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Stefano Massini

Trittico delle Gabbie


Milano, Ubulibri, 2009, pp. 106, € 14,00.
ISBN 9788877483140

Il Trittico delle Gabbie di Stefano Massini è formato da testi scritti e trasferiti sulla scena in momenti diversi, dal 2006 al 2008. Condividono l’ambientazione nel parlatorio di un carcere, luogo deputato al dialogo, che diventa situazione di “parlare senza comunicare”, specifica il giovane drammaturgo fiorentino. Nella breve introduzione al volume titolata Istantanee dal caos, l’autore dichiara il “nucleo propulsore” dell’opera: “quel mare che divide le idee dal reale, per umiliare – appunto nella melma del reale – l’altisonanza dei dogmi, assunti e propositi morali”. Questa “trincea dei rapporti fra persone, scoperchiata e fotografata nel bioparco umano di un parlatorio carcerario”(p. 13), produce un linguaggio scarno ed essenziale, segnato da frasi interrotte da frequenti pause e silenzi, battute taglienti, situazioni in cui i personaggi parlano senza essere ascoltati.

Emblematica in merito è La gabbia (figlia di notaio). Una madre, scrittrice di romanzi commerciali, visita per la prima volta la figlia ex brigatista non pentita e in carcere da una decina d’anni. Sono due corpi freddi. Animano un conflitto di sguardi. Quando si parlano, le parole diventano taglienti. Nora, la figlia, si barrica dietro la ferrea ideologia brigatista di critica radicale al mondo. Si dichiara fiera di aver ucciso. Si è costruita la sua gabbia mentale, secondo processo identico, pur con esiti diversi, di quello della madre, in quanto derivano entrambi dalla stessa posizione verso il mondo: “Ci fa schifo la realtà e (…) io e te – cerchiamo di scappare”, osserva la madre. Per un momento si uniscono due solitudini.

I protagonisti di Zone d’ombra, il secondo testo del Trittico delle Gabbie, presentano una situazione cronologica rovesciata rispetto a La gabbia (figlia di notaio), ma mantengono lo stesso legame di parentela. In carcere si trova il padre, un affermato professore universitario colpevole di aver concesso l’autorizzazione per la costruzione di un condominio su un terreno friabile, provocando un disastro. Gli fa visita la giovane figlia violinista, arrivata in fretta e furia dall’estero. L’uomo appare provato e distrutto. Lo scandalo, del quale hanno parlato i giornali, ha distrutto la reputazione della famiglia borghese. Aleggia un’atmosfera di tensioni ed emozioni, i dialoghi sprigionano un drammatico senso di tenerezza e di affetto. Ad un certo punto il professore dice una frase emblematica: “Mi sono sempre creduto uno di larghe vedute (…). Una mente aperta…Forse – o senza forse – sono molto più rigido di quanto pensassi. A volte le gabbie non si vedono, sono trasparenti. Ma pur sempre gabbie sono.”  E nelle gabbie ci sono le “zone d’ombra”, in cui si annidano, come serpenti velenosi, le cose della vita volutamente dimenticate, perché insidiose e inquietanti, come quelle nascoste dal professore per motivi legati alla carriera. In questa danza infernale di disumanizzazione o umanizzazione ritrovata e risucchiata dalle sabbie mobili, l’ultima domanda della figlia, ripetuta cinque volte, diventa un drammatico e inutile appello di verità: “Che altro c’è nell’ombra?”

Versione dei fatti, il testo conclusivo del Trittico delle Gabbie, si articola lungo l’asse di un dialogo sconnesso e inconcludente tra un’anziana signora, accusata di aver causato la morte della figlia tenuta in vita per sedici anni in modo artificiale, e una giovane legale incaricata alla sua difesa d’ufficio. Il dialogo si sviluppa in modo violento. E’ uno scontro tra le parole evasive della detenuta (“Chi sono…Non lo so”) e il rigore formale della giovane avvocatessa che cerca di ricostruire la Versione dei fatti per preparare la difesa dell’assistita in sede processuale. Solo alla fine essi sono dichiarati: “(…) in quella stanza bianca c’è (…) un corpo. (…) Non si muove. Non parla. (…) Non una persona: un corpo. (…) la stanza è piena di macchine.” La verità sottesa al gesto omicida diventa drammatica nella sua ovvietà: “(…) Non ho ucciso il corpo. Ho ucciso la macchina”.

 Con questo Trittico delle Gabbie Massini dimostra lucida padronanza della scrittura teatrale, in grado di affrontare scottanti problematiche della nostra contemporaneità, come del resto ha fatto in altre opere pubblicate da Ubuliri, quali Una quadrilogia (L’odore assordante del bianco, Processo a Dio, Memorie del boia, La fine di Shavuoth) e la toccante Donna non rieducabile. Memorandum teatrale su Anna Politkovskaja.




di Massimo Bertoldi


Trittico delle Gabbie

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