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Laura Peja

Strategie del comico


Firenze, Le Lettere, 2009, pp. 261, € 22,00
ISBN 88 6087 212 X

Parlare di comicità in teatro può assumere significati diversi. Gli attori comici sono quelli che fanno ridere il pubblico, ma soprattutto sono coloro che mettono in atto un metodo di lavoro diverso da quello del teatro “ufficiale” poiché sono per lo più soli di fronte allo spettatore ed è nel rapporto con esso che costruiscono il proprio testo drammaturgico. Questo secondo aspetto è evidenziato dal fatto che il termine “comico”, fino al secolo scorso, andava a designare l’interprete dell’arte drammatica tout court. Partendo da questo assunto Strategie del comico di Laura Peja ricostruisce la carriera artistica di tre attrici che hanno caratterizzato la scena novecentesca italiana (Franca Valeri, Franca Rame e Natalia Ginzburg) e focalizza l’attenzione soprattutto sulla loro produzione drammaturgica, considerando la scrittura come «tecnica teatrale». In tal modo propone anche un esempio di come il Novecento sia un secolo che ha completamente cambiato il suo assetto comunicativo mettendo in discussione la pratica scenica che va a sconfinare in altri mezzi di comunicazione e modifica profondamente il pubblico.

Laura Peja mostra come l’atteggiamento assunto di fronte agli argomenti trattati e le strategie attuate dalle tre artiste prese in esame sia molto diverso: la Valeri e la Ginzburg propongono un approccio indiretto, burlandosi della società e delle donne che ne fanno parte e promuovendo un’opera apparentemente innocua che nasconde una potenziale denuncia, mentre la Rame, con un intento propriamente ideologico e politico, si esprime in modo aggressivo, rivoluzionario e diretto. Il libro è anche un’occasione per mostrare come era messo in discussione e promosso il cambiamento dell’immagine e del ruolo della donna nella società italiana tra gli anni Cinquanta e Ottanta. Infatti, mentre l’attività della Valeri compre sessant’anni di storia nazionale (dal debutto da protagonista nel 1948 fino a oggi), quella della Rame si afferma nel periodo di maggiore fermento politico e sociale (anni ’60 e ’70) e quella della Ginzburg copre gli ultimi trent’anni del secolo.

Dopo un primo capitolo introduttivo, il secondo è incentrato su Franca Valeri e sulla sua attività in ogni campo dello spettacolo (cinema, teatro, radio, televisione): dall’esordio radiofonico del 1949 con la creazione del personaggio della “Signorina Snob”, in cui confluiranno tutta la varietà dei suoi tipi femminili, all’esperienza di rivista con il Teatro dei Gobbi e alla stagione d’oro del cinema con Risi, Monicelli e Sordi. La Valeri si esprime soprattutto con gli spettacoli monologanti, da lei stessa scritti, che ritraggono donne perdenti alla ricerca di un riscatto sociale che difficilmente ottengono; forte è la caricatura degli snob, degli intellettuali e degli arricchiti. Elemento centrale della sua comicità è l’aspetto verbale, la caratterizzazione del personaggio attraverso delle scelte prettamente linguistiche, a cui si aggiunge l’ironia che guarda con leggerezza alla realtà e ne rivela maggiormente le dinamiche sociali e la loro esasperazione.

Il percorso politico-teatrale di Franca Rame è delineato nel terzo capitolo, sottolineando la grande importanza del ruolo svolto dall’attrice e autrice nella collaborazione con il suo compagno Dario Fo. L’impegno artistico dei due parte dalla necessità di fare politica attraverso il mezzo a loro più congeniale, quindi non meraviglia l’uscita dai teatri ufficiali per direzionarsi verso un pubblico non borghese. La comicità della Rame ha un fine rivoluzionario e quindi si fonda sulla predicazione e provocazione, con lo scopo di risvegliare nel pubblico l’indignazione. Etichettato spesso come teatro femminista, l’autrice dimostra come in realtà le tematiche femminili, seppur frequenti, siano  tutt’altro che centrali, avendo un riscontro soprattutto politico e sociale.

Esaltata dal punto di vista editoriale ma molto criticata come drammaturga, la figura di Natalia Ginzburg (analizzata nel quarto capitolo) rimane oggetto di incomprensione e la sua scrittura teatrale viene spesso tacciata come «spicciola», banale e di basso livello letterario. Approdata al teatro in ritardo rispetto alla sua carriera di romanziera, caratterizza le sue opere con un linguaggio medio-colloquiale e con una sintassi lineare, affrontando con estrema leggerezza e semplicità gli aspetti del quotidiano. Prevale un atteggiamento ironico e autoironico, come decostruzione dell’illusoria pretesa dell’essere umano di conoscere e dominare il reale, in una prospettiva sociale ed esistenziale; per cui le diverse tecniche umoristiche sono impiegate in vista di tale progetto di smitizzazione e ridimensionamento. La mancanza di azioni salienti e la predominanza della parola permettono di catalogare le sue pièces in quella forma teatrale chiamata «dramma-conversazione» tipica della drammaturgia contemporanea europea.

Il libro è corredato di una serie di appendici (quali gli inserti fotografici, le note biografiche delle tre artiste con le relative teatrografie e filmografie), di una bibliografia molto dettagliata e dell’elenco di altri supporti multimediali correlati (video e discografia).

 

di Mariagiovanna Grifi


copertina

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