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Prove di drammaturgia, a. XV, n. 2, dicembre 2009
Autori oggi, un ritorno

A cura di Gerardo Guccini e Dario Tomasello

anno XV, numero 2, dicembre 2009, pp. 33, euro 5
ISSN 1592-6680

L’editoriale contiene un partecipato ricordo di Claudio Meldolesi, scritto da Gerardo Guccini. Ma il fascicolo, intitolato Autori oggi, un ritorno, a cura di Gerardo Guccini e Dario Tomasello, continua a indagare il ruolo dell’autore drammaturgico ed è suddiviso in tre sezioni: «Vittorio Franceschi. Cinquant’anni di teatro»; «Generazione Tondelli»; «Dramma Sud».

 

Nella prima sezione è Vittorio Franceschi stesso, in L’arte di prendere a calci un portone e rompere un lucchetto, a raccontare la sua vita e la sua poetica: dalla formazione alla Accademia Antoniana (fine anni 1950) alla direzione della compagnia Nuova Scena (1969/70). Importanti il 1976, quando avviene l’incontro con Benno Besson («lì ho avuto davvero culo!»), che scrittura Franceschi come protagonista dell’Edipo per il Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1980, e il 1981, quando, ancora Besson, lo convoca a Ginevra per lavorare alla Comédie de Génève. Parlando della meta-teatralità di Amleto non si può fare (1975), Franceschi riflette sul ruolo del teatro: esso «è una finzione che serve a cercare la verità». Per recuperare la verità bisogna «trovare le radici, i sapori e l’espressività bellissima della nostra lingua». Dopodiché sottolinea che il drammaturgo deve tenere presente che il teatro è sempre un rapporto di reciprocità tra l’attore, il regista e gli spettatori, e che «il pubblico viene a teatro perché si aspetta di ricevere un dono».

 

Dopo aver riflettuto brevemente su un suo testo, L’esecuzione, «una “metafora dell’oscuro”», in cui due personaggi «dialogano, si raccontano esperienze, sono in una situazione molto precisa, eppure il mondo in cui si trovano è popolato di presenze incredibili o meglio indefinite», sostiene che, rispetto all’attore, l’autore drammatico necessita di una dose maggiore di umiltà e pazienza: deve, infatti, «imparare a tener conto del parere degli altri». Infine chiude idealmente il cerchio iniziato nella prima pagina del saggio e spiega la scelta del titolo: sottolinea l’influenza distruttrice della televisione sul teatro (e all’inizio ne aveva parlato in relazione al concetto di cabaret) ed evidenzia il carattere che deve essere posseduto dall’artista: Grassi e Strehler, trovando chiuso il portone del cinema in cui avrebbero stabilito il Piccolo Teatro, non si attardarono a cercare il possessore delle chiavi ma presero a calci il portone e sfondarono il lucchetto. L’ampia e intensa ricognizione di Vittorio Franceschi è sigillata dalla pubblicazione di Viaggio all’interno del corpo (monologo estratto da L’esecuzione), cui segue Il tubo digerente, ovvero l’irriducibile verità del racconto, un breve articolo in cui, partendo da una riflessione sull’interno del corpo umano come sede di «un mutismo organico della carne», Fabio Acca riflette sui nessi semiotico-poetici emergenti alla lettura integrale del testo di Franceschi.

 

Nella sezione intitolata «Generazione Tondelli» Silvia Bottiroli (Com’è l’acqua?) riflette sulla poetica di alcuni giovani drammaturghi italiani, che in questi ultimi dieci anni hanno vinto il Premio Tondelli: Fausto Paravidino, Letizia Russo, Davide Enia, Stefano Massini, Mimmo Borrelli e Maria Teresa Berardelli. Si scopre così, a dispetto delle profonde diversità poetiche, la finalità comune al lavoro di tutti: diffondere un sapere condiviso e ri-creare un immaginario collettivo in una società che sembra averli persi. Seguono gli interventi di Letizia Russo (Quando Alice cadde in un tombino) e di Stefano Massini (Per un teatro politico di poesia). Entrambi espongono le linee generali del loro modo di intendere la drammaturgia. Massini, in particolare, evidenzia come nel processo di divulgazione della verità attraverso il teatro l’autore drammatico svolga il ruolo principale: «auctor discende dal verbo augere nel significato forte di “far nascere, originare, promuovere, dare efficacemente inizio”». Gerardo Guccini (Transfert e personaggi/autori nelle prime pièces di Massini) esplora il processo di transfert attuato da Stefano Massini sui personaggi della Quadrilogia (Milano, Ubulibri, 2006), composta da veri e propri «scritti sullo scrivere». Attraverso uno sviluppo drammaturgico che mette in scena dialoghi metadiscorsivi, l’artista riflette sulla sua propria funzione, analizzandola “dall’interno”, attraverso una maieutica dei personaggi: Van Gogh, Elga Firsch (personaggio d’invenzione), Kafka e Balzac. La sezione è conclusa da una breve intervista (Nulla è pura invenzione) di Silvia Bottiroli a Maria Teresa Berardelli, vincitrice del Premio Tondelli 2009 con il testo Sterili.

 

Nella sezione «Dramma Sud» si osserva come negli ultimi due decenni il “teatro del sud” abbia ribadito la sua presenza e la sua resistenza con «una continuità sorprendentemente tenace». Dario Tomasello (“Sud continentale” e “Scuola siciliana”: tessere per un mosaico) riflette sugli specifici delle due principali “scuole”, modello ideale di «due macrocontesti diversamente caratterizzanti», evidenziando che, nonostante la differenza degli specifici culturali e poetici di ogni singola esperienza, «la nuova drammaturgia meridionale si colloca nella fenomenologia più generale di un rapporto vieppiù problematico, ineludibile eppure fortemente censurato, con le proprie, eventuali, paternità illustri». Acca include nel suo discorso Mimmo Borrelli, Sara Sole Notarbartolo, Gianfranco Berardi e Saverio La Ruina, per il “sud continentale”; Vincenzo Pirrotta, Emma Dante, la compagnia Scimone-Sframeli, Tino Caspanello, Davide Enia, per la Sicilia. Questa sezione si conclude con gli scritti di tre autori, che riflettono sul senso del loro teatro: Saverio La Ruina (Dialoghi con lo Spettatore e il Critico), Vincenzo Pirrotta (Proseguire fuggendo la via della tradizione) e Tino Caspanello (Drammaturgie del non-luogo). Gli scritti sono arricchiti e completati ciascuno da una nota biografica dell’autore.

 

di Diego Passera


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