Gianni Poli è autore di un eccellente profilo del teatro francese del secolo XX (Un secolo di teatro francese 1886 – 1986, Firenze, Le Lettere, 1999) e di numerose monografie sul medesimo tema. Adesso ci propone il primo volet di un dittico che appare necessario e significativo. Due ritratti di protagonisti della scena francese che sono anche protagonisti assoluti dello spettacolo contemporaneo: Jean Vilar (1912 – 1971) e Jean–Louis Barrault (1910 – 1994). A questa prima parte seguirà una seconda, dedicata a Antoine Vitez e a Patrice Chereau. Ma è vero quello che lautore dichiara in apertura di questo libro, in una breve nota in corsivo: la commemorazione dei protagonisti comporta comunque la rievocazione di molti altri compagni di strada e, di conseguenza, di quellaffollato panorama di opere e compagnie e talenti che costituisce uno dei patrimoni più significativi del teatro novecentesco europeo.
Il racconto delle due diverse avventure artistiche offerte in questo primo volume è sostenuto da altrettante bibliografie imponenti che si offrono al lettore come strumenti di base di grande solidità, comprendendo rinvii alle fonti primarie degli archivi, agli scritti dei due artisti, alle loro interviste, agli studi critici sullopera complessiva e sui singoli spettacoli, alle fonti audiovisive e addirittura alle tesi di laurea ad essi dedicate. Non è comune una tale accuratezza, soprattutto nella bibliografia italiana, dove è più facile trovare contributi squisitamente letterari sulla scena francese del dopoguerra oppure sbrigative cronache dei più recenti avvenimenti registrati spesso con uno sguardo giornalistico.
Poli affronta lo studio di due personalità rilevanti come Vilar e Barrault con la pazienza e la cura che si dedicano solitamente ai classici della letteratura, seguendo unordinata procedura ermeneutica che lo vede compulsare con analitico rispetto tutti i contributi critici (soprattutto francesi, ma non solo) che si sono nel tempo affollati, dimostrando di ascoltare – cosa rara – tutte le voci che, anche contradditoriamente o temerariamente, si sono succedute. Il libro può anche essere letto trasversamente, a seconda degli interessi, come un profilo della francesistica contemporanea o come una storia dello spettacolo transalpino. Il punto di vista infatti è, alternativamente, quello dello storico (attenta e continua è la scansione della diacronia in entrambi profili) e quella dellanalista (le opere e le messinscene sono pazientemente radiografate una per una).
Non si tratta quindi di un libro che giustappone due monografie, quanto piuttosto di un libro che, attraverso due monografie, traccia in realtà linedito – soprattutto per lItalia – disegno di una civiltà dello spettacolo. Non mancano riferimenti a documenti inediti, anche iconografici e audiovisivi, ma lofferta principale è quella della discussione estetica, nella quale Poli è da tempo un esperto meneur de jeu: significative le pagine dellintroduzione, nelle quali, districandosi con leggerezza fra i diversi contributi della critica, Poli fornisce le coordinate del suo punto di vista. Seguono, simmetrici nelle due parti, i capitoli dedicati alle Coordinate biografiche di Vilar e Barrault, poi le pagine fittissime che percorrono la diacronia degli spettacoli e, infine, alcune pagine di bilanci.
Di Vilar si registra, in definitiva, la contraddizione fra laspirazione a un repertorio classico di alto profilo e lansia di partecipare al rinnovamento del presente più concreto. Di Barrault si sottolinea la distanza antipodica da chi, come Artaud, partendo dal corpo negò ogni rappresentazione e perseguì invece un progetto che proprio sul corpo fondava la sua forza. Entrambe le biografie sono così accomunate da unidea agonistica e utopica della vita e del teatro, per cui, in una stagione straordinaria della cultura europea, il successo «è un incitamento e un conforto, mai un alibi» (p. 122).
di Siro Ferrone
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