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Annamaria Cascetta

La tragedia nel teatro del Novecento
Coscienza del tragico e rappresentazione in un secolo al 'limite'

Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 231, euro 20,00
ISBN 978-88-420-9132-5

La tragedia è stata, per il Novecento, tema costante e irrinunciabile. Nel corso di poco più di un secolo è stata annunciata la sua rinascita, denunciata la sua impossibilità e decretata la sua morte. Con La tragedia nel teatro del Novecento Annamaria Cascetta prosegue nella propria indagine intorno al tragico e alle forme della sua rappresentazione teatrale nel secolo scorso.

 

Il tragico è una struttura permanente della coscienza umana, l’intuizione ineludibile di un limite che giunge a parola nella tragedia. Una forma che tuttavia non è indipendente dal tempo e dalla storia. Questa l’ipotesi sul cui sfondo si apre il discorso della Cascetta. L’impianto metodologico del lavoro coglie l’oggetto in tutta la sua complessità. Ciascun capitolo è dedicato a un testo drammatico considerato esemplare di un momento storico del secolo o di una concezione estetica e antropologica che in esso si è espressa. L’analisi è condotta, con rigore filologico, attraverso la ricostruzione delle fonti e lo studio delle differenti edizioni. Nei diversi momenti di questo percorso il tragico appare come il luogo a partire dal quale si è posta, sempre e di nuovo, la questione del significato dell’esistenza umana. Una questione che, nel Novecento, ha ricevuto risposte divergenti.

 

Il venir meno dell’elemento catartico, fondamentale per la forma antica della tragedia, è senza dubbio una delle costanti più interessanti che emerge dall’interpretazione della Cascetta. Né il fuoco finale in Spettri di Henrik Ibsen, né la morte di Caligola, nell’omonimo dramma di Albert Camus, riescono a trasfigurarsi in un sapere fecondo per la comunità. Un’impossibilità che ritorna anche nel dramma di Eugene O’Neill, Il lutto si addice ad Elettra, dove acquista particolare evidenza attraverso il confronto con il suo modello antico, l’Orestea. La proiezione positiva verso la comunità e il futuro trova una riformulazione, assolutamente estranea alla tradizione antica, nei drammi di Paul Claudel e Bertolt Brecht. In L’Annuncio a Maria il tema del sacrificio è trasposto in una visione cristiana e trasformato: Ğla morte, figura radicale del tragico, è superata nell’atto in cui Violaine dispensa la vita ed evoca la resurrezioneğ. La fatalità del limite, uno degli assunti della tragedia antica, è invece rovesciata in Madre Courage e i suoi figli: il limite non è naturale e assoluto ma imputabile alla responsabilità delle scelte dell’uomo.

 

Del tutto peculiare, infine, la declinazione che l’intuizione tragica del limite riceve in Finale di partita di Samuel Beckett. La ragione ultima della sua presenza, nota giustamente la Cascetta, non trova, in Beckett, alcuna risposta conclusiva. Un elemento, tuttavia, caratterizza la scrittura tragica di Beckett, lo humour, che diventa una possibile chiave per restituire all’uomo uno sguardo pacificato sulla finitezza dell’esistenza e l’irriducibile alterità dell’assoluto.

 

L’epilogo del volume è dedicato all’analisi di due esempi di scrittura scenica contemporanea: Rwanda 94, per la regia di Jacques Delcuvellerie e Ruhe, per la drammaturgia e la regia di Josse De Pauw. Di particolare interesse le osservazioni della Cascetta sulla madre ruandese che apre la rappresentazione di Delcuvellerie. Le parole di questa testimone sono l’occasione per rilevare come la presenza dell’archetipo della Madre, evidente in tutti i testi drammatici presi in esame, permetta al tema del Sacro di riproporsi, nel Novecento, nella forma della tematizzazione del legame con l’origine. L’impianto storico-critico del lavoro è completato da un’appendice che presenta accurate schede informative sulla composizione, sulla pubblicazione e sulla fortuna scenica dei testi analizzati e da una raccolta di fotografie che illustrano alcuni momenti significativi delle loro messinscene.

di Tancredi Gusman


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