Il numero dellestate-autunno 2008 di «The Opera Quarterly» è dedicato alla Early Opera con lauspicio, come spiega il suo guest editor Mauro Calcagno, che lopera in musica del Seicento e del primo Settecento possa quanto prima godere della stessa varietà di approcci critici finora riservata, negli studi, al periodo che va da Mozart a Puccini. Sulla scorta del noto scritto di Adorno (Bürgerliche Oper), che indica nellOrfeo di Monteverdi la quintessenza dellopera in musica, la rivista ha una sorta di baricentro in saggi proprio allOrfeo dedicati, e si muove con flessibilità tra lanalisi minuta – musicale, letteraria e della performance – e il vasto sguardo, teorico e storico, della critical theory.
Gary Tomlinson (Hamlet and Poppea: Musicking Benjamins Trauerspiel) apre il percorso, prendendo le mosse dal celebre libro – e i suoi meno noti scritti preparatori - di Walter Benjamin sul dramma barocco tedesco per tracciare unampia e sottile prospettiva sulla maniera in cui la concezione secentesca del mondo rielabora il tema rinascimentale dellarmonia fra divino e mondano. Emblemi fantasmatici ed echi di questa armonia, modernamente incrinata, ricorrono in Shakespeare (La tempesta e Amleto), nel Trauerspiel indagato da Benjamin, e nellIncoronazione di Poppea di Monteverdi, la quale costituirebbe, in questa prospettiva, quasi un paradigma dellopera in musica secentesca. Tomlinson inoltre, sottolineando analogie fra gli aspetti individuati da Benjamin nel Trauerspiel e lopera in musica, spiega la svalutazione di questultima da parte dello studioso tedesco con linfluenza di Nietzsche e Wagner, detrattori del valore magico del teatro musicale per via di una concezione settecentesca ancor oggi dominante e che farebbe velo alla storiografia e alla cultura contemporanee.
A seguire, Martha Feldman (Denaturing the Castrato) presenta una ricca serie di testimonianze sul declino della figura dei cantanti evirati nel secondo Settecento, riconducendo il fenomeno allascesa della nuova etica borghese, caratterizzata da una visione rigidamente binaria della sessualità. Il mutamento ideologico assume pregnanza nellidentificazione dei castrati con animali e figure mostruose e nellaccusa di “freddezza” rivolta loro, accusa che combinava un retaggio della medicina a una nuova estetica. Il rifiuto degli evirati non fu però assoluto, e anzi si può individuare una linea di cantanti, a partire da Gaetano Guadagni, primo Orfeo gluckiano, che seppe soddisfare le più moderne richieste di espressività e realismo, al contrario dei virtuosi di vecchia scuola il cui stile era condannato come innaturale e meccanico, più strumentale che vocale.
La fascinazione secentesca per i dispositivi magico-tecnologici e il ruolo “innaturale” del castrato, temi dei saggi introduttivi, tornano nel primo di due scritti frutto di un convegno tenutosi nel 2007 alla Stony Brook University di New York in occasione del quadricentenario dellOrfeo di Monteverdi. In esso, Bonnie Gordon (Orfeos Machines) sottolinea come la voce umana, naturale, del protagonista Orfeo riceva un indispensabile supporto, nellesercitare con successo il proprio incantamento, da musica ottenuta invece con artifici meccanici: ricercate e sorprendenti sonorità strumentali, fantasmatici effetti deco, nonché i castrati, cui spetta dar voce tra laltro alla personificazione della musica stessa, e che andrebbero anchessi considerati uno strumento, un artificio, poiché frutto di una manipolazione della natura. La seconda pratica monteverdiana, ricorda la Gordon, non è unestetica esclusivamente vocale.
Nel secondo degli ex papers (Monteverdis Voices: The Construction of Subjectivity), Ståle Wikshåland, sulla scorta di un reticolo di suggerimenti teorici che va da Benveniste a Lacan e Harold Bloom, da Barthes a Derrida e Adorno, cerca di individuare nella musica di Monteverdi lemersione di una concezione della soggettività peculiarmente moderna; oggetto danalisi a questo scopo è “Possente spirto” dellOrfeo, accostata al Lamento di Arianna e al Lamento delle ninfe.
Non meno ricco di rimandi, alla linguistica come alla filosofia e alla storia della cultura, è il saggio di Mauro Calcagno (Performing the Self), che tira le fila di questa sezione Orfeo at 400, e dellOrfeo analizza dettagliatamente la messa in scena fiorentina del 1998 di Luca Ronconi, come testimoniata dalle riprese RAI consegnate al dvd (alcune immagini del quale illustrano puntualmente il testo). Dellallestimento viene sottolineato come linsistenza sulla visibilità e linvisibilità, e la disposizione spaziale della scena, pongano al centro dellopera di Monteverdi quella relazione fra il sé e laltro che ne fa un emblema di modernità. Più ancora, la centralità del senso del tatto nellagire dei protagonisti viene sottilmente legata alla specifica regia televisiva e alla sovrimpressione dei sottotitoli, ponendo interrogativi di ampia portata sulla particolare rilevanza dei supporti audiovisivi per lo studio della early opera e sul significato dellopera in musica come fenomeno culturale complessivo. Sempre sullallestimento di Ronconi seguono - per la sezione «Auditions» - delle note di Franco Manfriani e unintervista dello stesso al regista.
Alcune annotazioni ermeneutiche - per la sezione «Notes from the Stage»- sono inoltre dedicate da Guillaume Bernardi alla coreografia, sempre per lOrfeo monteverdiano, ideata nel 1998 da Trisha Brown (Trisha Browns LOrfeo: Postmodern Meets Baroque). Lungo la prospettiva indicata da Calcagno, cadono particolarmente acconce le ampie recensioni di opere in dvd (il ciclo monteverdiano di Pierre Audi, il Bourgeois gentilhomme di Molière e Lully del festival di Utrecht 2004, il Giulio Cesare handeliano di Christie e McVicar filmato a Glyndebourne nel 2005) stese da Wendy Heller, Rose Pruiksma e Nathan Link. Chiudono infine la sezione delle «Reviews», e con essa la rivista, due recensioni di volumi firmate da Christopher Morris e Drew Minter.
di Donato De Carlo
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