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North-West Passage, n. 6, 2009
Yearly review of the centre for northern performing arts studies

n. 6, 2009, pp. 203, € 18,00
ISSN 978-88-7470-083-7

Il sesto numero dell’annuale rivista in lingua inglese North-West Passage, edita dal Centro Studi per lo Spettacolo Nordico dell’Università di Torino, è dedicato ad August Strindberg (1849-1912) e vi sono pubblicati gli interventi di studiosi e critici che hanno partecipato all’ International Conference “Strindberg: Drama and Theatre”, tenutosi a Torino nel novembre del 2008. I saggi raccolti offrono un’ottima opportunità per comprendere quali siano, in ambito internazionale (grazie ai contributi di studiosi italiani, americani, svedesi e rumeni), le metodologie di studio e gli approfondimenti condotti sul teatro del grande drammaturgo svedese.

Gli studiosi Ann-Charlotte Gaves Adams e Eszter Szalcze nei loro saggi hanno riflettuto sulla difficoltà della messa in scena di Dream Play (Il sogno) scritto nel 1901  (una delle opere più famose e conosciute di Strindberg cui l’autore stesso riconosceva la reale complessità di rappresentazione) e sulle scelte effettuate da alcuni registi contemporanei per superare questa impasse. La Adams analizza tre differenti messe in scena dell’opera in questione realizzate nel 1994 da Robert Lepage, nel 1998 da Robert Wilson e nel 2007 da Mats Ets. L’autrice sostiene che questi tre registi siano stati attratti da questo testo perché offriva loro la possibilità di rapportarsi a esso attraverso l’uso di idee e tecnologie sperimentali e che ognuno di essi abbia portato sulle scene una propria e soggettiva visione del dramma. Eszter Szalczer invece descrive la messa in scena di Dream Play, avvenuta nel 1980 all’Università di Albany nello stato di New York (presso la quale anche lei lavora), ad opera del regista ceco Jarka Burian (1927-2005) che decise di invitare a collaborare con lui e i suoi studenti il grande scenografo Josef Svoboda (1911-2002), anch’esso ceco e uno dei più illustri esponenti della scenografica dinamica, legata alla creazione della Lanterna Magica  (combinazione di teatro e proiezioni cinematografiche simultanee su tre schermi con accompagnamento musicale) presentata all’Esposizione Universale di Bruxelles del 1958. La Szalczer ripercorre le fasi del lavoro utilizzando le note di regia redatte da Burian, nelle quali il regista descrive minuziosamente le scelte scenografiche elaborate con Svodoba. Sul palcoscenico furono istallati tre schermi, sui quali venivano proiettate immagini da fonti disposte a diverse altezze: queste, grazie all’uso particolare delle luci e ad alcuni oggetti di scena spostati lentamente durante lo spettacolo da un gruppo di attori con funzioni di coro, crearono un atmosfera onirica che coinvolgeva lo spettatore, proiettandolo all’interno di un microcosmo pluridimensionale. Il saggio è anche corredato da una cospicua serie di fotografie dello spettacolo, utili per comprendere le scelte scenografiche.

L’opera A Dream Play è al centro anche del saggio di Elena Balzamo che analizza come sia mutata la riflessione critica su quest’opera dall’anno della sua composizione fino ai giorni nostri. L’autrice sottolinea come il testo di Strindberg sia stato effettivamente poco rappresentato, per le motivazioni già evidenziate sopra, ma abbia goduto di particolare attenzione da parte dei critici. La Balzamo cita tra i primi studiosi di Strindberg, Martin Lamm (1880-1950) il quale, nonostante fosse un profondo conoscitore dell’operato del drammaturgo e le sue teorizzazioni siano valide tutt’oggi, nel criticare A Dream Play rimase, suo malgrado, particolarmente superficiale. Durante gli anni 30 e 40 la tendenza fu quella di basare l’analisi sul presunto contrasto tra Il sogno e i testi appartenenti al periodo naturalista del drammaturgo, arrivando a confermare quanto sostenuto anche da Lamm, cioè che il testo non avesse una vera a propria trama ma si componesse di una meccanica successione di statici tableaux. Durante gli anni 70 e 80 la critica mise in rilievo invece la profonda unità del testo e Gunnar Ollén sottolineò come questa interpretazione fosse possibile solo ristabilendo l’unione tra il testo e la biografia dell’autore.

Prendendo sempre come punto di partenza la pièce A Dream Play, Sven Heed, conduce la sua riflessione sul teatro strindberghiano e il post moderno nel saggio Postmodern Strindberg-or the End of Gravity, descrivendo come la messa in scena di questo testo ad opera di Bob Wilson il 14 novembre 1998 abbia prodotto un accesso dibattito sull’estetica teatrale in Svezia, tra coloro che condivisero le scelte artistiche del regista e quelli che si sentirono provocati nel vedere rappresentato Strindberg con modalità differenti da quelle “tradizionali”, non compatibili con la sensibilità degli spettatori svedesi. L’autore procede nel riportare alcuni esempi di allestimenti di Strindberg, sia in Svezia sia all’estero, per dimostrare come la produzione di Wilson non fosse un episodio isolato. L’autore trova qui conferma della sua tesi per cui il teatro di Strindberg possa essere considerato un precursore del post-modernismo o del teatro post-drammatico.

Il volume raccoglie anche i contributi di due importanti studiosi italiani della drammaturgia nordica: Roberto Alonge e Franco Perrelli. Alonge propone una riflessione sull’opera di Strindberg Fröken Julie (La Signorina Julie) scritta nel 1888, avvalendosi delle teorie freudiane. Dopo aver analizzato le scene salienti del dramma (la partecipazione eccitata di Julie alla festa della servitù, il suo ballo sfrenato con Jean, i progetti dei due dopo la notte trascorsa insieme, la rapida disillusione sulla possibile fuga per mancanza di soldi e per l’intervento di Kristin fino al tragico epilogo) l’autore illustra come in quest’opera si compia una metaforica doppia mutazione di genere: Julie, la donna si tramuta in uomo, mentre  Jean compie il percorso inverso e ipotizza che questo spostamento di identità e di ruoli possa essere ricondotto alla teoria della bisessualità di Freud. Un altro dei pilastri del padre della psicanalisi è  il complesso della castrazione, che Alonge ravvisa nella decapitazione dell’uccellino di Julie da parte di Jean, in quella del santo festeggiato in quel giorno (Giovanni Battista) e anche nella morte della contessina che si taglia le vene con il rasoio datole dal servo. L’autore alla fine del saggio individua nei personaggi la volontà di riappropriarsi del “piacere di essere donna”: Jean nella prima parte quando gioca sulla resistenza e sul rifiuto delle avances di Julie, e la ragazza quando nella seconda parte viene umiliata e rifiutata.

Franco Perrelli invece focalizza la sua attenzione sull’analisi della copia del libro, appartenuto a Strindberg, pubblicato dal teorico e autore di teatro Georg Fuchs (1898-1949) nel 1905 The Theatre of the Future (Il teatro del futuro), nel quale lo studioso ha ritracciato la presenza di una notevole quantità di sottolineature, indicative dell’attenzione che il drammaturgo svedese ebbe nel leggerlo. The Theatre of the Future raccoglie gli scritti riconducibili alla prima parte della riforma teatrale teorizzata da Fuchs, in cui sono rintracciabili anche delle assonanze con le teorie sviluppate in quegli anni da Gordon Craig e Adolphe Appia.

Sulla ricezione dell’opera di Strindberg si sofferma Sanda Tomescu Baciu ripercorrendo, nell’articolo On the Reception of August Strindberg’s Drama in the Romanic Theatre, la diffusione del suo teatro in Romania nel corso del Novecento ; a questo riguardo attua una periodizzazione così suddivisa: dai primi anni del secolo alla prima Guerra Mondiale; il periodo tra le due guerre; il regime comunista e il periodo successivo al 1990. 


di Elena Peruzzo


copertina rivista

cast indice del volume


 



 
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