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Oriana Fallaci

I sette peccati di Hollywood


Milano, Rizzoli, 2009, p. 238, € 10,00
ISBN 9788817028363

Il 9 gennaio 1956 Oriana Fallaci vola a New York per compiere l'impresa che qualsiasi altro giornalista, a parte lei, vorrebbe portare a termine: intervistare Marilyn Monroe. Conscia dell'estrema difficoltà della cosa, chiede aiuto al regista Jean Negulesco, portandogli come ricompensa per l'impegno dodici camicie fresche di sartoria. L'incontro con la diva più diva di tutte non avverrà mai (troppo difficile anche per l'Oriana nazionale), ma «L'Europeo», due anni dopo, deciderà di rispedirla nuovamente in America per scrivere una serie di reportages sulla Mecca del cinema: Hollywood.

Col piglio della turista maliziosa e snob, la Fallaci si addentra dunque nel mondo patinato e fuori dal tempo di Hollywood, andando a visitare le sontuose dimore degli attori, partecipando alle loro feste esclusive, osservandoli mentre la domenica vanno a messa, entrando negli studios, confrontandosi con i produttori indipendenti, condividendo con questi uomini e donne - per metà esseri umani e per metà immagini da rotocalco - sogni, desideri, passioni, disillusioni. Ironica, profonda, divertita, caustica, irriverente, a tratti ingenua (sì, proprio così: leggetevi la prima parte dell'intervista con "l'imperatore" De Mille), parla con i suoi interlocutori passandoli sotto la lente scomoda e inaspettata (per loro) della verità. Il racconto di questa esperienza diventerà poi il suo libro d'esordio, I sette peccati di Hollywood, pubblicato da Longanesi nel 1958 e riapparso da qualche mese nelle librerie, grazie alla collana BUR, che ha rieditato tutte le sue opere.

E' un libro divertente, scritto in una prosa che ti prende per lo stomaco, piena zeppa di battute e osservazioni fulminanti, tipica di una come lei, che si era messa l'elmetto per andare in pasto ai leoni di Hollywood e ne era uscita tutto sommato bene. Il segreto? La distanza siderale d'osservazione del suo occhio; laddove chiunque si sarebbe abbassato e si sarebbe messo prono di fronte alla smisurata grandezza dell'empireo delle star, la venticinquenne Fallaci discute e ne parla come un corpo estraneo (e lo era sul serio) innestato felicemente in un luogo dove poter dar man forte a tutta la sua professionalità. Ne è la prova che uno dei più geniali e irregolari mostri sacri di quest'Olimpo della modernità, Orson Welles, la notasse come una «che sa nascondere la giornalista più agguerrita sotto la più ingannevole delle maschere femminili». I due si conoscono a una festa, si piacciono, si scambiano favori: è il regista-attore a scrivere la prefazione del libro.

Distacco, si diceva, ma anche un innegabile senso di pietas. E come fare altrimenti, di fronte a un posto tanto ricco e sfavillante, quanto crudele e ipocrita, dove niente è quello che appare, e in cui tutto diventa spettacolo a pagamento, compresa la morte? Sono molti di più i dolori, rispetto alle gioie, che si leggono su queste pagine: si prenda ad esempio la triste vicenda della piccola Judy Garland, che avrebbe solo voluto mangiare cioccolata e cantare e invece si trasformò in un elefante bulimico costretto a vivere con le pillole sul comodino a ogni ora. Il ritratto impietoso della macchina fabbrica-divi hollywoodiana e di tutte le sue "storture" (dai pierre agli uffici stampa, dalle eccentricità programmate al più miserevole puritanesimo) prende la forma delle piscine multiformi degli attori nuovi Neroni, del vip watching (rovinarsi la vita inseguendo questa o quella star), del sogno americano (trasformare una ragazza qualsiasi in un'immagine che frutta milioni di dollari a palate, come Kim Novak), dei matrimoni montati e rimontati come in un film, del narcisismo sfrenato di Frank Sinatra (con 2000 cravatte all'attivo), del falso maledettismo di Marlon Brando, delle feste di casa Cotten, dove tutti alla sua vista smettono di bere burbon e si mettono a sorseggiare aranciata, dell'inconsistenza di Elvis e dell'audacia spericolata di Burt Lancaster, dell'assenza del privato ecc. Insomma, tutto quello che era, è e sarà sempre Hollywoood: un luogo sfavillante e miserevole di inganni, sul cui Sunset Boulevard si consumano le carriere e le vite di tante statue di cera.

Del resto, scrive la stessa Fallaci: «la storia di Hollywood è tutta qui. Vi hanno sempre dominato i più energici, i più aggressivi, i più fortunati, quelli che sono spinti da un'avidità molto forte di 'fare' e di guadagnare. E ciò impedisce a Hollywood di finire. A ogni crisi, rinasce: la ragazza-platino, il sistema nuovo di produzione, lo schermo gigante, la medicina dei vincitori. E costoro, rimettendo in moto questa pazzesca macchina di illusioni e di quattrini, non fanno che mantenere Hollywood come è sempre stata: coi suoi miti e i suoi peccati... a Hollywood non si muore mai».

 

di Marco Luceri


Copertina

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