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Problemi di critica goldoniana


XV, tomo secondo, Longo Editore Ravenna, 2009, pp.364, € 30.00

Il secondo volume della rivista «Critica goldoniana» dedicato alle ricerche intraprese dal 2007 al 2009 in occasione del terzo centenario della nascita di Carlo Goldoni e del secondo centenario della morte di Carlo Gozzi, si apre con il saggio di Alessandro Cinquegrani, Una diagnosi per la dama malinconica di Carlo Gozzi. Per una lettura allegorica dei primi drammi d'argomento spagnolo. In questo intervento lo studioso dimostra come i drammi spagnoleschi abbiano avuto un ruolo centrale nella parabola creativa del Gozzi e come questi − parafrasando Franco Fido − «riflettono più vividamente la sua vena comica, la sua innata e forte disposizione al racconto e al teatro». La prima opera che segna la fine del genere fiabesco, come ci ricorda  Cinquegrani è La donna vendicativa disarmata dall'obbligazione, in scena al teatro Sant' Angelo di Venezia l'8 ottobre 1767, tratta da una commedia spagnola intitolata Rendirse a la obligaçion dei fratelli Figeroa e Cordoba. Lo studioso comprova che il dramma del Gozzi è una vera e propria traduzione letterale dell'originale spagnolo. Nell'adattamento gozziano i temi morali del perdono e della vendetta non sono approfonditi come nel testo spagnolo, ma servono al Gozzi per dar seguito allo svolgimento drammatico e all'evoluzione del personaggio. Altro dramma spagnolesco è Il pubblico segreto, rappresentato nel 1769, la cui fonte è Il secreto a voces di Pedro Calderón de la Barca. Cinquegrani dimostra che questo dramma è una vera e propria riscrittura dalla struttura complessa, dove il ragionamento sulle meccaniche del teatro s’incontra e si scontra col plot d’origine spagnola e la poesia e la recita all’improvviso divengono temi portanti.

A questo saggio seguono gli atti del convegno Goldoni e i generi teatrali del suo tempo svoltosi a Roma presso l’Università di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Lettere (7- 9 febbraio 2008). Ad apertura un’introduzione di Beatrice Alfonzetti e Mariasilvia Tatti che illustrano i motivi e le prospettive critiche e storiografiche poste alla base del suddetto convegno. L’intento di questi approfondimenti è quello di delineare un’immagine meno stereotipata e più articolata di Goldoni, riformatore della commedia. Il risultato emerso è quello di un Goldoni consapevole e padrone della scrittura teatrale in tutte le sue forme. La prima sessione del convegno è dedicata alla librettistica, la seconda al genere tragico e la terza all’analisi sui diversi generi della produzione goldoniana.

Ad apertura una relazione introduttiva a cura di Franca Angelini che  fa il punto sullo stato attuale degli studi goldoniani, soffermandosi sull’intreccio tra la ragione illuministica e la declinazione teatrale nei testi. Roberta Turchi nel suo intervento Dall’intermezzo alla commedia, ovvero da Rosalba a Caterina, ossia le mutazioni della «Pupilla» indaga sulle trasformazioni della figura della pupilla tra libretto, intermezzo e commedia, rilevando la complessità degli intrecci che si creano all’interno della scrittura goldoniana. La studiosa dimostra come La Pupilla rappresenti il primo passo verso un progetto che durante il soggiorno romano avrebbe portato Goldoni a pensare ad un ciclo di commedie erudite.

Franco Piperno in Lessico musicale e ‘metamusicalità’ nei libretti goldoniani, analizza i libretti comici goldoniani, partendo dal lessico settoriale della musica. Piperno scandaglia i libretti censendo lemmi, aggregati, sintagmi e locuzioni musicali. Lo studioso elabora i dati rilevati in una serie di tabelle nelle quali raggruppa  – secondo una logica musicale – lemmi relativi all’ambito strumentale (organologia e prassi), compositivo, della vocalità (aspetti esecutivi e forme musicali), del libretto, della recitazione e della danza. Prende in esame più fasi dell’attività creativa di Goldoni: quella iniziale fino al 1742 − con un’appendice nel 1749 con La scuola moderna e La favola dei tre gobbi – dei divertimenti e drammi scritti per la compagnia di Imer; quella del sodalizio con Baldassarre Galluppi e poi con Medebach fino al 1753; quella che riguarda lo studio del libretto De gustibus non est disputandum e dell’attività come commediografo presso il S. Luca fino alla partenza per Parigi del 1762 e infine quella del periodo parigino. Piperno individua ne La bella verità – il più ‘metamusicale’ fra i libretti – un lessico settoriale variegato e specifico. Mariasilvia Tatti nel suo saggio Goldoni e Metastasio analizza i libretti di Goldoni prendendo come punto di riferimento lo studio di Gianfranco Folena che nel 1981 definì Goldoni un ‹‹anti-Metastasio››. La studiosa cerca di ricostruire le relazioni intercorse tra i due autori che in realtà non si conobbero mai personalmente, ma solo per via epistolare. Metastasio nel Settecento rappresentava per la generazione dei poeti per musica un modello da emulare per il suo mestiere di drammaturgo proto-impresariale e cortigiano. Tatti rintraccia due momenti emblematici nel rapporto tra Goldoni e Metastasio: un primo momento che riguarda gli anni della formazione presso i teatri Grimani (1734 – 1742), quando Goldoni scrive i drammi seri per musica originali o ripresi da altri testi di successo − tra cui alcuni di Metastasio – rappresentati su tutte le scene europee;  un secondo momento che prende in considerazione gli anni che vanno dal 1754 al 1758, anni della riflessione critica e del confronto indiretto con il poeta cesareo.

Bruno Capaci ne Donne vendicate, donne “brave” e donne che comandano. Drammi giocosi, ma non troppo, di Carlo Goldoni indaga sulla componente misogina. Lo studioso esamina l’incipit de Le donne vendicative (1751), per dimostrare che si parla di donne con indiscrezione e licenziosità. In questo dramma le donne e gli uomini si deridono reciprocamente e il richiamo all’allegria del convito (elemento onnipresente nei drammi giocosi) rafforza l’idea di un appetito di vita che non deve mai venir meno. Altro dramma analizzato, più esotico e dissacrante, è il Mondo alla roversa (1750). Qui il rovesciamento politico che vede un regno governato da sole donne accentua il tema del dominio dei sessi. Secondo Capaci quest’opera è una satira sugli uomini deboli, descritti con un tono grottesco tale da stigmatizzare la fragilità dei cicisbei amorosi. In entrambi i casi – conclude Capaci – è la richiesta di pietà degli sconfitti a chiudere le storie. Daniela Quarta ne Le metamorfosi del “villano”: Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Carlo Goldoni, analizza la figura del villano mettendo a confronto varie fonti letterarie. La studiosa si sofferma sul dramma Bertoldo, Bertoldino e sull’intermezzo La favola de’ tre gobbi, adattati dal Goldoni da un repertorio narrativo secentesco e popolare. In entrambi i casi la presenza di tre buffi nelle storie determina la scelta per l’adattamento e Quarta s’interroga sulle modalità con le quali Goldoni lavora sulle fonti e soprattutto ci illustra l’intenzione dell’autore, ovvero, quella di mettere in scena tutta la famiglia dei Bertoldi, puntando sui diversi caratteri dei tre villani.

Giulio Ferroni  nel Mondo della luna, osserva come Goldoni si dedichi alla composizione di libretti fantastico-carnavaleschi nel periodo delle sedici commedie nuove. La storia s’inserisce in quel filone dell’immaginario romanzesco dei viaggi lunari in un confronto comico e paradossale. Ferroni rintraccia nella letteratura italiana e straniera le storie che riguardano i viaggi lunari dall’Orlando furioso di Ariosto, al Baldus di Folengo, a The Man in the Mooone di Francis Godwin, fino alla raccolta di scenari dell’Arlecchino della Comédie italienne (Evaristo Gherardi) tra i quali segnala l’Arlequin empereur dans la lune di Anne Maudit de Fatouville. Lo studioso afferma che Goldoni nella costruzione della pièce si muove verso una comicità che sfiora il surreale mentre la costruzione linguistica tende alla musicalità, anche se resta vigile il controllo del buon senso borghese e la visione gerarchica della scala sociale e dei rapporti tra i sessi.

Nella seconda sessione altri studiosi s’interrogano sul genere tragico presente nelle opere goldoniane. Tutti mettono in luce la difficoltà di ricondurre le opere di Goldoni alla tragedia, perché quasi tutte presentano un finale lieto e una struttura romanzesca. Paola Trivero prende in esame due opere: Rosmonda e Artemisia. La prima tratta dalla Rosimonda − un mauvais Roman secentesco dell’abate Muti – e la seconda simile in alcuni tratti alla celebre Merope di Scipione Maffei. La studiosa riflette sulla figurazione dell’eroina e dimostra come le due protagoniste siano entrambe solitarie e arrivino sulla scena per confidare a se stesse angosce, speranze e intenzioni vendicative. Goldoni − conclude Trivero − mantiene uno standard pressoché inalterato nelle dinamiche tragiche. Alberto Beniscelli in Una storia “spagnola” per l’ ‹‹Enrico›› goldoniano rintraccia il rapporto con le fonti spagnole e francesi nell’ Enrico e le peculiarità in comune con le tragicommedie del primo periodo che risentono dell’influenza di Metastasio. Lo studioso afferma che le fonti letterarie a cui il drammaturgo guarda per le sue opere sono molteplici: tragedie e romanzi del Seicento italiano per il Belisario e la Rosmonda, il melodramma zeniano per la Griselda, e le opere del Siglo de oro per Rinaldo di Montalbano e l’Enrico. Eleonora Visciglio nel Don Giovanni Tenorio ossia il dissoluto: autocensura o pentimento?, dimostra come il don Giovanni goldoniano fino all’epilogo non si pentirà mai delle sue colpe − pur ricevendo il perdono del primo ministro Don Alfonso e la compassione di Donna Anna – fino a quando terrorizzato dal castigo formulerà il voto di morire di una morte immediata.

Beatrice Alfonzetti in Zoroastro e gli ultimi eroi tragici passa in rassegna quattro figure di eroi: il capitano Rudovich (La Dalmatina), Alessandro (Gli amori di Alessandro Magno), Enea (Enea nel Lazio), Zoroastro (Zoroastro), soffermandosi in particolare su quest’ultimo. Alfonzetti dimostra come la tragicommedia di Goldoni sia lontanissima dall’impianto simbolico-spirtualistico dello Zoroastre di Rameau e de Cahusac, e come proprio questo aspetto dimostri una presa di posizione di Goldoni. Françoise Decroisette ne I semi della riforma nel Goldoni sacro: l’oratorio Magdalenae Conversio (1739) analizza la produzione dei testi sacri goldoniani. Nella sua vasta produzione se ne  annoverano due: l’oratorio intitolato Magdalenae Conversio, in latino, eseguito il 22 luglio 1739 dal coro femminile dell’Ospedale dei Mendicanti, con musica del maestro Giacomo Seratelli e un’operetta spirituale o azione sacra, intitolata L’unzione del reale Profeta Davide, stesa a Roma nel 1759 per il cardinale Gioacchino Portocarrero e rappresentata nel marzo 1760 a Venezia. Il testo scritto in latino va considerato all’interno delle opere di apprendistato teatrale e si colloca in quella serie di adattamenti delle storie relative alla peccatrice tanto in voga in quel periodo. La novità del testo goldoniano – afferma Decroisette  − è data dalla distanza presa dell’autore dalle rappresentazioni barocche del periodo. Cecilia Campa in Dall’opéra alla cantata e ritorno: Goldoni a Parigi e i dibattiti sui generi esamina la flessibilità di Goldoni nel recepire il dibattito musicale in Francia.

Mirella Saulini in Dal «baule» del Teatro, i costumi che travestono il Mondo: le «rappresentazioni allegoriche»  esamina  e decodifica La Metempsicosi ossia La pitagorica trasmigrazione (1775) e Il Disinganno in corte (1777circa). La prima opera in versi martelliani − rappresentata in un’Accademia letterario-drammatica veneta − è una commedia in tre atti ambientata nell’oltretomba. Si tratta di un genere conosciuto sui palcoscenici francesi, ma Goldoni nel costruire i personaggi attinge al suo baule teatrale, tratteggiando caratteri già visti nelle sue commedie. Ne Il Disinganno – una rappresentazione in endecasillabi e settenari diversamente combinati − l’autore espone la sua polemica anticortigiana. Carmelo Alberti in Dialoghi per commedianti. Note sulla vocazione comica goldoniana nelle Introduzioni e nei Congedi alle stagioni teatrali individua quali siano state le modalità utilizzate dal Goldoni nel costruire i dialoghi delle commedie e i recitativi dei libretti. Alberti rintraccia nelle battute affidate alla voce della prima attrice della compagnia Imer (Teodora Medebach) nel Sonetto di Ringraziamento e di Addio, recitato dalla Prima Donna nel teatro di Sant’Angelo alla fine della Putta onorata, l’ultima sera del Carnevale 1749, i punti salienti del pensiero poetico goldoniano. In chiusura l’intervento di Bartolo Anglani I ciarlatani negli Intermezzi per musica individua nel primo intermezzo conservato, La pelarina, composto nel 1729 con il titolo La Cantatrice, i tratti salienti della fenomenologia e delle funzioni del ciarlatano nell’opera di Goldoni.


di Assunta Petrosillo


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