«Je nai jamais quitté lécole…», constata il protagonista di queste Interviste, rilasciate poco dopo la sua nomina a direttore del Conservatoire National Supérieur dArt Dramatique, a Parigi. Lo fa col senso duna continuità e duna vocazione inderogabili e Rodolphe Fouano così motiva il proprio approccio: «Daniel Mesguich posant quil ne sait pas ce quest le théâtre, il était inutile de chercher à lui faire dévoiler ici un contenu […]. Encore fallait-il, en évitant autant la biographie de lacteur que la monographie du metteur en scène, commencer par le commencement, cest-à-dire revenir sur son propre parcours, depuis son enfance en Algérie, son adolescence à Marseille et sa montée à Paris pour présenter le concours du Conservatoire» (p. 10). Iniziata nei primi anni Settanta lattività di regista e di attore teatrale, Daniel Mesguich sembrerebbe accedere a una fama adeguata soltanto allinizio dellultimo secolo. Esordiente con Le Château da Kafka (1972), proseguendo con Candide, Le Prince travesti e Britannicus (1973-75), è invitato nel 1977 a Grenoble da Georges Lavaudant per lallestimento di Hamlet, lavoro con cui la sua personalità simpone. Quarantanni dapprendistato ininterrotto, nellaffrontare i classici soprattutto francesi, lo hanno condotto a una collocazione di rilievo eppure appartata. Nel 2008 è nominato direttore del Conservatoire, dovera stato rifiutato alla prima prova dammissione, ma dove aveva poi svolto una lunga carriera dinsegnante. Sembrerebbe il coronamento prestigioso di un percorso intenso, ma è piuttosto, per lartista eclettico, un modo di restare fedele alla vocazione e pedagogica e creativa, verso unarte del teatro che prevede insegnamento e rappresentazioni; ricerca e verifica di mete sempre rinviate al futuro. Unambiziosa avventura per nobilitare larte della scena, nella tradizione più severa e nella modernità più rischiosa (p. 134), rivendicate insieme per ridare impulso alla sua recente responsabilità.
Nato nel 1952 ad Algeri, ha sempre lottato da intellettuale e “filosofo”, fino dalla passione giovanile per il pensiero di Marx e di Sartre (unita alla frequentazione del cinema), fino a subire il fascino di «Tel Quel» in quanto rivista dichiaratamente maoista. Il tragitto da Algeri a Marsiglia e Parigi si conclude a 17 anni, col concorso al Conservatoire. «Jétais en quête de je ne sais quoi qui fût à la fois hors norme et universel. Doù mon hésitation: Marx ou Gérard Philipe…» (p. 19). I suoi rapporti con quellistituzione sono rivissuti dallinterno, nelle tappe dellallievo, nel ruolo dinsegnante e in quello di direttore. Il periodo centrale si svolge sotto il magistero di Antoine Vitez, la cui influenza è riconosciuta capitale nellorientamento e nella formazione, per la “regalità” di quel suo metodo che, basato sull “esercizio”, lo ha “ricucito” e gli ha infuso la fiducia in se stesso; quella che oggi gli impone di perseguire con la Scuola il dialogo culturale e non limitarsi alle tecniche del mestiere; di inserirsi nel gran coro di solisti che è stato il teatro del suo tempo. Quasi un autoritratto, appare il profilo in memoria di Vitez, tanto che conviene nel confessare: «Je cherche, quantà moi, la même rigueur libre, la même légèreté grave» (p. 65). Accanto, agiscono anche le lezioni di Pierre Debauche e di Jacques Rosner, con trasfusioni feconde desperienza e amicizia. La speranza è potersi dimostrare un «amateur qui ajoute quelque chose au monde» (p. 19).
Attore di teatro con i registi Jean Meyer, Antoine Bourseiller, Robert Hossein, Jean-Pierre Miquel; attore di cinema, diretto da Deville, Costa-Gavras, Robbe-Grillet, Pinheiro, Ivory; regista di prosa con decine di creazioni, da Le Château a Hamlet e Roi Lear; da Platonov e Le Diable et le bon Dieu a Le Prince de Hombourg. Direttore di Teatri Nazionali, quali il Gerard Philipe di Saint-Denis o La Métaphore di Lille. Lartista giunge anche ad aprire una propria scuola, il Théâtre-école du Miroir, nella convinzione che il teatro possa meglio della filosofia svelare la potenzialità del pensiero mediante il corpo (pp. 110-11); in vista di un programma che prevede di forgiare negli attori di oggi e di domani degli artisti-poeti. Per questo offre il proprio esempio, la sua fede a un ideale che né la prassi né le derive programmatiche o di gusto riescono a intaccare: «Mais cest que jimagine le théâtre plus grand que mon savoir. Lacte de théâtre excède tout savoir» (p. 148). Nella difficoltà di trovare lequilibrio fra gestione organizzativa e creatività, ricorre al raccordo fra tradizione e modernità per sostenere: «Je pensais même quun directeur du Conservatoire se devait dêtre aussi un artiste en activité. Cest bien pour cette activité dartiste, dailleurs, que jai été nommé, et non pour déventuelles qualités de gestionnaire et dadministrateur décole!» (p. 126). Mantenendo dunque vive attenzioni e attività disparate, giustifica la conclusione dellintervistatore sulla figura in continuo movimento di ricerca: «Il mest apparu dans le rôle de lhomme pressé, insatiable» (p. 11).
di Gianni Poli
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