A riprova che la figura di Don Giovanni, mitica o ricondotta ai più comuni sembianti del seduttore, è inesauribile, si considerino gli Atti del Convegno Internazionale di Vercelli (ottobre 2008) contenenti le relazioni di diciotto studiosi su opere letterarie dellarea francofona. Il risultato mostra le incessanti reinterpretazioni e varianti al nucleo originale svolto da Tirso da Molina, El burlador de Sevilla e ai “canonici” testi di Molière e di Da Ponte /Mozart (qui analizzati con imponente apparato bibliografico e sottile strumentazione esegetica). Una prima lettura evidenzia subito le costanti e le ripetizioni, tanto nei relatori quanto nei temi e nei luoghi esaminati. La varietà è invece notevole nella qualità delle scritture e nei punti di vista che linterpretazione richiede. E persino è spesso divertente cogliere nella quantità e nella variazione, appunto, indizi curiosi e suggestivi per i diversi lettori; senza che la stessa levatura dei saggi – specialistici ed eruditi – ne resti sminuita. Circoscrivere la ricerca allarea francofona e al Novecento è stato opportuno anche per lunificazione dei riferimenti e della tradizione ormai molto estesi. I motivi di scelta dellasse del Convegno risultano dalla Premessa, nella quale si fa il bilancio di precedenti ricerche su tema analogo, verificando comunque loriginalità e la coerenza dellattuale progetto (cfr. Convegni e risultati, pp. V-VI).
In maggioranza si tratta di testi teatrali, spesso quasi sconosciuti, che vengono accostati ai capostipiti più celebri: ad esempio, Trois Don Juan di Guillaume Apollinaire (di cui si ripercorre lispirazione “erotica” fino a queste tre varianti sul personaggio) e Miguel Mañara di Oscar V. Milosz (scrittore lituano francofono). Si va poi dai personaggi ricreati dai belgi Charles Bertin, Michel De Ghelderode e Suzanne Lilar, alle versioni di Colette, Anouilh, Montherlant, Rostand, Schmitt, ecc. Per dati generali, si rileva linflusso su tali scritture delle acquisizioni della psicoanalisi, «riscritture che da tali interpretazioni traggono – precisa il curatore – suggerimenti, realizzati in tipologie narrative […]. Il meccanismo della memoria diventa uno strumento per costringere il personaggio a unoperazione di autoanalisi in cui linconscio emerge» (p. VII. Vedi anche P. Tordjman, Le Don Juan de la psychanalyse: entre littérature et philosophie). Inoltre, i “nuovi” personaggi sono rappresentati in età matura o addirittura vecchia, segno «di stanchezza, esaurimento, disillusione propri della civiltà di crisi caratterizzante il Novecento». Altra ricorrenza, riscontrabile in quasi tutti gli esemplari, è «lesercizio intertestuale, inteso a fare della creazione una littérature au second degré». Il fenomeno è situato nel «grande momento espressionistico, in cui più dogni altro abbiamo una commistione tra letteratura e arti figurative», con levidente intrusione di un mezzo espressivo ancora inedito come il cinema, «nel senso di subire un influsso della scenografia filmica e di strutture eminentemente cinematografiche»: è il caso di Roger Vailland (studiato da Elena Aschieri), autore di una trasposizione al presente della vicenda delleroe (in Italia se ne occupò Silvio DAmico e fu rappresentato con regia di Mario Ferrero nella traduzione di Gerardo Guerrieri nel 1970), in una pièce en trois actes del 1959.
Su tutte le relazioni, campeggia quella di Daniela Della Valle, dedicata a Jean Rousset, eminente studioso della figura in questione. Trattazione che confronta storiografia e bibliografia, secondo le acquisizioni maggiori dello studioso, attraverso i suoi saggi La Littérature de lâge baroque en France. Circé et le paon (Éd. Corti, 1953) e Le mythe de Don Juan (Éd. Colin, 1978). Oltre che coordinatore sagace, Michele Mastroianni indaga su una scena-madre del Don Juan di Molière, riscritta da Sylvain Itkine, con inedite notizie su questa figura restata in ombra, ma dai contatti estesi e fecondi con personalità e movimenti, da Artaud e Barrault ai Surrealisti; attore e regista, collaboratore del gruppo Octobre negli anni Trenta. Fra gli adattamenti che trovano sullo schermo esiti particolarmente felici, Elisabeth Rallo Ditche affronta Lhomme qui amait les femmes, di François Truffaut. Leroe è Bertrand Morane (che interpretato da Charles Denner ricevette il Premio César nel 1978) e i suoi incontri evocano tutti, qualunque sia il tipo di donna evocato, il riaffluire della figura materna. Lesame del soggetto conferma lincastro di un “romanzo dentro il film”, ma la frase magica dellopera resta comunque «Les jambes des femmes sont des compas qui arpentent le globe terrestre en tous sens, lui donnant son équilibre et son harmonie» (p. 312).
di Gianni Poli
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