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Ariane Mnouchkine

A cura di Béatrice Picon-Vallin

Arles, Actes Sud-Papiers, 2009, pp. 136, euro 14,00
ISBN 978-2-7427-8486-8

Pratica della messa in scena teatrale e riflessione teorica vanno di pari passo, nell’espressione di Ariane Mnouchkine, con l’inclinazione profondamente pedagogica e comunicativa della sua arte. «Je pense qu’une vraie troupe, c’est une école» (p. 115) afferma, in accordo con Antoine Vitez. I due recenti contributi raccolti nel volumetto della Collana «mettre en scène», a cura di Béatrice Picon-Vallin, mostrano continuità dello sforzo creativo (mentre il Théâtre du Soleil annuncia l’ultimo suo spettacolo, Les Naufragés du Fol Espoir, ispirato all’opera di Jules Verne) riportato al momento della trasmissione di un sapere d’esperienza oltre che di idee.

 

La curatrice introduce col saggio La mise en scène en question, componendo dati di poetica verificabili negli spettacoli e nel comportamento dello «chef de troupe». La varietà dei percorsi evocati e analizzati è comparata alla qualità straordinaria dei risultati: «Depuis quarante-cinq ans, Ariane Mnouchkine expérimente avec le Théâtre du Soleil tous les types d’écriture dramatique. […] [elle] a ainsi fait alterner, dans ses mises en scène au Soleil, différents modes d’écriture théâtrale, les interrogeant, s’y confrontant - les confrontant aussi avec le savoir sur le jeu, l’acteur et le théâtre qui se distillait en elle à partir de ses voyages dans l’histoire (la commedia dell’arte) e dans le monde (l’Asie) – s’en éloignant, y revenant» (p. 7). Indi Picon-Vallin riutilizza una sua Intervista del 1995, nella quale intervengono critici e attori; e rifacendosi a un incontro ancor più recente, seguito alle rappresentazioni di Les Ephémères, perviene a sintetizzare la centralità del rapporto fra gli interpreti: «Ce sont les corps qui écrivent» (p. 13).

 

Nel resoconto Ariane Mnouchkine parle avec des élèves du CNSAD, i ricordi autobiografici si mescolano alle prime acquisizioni dell’artista nutrita da slancio costante a definire l’importanza dell’utopia: «L’utopie, c’est le possible non encore réalisé» (p. 21), sulla scorta di moventi ideali, in un affollato rifluire di testimonianze sui propri spettacoli, sempre così nutriti da intersezioni e apporti eterogenei e complessi. Dai difetti degli attori francesi, sui quali mette in guardia gli allievi, passa alle ragioni socio-politiche degli immensi problemi della fame e delle migrazioni mondiali, a cui il suo Gruppo è particolarmente sensibile. Nel susseguirsi delle scelte degli spettacoli, si propone come obiettivo alto e coerente, «faire des spectacles indispensables» (p. 34). Orienta la funzione delle prove (“la repétition est un voyage”) verso l’immaginazione fisica, poiché il massimo risultato sta nella concretezza: «La condition du merveilleux, c’est le concret». Rivelazione, questa, assunta quale motto; sicché «quand le comédien a ce don de crédulité, de transformation en poésie de la vérité, des chose comme cela arrivent sur le plateau» (p. 42). Seguono molti altri indizi e suggerimenti, per appropriarsi dei concetti di «création collective» e di «drammaturgie» (p. 44 e p. 51) nelle varie sfumature.

 

Il testo seguente, Extraits de notes de stage au Théâtre du Soleil (occasionato da un seminario tenuto alla Cartoucherie nel febbraio 2009), introduce la nozione di «concoctage» (correlata direttamente all’improvvisazione) cioè le modalità di accordarsi sugli elementi comuni e condivisibili della «favola» da raccontare (p. 90), fissando così le regole, la tenuta (o costume), la musica; spesso ricorrendo a metafore sportive, come quando si tratta di «muscler… remuscler l’imagination» nell’impegno dell’allenamento quotidiano (p. 94). Allora la ridda delle citazioni, pure in notazione sobria e mai superflua – da Eugenio Barba ad Antoine Vitez; da Decroux e Lecoq al neorealismo del cinema italiano, fino a Chaplin e a Laurel e Hardy – si susseguono in un magnifico sincretismo, teso a rendere all’obiettività dell’analisi scientifica il complesso dei materiali e dei gesti espressivi. E mentre esorta l’uditorio (che si intuisce affascinato, ma criticamente sollecitato) a conquistarsi nella naïveté e nella crédulité gli strumenti principali del proprio lavoro, sottolinea appunto il lato scientifico di quel processo, scientifico poiché sperimentale, che comprende l’improvvisazione e la composizione scenica del personaggio. «Le poétique doit être un nouvel instrument d’analyse du monde» (p. 121), ammonisce. In una tensione che sa inculcare il bisogno di un’ascesi tramite l’esercizio psicofisico, Mnouchkine invita infatti a trovare la propria musica interiore. «C’est un exercice, trouver la liberté à travers la contrainte» (p. 99). Lezione ardua e inconsueta, necessaria come una ragione vita, bella ed esclusiva. In Appendice, Dati biografici, Bibliografia scelta e Filmografia.  



di Gianni Poli


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