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Segnocinema, anno XXX, n. 161, gennaio-febbraio 2010
Rivista cinematografica bimestrale

n. 161, anno XXX, p. 80, € 6,00
ISSN 0393-3865

Traguardo importante per il periodico bimestrale diretto da Paolo Cherchi Usai che, con l’uscita di Gennaio - Febbraio arriva al trentesimo anno di vita. Anche questo numero risulta come sempre denso di informazioni e riflessioni a partire dalla rubrica di apertura Saggi e interventi dal titolo I fantasmi della libertà, dove Bruno Di Marino si interroga sulle radici del Surrealismo cinematografico. Come si intuisce, l’attenzione cade inevitabilmente su Luis Buñuel e i suoi due capolavori Un chien andalou e Lâge d’or. Accanto a quello che è sempre stato considerato il dittico surrealista per antonomasia, Di Marino affianca Las Hurdes, film realizzato nel 1932 con intenti di denuncia sociale, in cui si mostra l’endemica miseria di “una terra senza pane”. Anche in esso, nonostante la critica abbia sempre sottolineato il suo vigore realista e documentario, sono stati ravvisati contenuti che lo pongono a pieno diritto accanto ai due film citati, soprattutto per la forza espressiva delle immagini di miseria, malattia e deformità fisica. L’intento di Di Marino che, citando Paolo Bertetto, ripercorre anche la genesi di questi film, è soprattutto quello di far posto a un’interpretazione del verbo bunueliano che non si nasconda più dietro a una presunta illogicità ma che invece sottolinei la logica della dimensione onirica, tanto cara al movimento. Una logica da decifrare come farebbe chi per professione interpreta sogni.

Secondo contributo della sezione Saggi e interventi è L’attimo fuggente a firma Cherchi Usai, il quale si chiede se un film debba essere giudicato come un corpus unico o se invece il giudizio dello spettatore si può limitare a una porzione, a un momento che può impreziosire o regalare la salvezza a un’opera altrimenti non rilevante. È possibile, si interroga Cherchi Usai, trattare un film al pari di una raccolta di poesie? Oppure il fruitore deve sempre considerare l’opera nella sua totalità? Il direttore di «Segnocinema» sembra suggerirci che proprio il cinema, amalgama di componenti ben distinte in partenza, abbia bisogno di uno sforzo in questa direzione.

Continua dal numero precedente un ampio speciale dedicato alla serialità curato da Mauro Antonini (C’era una volta il film prototipo 2°) con gli interventi di Sergio Brancato (La forma mutevole dell’immaginario), che riguarda i rapporti tra film e serie Tv, di Luca Censabella (Stirpe di drago) sulle contaminazioni del cinema asiatico), di Marco Benoît Carbone sulla serialità nei videogiochi (Infinti mondi giocabili) e infine dello stesso Antonini (Universi Paralleli, Universi Perpendicolari) sulle forme mutuate dalla letteratura popolare. Dunque, diversi aspetti di un’unica questione, con incursioni in territori (i videogames) che ormai anche i cinefili più restii a queste forme di ibridazione e contaminazione non possono più ignorare. Premesso che la serialità non è mai stata estranea al cinema, questo ‘secondo capitolo’ di interventi si rivela interessante per individuare origini che vanno dai feuilleton, ai fumetti fino alle saghe, e, nel caso del cinema asiatico, ai manga e a più nobili forme di racconto risalenti a molti secoli fa.

Utile anche comprendere come le gerarchie si dimostrino mobili, ovvero come si vada talvolta dal film alla serie o viceversa o dal videogame al film e poi nel senso opposto. Ancora più utile avere bene in mente il glossario pubblicato nel numero precedente, poiché in ambito di produzioni seriali il nuovo lo si trova sicuramente nel lessico che le accompagna e districarsi tra le definizioni di spin-off, reboot, midquel, sidequel, interquel, non è sempre semplice. A conclusione dodici brevi interventi di collaboratori della rivista (Ne prendo un altro, grazie) che tentano di sfatare il mito del primo è sempre il migliore giudicando film realizzati due volte o in più capitoli. E anche tra le numerose schede di film usciti o in uscita l’interesse verso la serialità si riaffaccia in uno spazio apposito (Replay/Remake) riservato a quei film che “attuano una modulazione sequenziale e/o rielaborativa su icone e testi pre-esistenti”. In questo numero la scelta cade su Diary of the Dead- Le cronache dei morti viventi di George Romero, quinto capitolo della Dead series, a cui comunque già segue un sesto (Survival of the Dead) ancora senza una data di uscita ufficiale.

Sempre in tema di recensioni chiude la sezione Splitsegno ovvero due schede, una a sostegno (Perché sì) e una pienamente detrattoria (Perché no), l’oggetto del disaccordo disputa è l’ultimo film di Ken Loach Il mio amico Eric.

Le pagine di Festival e Rassegne sono dedicate soprattutto ai resoconti sul Torino Film Festival 2009, da quest’anno sotto la direzione di Gianni Amelio, subentrato a Nanni Moretti. Un cambio questo che non accende gli animi della rivista, ma che non impedisce di dedicare un giusto spazio ai film in concorso e alle varie retrospettive, soprattutto a quella dedicata a un maestro per più generazioni di cineasti come Nicholas Ray. Altra retrospettiva non meno importante della cornice torinese è quella su Nagisa Oshima.

In aggiunta uno spazio per il fiorentino Festival dei Popoli, giunto a un onorevole cinquantesimo anno di vita e pertanto una delle più concrete realtà per la diffusione del cinema documentario in Europa, e sul Festival del Film di Roma 2009, quest’anno di fatto ridimensionato rispetto alle ambizioni degli anni precedenti.

Tra le rubriche poste in chiusura di numero, una novità si aggiunge all’indice: Segno Intranslation, dedicata al tema dell’adaptation, ovvero alle trasposizioni, (da intendere anche come trasformazioni o reinterpretazioni).  In questa prima occasione si prendono in esame le numerose (e non sempre fortunate) riletture del Don Chisciotte.

Da segnalare poi SegnoSerieTv, a cura di Enrico Terrone e Luca Bandirali, con un’accurata esegesi della prima stagione di Mad Men, SegnoGame di Marco Benoît Carbone sul videogame Avatar,  ActorSegno di Cristina Jandelli, che inquadra il volto di Johnny Depp protagonista di Public Enemy di Michael Mann e ne registra peculiarità e sfumature e infine SegnoSound a cura di Paola Valentini che affronta e seziona la densità del commento sonoro di I love Radio Rock di Richard Curtis.

 

di Paolo Grassini


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