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Segnocinema, anno XXIX, n. 156, marzo-aprile 2009
Rivista cinematografica bimestrale

n. 156, anno XXIX, p. 80, € 6,00
ISSN 0393-3865

Di che cosa parlano i film? Che cosa raccontano? Domande scontate, se non fosse che uno dei (tanti) grandi rimossi della storiografia e della critica cinematografica è proprio quello dell'analisi delle idee narrative che stanno alla base dei film. Provano a porre un argine a questa mancanza Luca Bandirali ed Enrico Terrone in Di che cosa parlano i film, il breve saggio che apre il n. 156 di Segnocinema e che nelle intenzioni degli autori costituisce una prima e sistematica elaborazione teorica di una pubblicazione futura. Per avere dunque ben chiari il modello narrativo e l'assetto discorsivo del film i due critici analizzano tutte le fasi che di elaborazione del testo scritto, dalla sceneggiatura (il progetto del film) allo story-concept (il nucleo embrionale di questo progetto) e alle sue formulazioni. Lo schema che ne deriva è quello impostato su una sequenza che prevede la definizione di uno spazio-tempo, cioè di un contesto in cui si muovono i personaggi, le relazioni che intercorrono tra essi e tra essi e il contesto, il principio dell'azione che governa i loro movimenti, la creazione di una situazione conflittuale che tende a un obiettivo finale. Al pari poi dello story-concept, rispetto al quale svolge una funzione complementare, il tema è uno strumento decisivo nella costruzione e nell'analisi della sceneggiatura, in quanto denominatore comune, risposta essenziale alle domande: "da che cosa dipende il conflitto?" e "di che cosa tratta il discorso"? In seguito, lo sviluppo coerente di un tema, in sceneggiatura, porta poi all'elaborazione di una linea narrativa di azioni concatenate, preceduta però dall'intenzione tematica, per cui il tema deve essere configurato da un punto di vista. Riassumendo, Bandirali e Terrone propongono una griglia analitica in cui analizzare il rapporto complementare tra story-concept e tema: il conflitto nega il soggetto, l'azione sviluppa il predicato, l'obiettivo tende all'affermazione del soggetto e alla consapevolezza del predicato.

I due saggi successivi spaziano in due ambiti storico-analitici differenti. Paolo Cherchi Usai, nella sua rubrica Gli anni luce, si interroga su quanto il "Canone" abbia influenzato la fortuna storiografica di tanti film; esso è utile soprattutto allo spettatore, al quale fornisce un griglia di riferimento che gli permette di navigare nella storia del cinema al riparo da delusioni e malintesi e gli dà la certezza di appartenere a una comunità del gusto. Un'operazione tuttavia non priva di insidie perché può rendere prigionieri della tradizione: tradire il Canone è dunque sempre necessario. Carbone invece ne L'occhio del Duemila torna sul rapporto (assai fecondo in gran parte del cinema contemporaneo) tra cinema e videogame, reso possibile oggi più che mai da un consumo culturale sempre più dominato dal digitale, che sta nuovamente riscrivendo le interazioni tra reale e immaginario. La prospettiva dell'analisi è quindi da una parte culturale e storiografica, ma dall'altra anche estetica e semiotica e si pone l'obiettivo di formulare un orizzonte teorico di continuità e non di contrapposizione tra le due arti.

Lo speciale di questo numero, curato da Flavio De Bernardinis, intende verificare la questione di un'estetica del cinema. Gli interventi sono di Adriano Aprà (che ricostruisce il suo rapporto pluridecennale con l'opera e il pensiero di André Bazin), di Walter Bruno (che riattualizza la lezione di Walter Benjamin), di Andrea Ballavita (che traccia una mappa del mare magnum dei rapporti tra cinema e arti contemporanee) e di Nicola Dusi (che riflette sulla rotta ultimamente un po' appannata che accomuna cinema e semiotica). Lo speciale si conclude infine con l'illustrazione del coraggioso progetto di "analisi ipermediale" a cui sta lavorando Aprà e che intende ri-scrivere la storia del cinema attraverso le tecniche utilizzate nei film (dall'uso del Technicolor alle focali, dalle coperture angolari alla scala dei piani ecc.).

Nella rubrica "Festival e rassegne" Davide Turrini fa un primo bilancio dell'ultima e deludente edizione del Festival di Berlino, mentre Adelina Preziosi tesse le lodi della ventesima edizione del Trieste Film Festival che quest'anno ha dedicato l'omaggio a un autore complesso e originale come Walerian Borowczyk. Per le altre rubriche segnaliamo: il bel ritratto che Bruno Di Marino ha fatto di Jean-Paul Goude, l'artista francese che ha rivoluzionato negli anni Ottanta il mondo della pubblicità; la sorprendente e acuta analisi che Cristina Jandelli compie sulla recitazione del divo che si è imposto quest'anno e cioè Barak Obama (che come aveva fatto Rodolfo Valentino nella Hollywood degli anni Dieci, durante la campagna elettorale si è allontanato dallo stereotipo mimico-gestuale dell'afroamericano, per affermarne un altro, quello misurato, decoroso e quindi – agli occhi degli americani - pieno di virtù); infine, un viaggio nel distorto paesaggio sonoro di Paranoid Park di Gus Van Sant, firmato da Paola Valentini.

 

Marco Luceri


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