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Edipo re, variazioni sul mito
Variazioni sul mito
A cura di Guido Avezzù

Venezia, Marsilio, 2008, pp. 369, € 9,00
ISBN 978-88-317-9604-0

Prosegue l’iniziativa editoriale avviata da Marsilio, che nella collanaVariazioni sul mito” curata da Maria Grazia Ciani propone un confronto tra rielaborazioni teatrali dello stesso soggetto secondo scritture antiche e moderne. Ai volumi dedicati a Romeo e Giulietta, Elena, Medea, Fedra, Alcesti, Anfitrione, Antigone, Elettra, Don Giovanni e Orfeo, ora si aggiunge la raccolta di testi che Guido Avezzù propone per inquadrare Edipo.

E’ a partire dall’inizio del ‘900, soprattutto a seguito della lettura psicoanalitica dell’Edipo Re di Sofocle avanzata da Sigmund Freud (L’interpretazione dei sogni, 1899) e di Edipo e la Sfinge di Hugo von Hofmannsthal, che la tragica vicenda del re di Tebe supera il confine del capolavoro teatrale e diventa paradigma di esperienze di disagio vissute dalle generazioni del secolo detto “breve”. In merito, Avezzù ricorda nell’Introduzione la figura emblematica di Jim Morrison, cantante dei Doors, che in The End (1967) invoca il parricidio e il matricidio.

L’antologia si apre con il testo-archetipo del mito, Edipo Re di Sofocle (traduzione di Maria Grazia Ciani). Il nucleo basilare della tragedia era già presente nel patrimonio popolare e letterario greco (nell’Odissea, per esempio, sono ricordati il parricidio, l’incesto e il suicidio della madre-moglie). Sofocle introduce il tema della cecità autoinferta alla fine di un percorso di ricerca e di conoscenza di se stesso. “Ed è questo a farne quasi il mito per eccellenza dei nostri contemporanei”, poiché “l’auto accecamento diviene l’emblematica cicatrice di una tragica volontà di sapere”, sottolinea Avezzù (p. 13). Se il capolavoro sofocleo è ambientato a Tebe devastata dalla peste, voluta dagli dei in quanto l’assassino di re Laio (che si scoprirà essere Edipo) è ancora impunito, nella rielaborazione dell’Edipo di Seneca il contesto cambia radicalmente. La città di Tebe è presente solo nell’archivio della memoria ed è ricordata dalle parole del coro. Il commediografo latino pone in primo piano la peste e ne sottolinea le devastazioni provocate nella convivenza umana. La paura dell’epidemia contagia Edipo che vive con terrore la profezia del parricidio e dell’incesto. Il re si interroga molto, fino all’ossessione. Rispetto a Sofocle, Seneca anticipa il dialogo con la madre-moglie Giocastra, e questo comporta un lieve ottimismo per la salvezza della città. Tuttavia Edipo rimane prigioniero di timori e inquietudini. Tira il “filo sottile della memoria” e fotografa le fasi del terribile delitto compiuto verso Laio.

Nell’Edipo romano cambiano le sequenze finali: il re di Tebe si acceca prima del suicidio della madre, la quale non si impicca ma si trafigge usando la spada del figlio e del marito. L’ultimo dialogo con la madre lo condanna all’appartenenza alla stirpe, a connettersi al padre assassinato, e a vivere una “morte lunga”.

Dopo le prove antiche di Sofocle e Seneca, il mito di Edipo conobbe un lungo silenzio. Ritornò d’attualità nel Rinascimento. Il 3 marzo 1585 Edipo tiranno, versione sofoclea curata da Orsetto Giustiniani, inaugurò il Teatro Olimpico di Vicenza. Nelle versioni elaborate nei secoli XVI e XVII il dramma non risulta incentrato sulla sorte individuale di Edipo, coinvolge l’intera corte e le sue dinamiche, come dimostrato dall’Edipe di Pierre Corneille, rappresentato nel 1659 e ispirato a Sofocle e Seneca e dall’Edipo di Emanuele Tesauro del 1661. Il rifiorire del mito sulla scena europea è testimoniato dalla produzione di una ventina di versioni nel Seicento e di dodici nel secolo successivo. Tra queste spicca per il carattere innovativo Oedipus di John Dryden e Nathaniel Lee che si legge nella traduzione di Marisa Sestito. Portata in scena a Dorset Garden nel 1678. L’opera si enuclea dalla contrapposizione, tipica dell’epoca, tra barbarie e modernità così riassunta da Friedrich Hegel: “Nello Stato non possono esserci eroi; essi compaiono solo nello stato di barbarie”.              

I drammaturghi inglesi mettono in primo piano la questione della legittimità regale. Il potere di Edipo si basa su un reale fondamento dinastico, suffragato dal conferimento del popolo. Nel  testo entrano nuovi personaggi, che colorano la vicenda di intrighi amorosi, trame di potere e tensioni secondo il costume praticato dalle corti dell’epoca. Tra le tante novità introdotte da Dryder e Lee spicca il risalto dato al controverso rapporto tra Edipo e Giocastra, unitamente alle soluzioni conclusive della tragedia. La donna, per esempio, assassina i figli dell’incesto e si ferisce mortalmente, mentre Edipo si uccide gettandosi dall’alto del palazzo dove precedentemente era stato imprigionato, per raggiungere la madre-moglie.

Completa la ricognizione drammaturgia del mito di Edipo, la pubblicazione de La Machine infernale di Jean Cocteau (traduzione di Tobia Zanon). Preceduta nel 1925 da una libera traduzione di Edipo Re e dalla stesura del libretto usato da Igor Stravinskij per comporre Oedipux rex (1927), questa importante rielaborazione novecentesca fu scritta nel 1932 a Saint-Mandrier, vicino a Tolone nel 1932, per poi essere rappresentata due anni dopo la Louis Jouvet. Il testo è una libera riscrittura della fabula antica, che si basa su quattro fondamentali snodi narrativi, quali l’arrivo di Edipo a Tebe, il suo incontro con la Sfinge, la prima notte d’amore con Giocastra e la condizione del protagonista diciassette anni dopo. Come in Dryden, domina la figura di Giocastra, che, seguendo la lezione sofoclea, si uccide impiccandosi con una sciarpa, per poi riapparire nelle sembianze di un fantasma, “candida e bella”, e nel ruolo di madre (“tua moglie è morta impiccata, Edipo”) per aiutare i figli ad affrontare il mondo.

di Massimo Bertoldi


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