtres du monde. Jack Lang, il ministro della cultura d’allora, è infatti fautore del nuovo corso degli incontri internazionali, aperti in provincia con ipotesi di ricerca mirate al teatro giovanile e studentesco. Partito come «Dionysies internationales du théâtre étudiant» l’occasione si fa riconoscere in breve come  «Rebelle et expérimental […] le Festival le plus audacieux de France […]. Le public découvre un déroutant jeune théâtre, qui se dresse contre les formes institutionnelles de sa propre culture, un théâtre en rupture dans le contexte de l’effervescence qui précède Mai1968» (p. 261). E difatti notava Robert Abirached: «Nancy permet de prendre le pouls de la jeunesse du monde» (p. 263). Fra i gruppi autori di spettacoli memorabili, campeggiano Il Teatro Universitario di Messico (1964) con Divines paroles di Ramon del Valle-Inclan; Il Gruppo dell’Università Cattolica di Sao Paulo con Mort et vie séverine, di Cabral de Melo Neto (1966) e il Bread and Puppet, con Nativity Cantata (1979). Fra le testimonianze, le voci personalità del periodo, da Planchon a Lavelli e Gabriel Garran a Lucien Attoun e Serge Ouaknine. L’appendice ricompone la Programmazione completa degli spettacoli (1954-1965), con Bibliografia essenziale e Dati biografici sui maggiori collaboratori.  

 

di Gianni Poli


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