Cineforum 479 si apre con lo speciale sul film che ha vinto lultimo festival di Cannes, La classe che Laurent Cantet ha tratto dallomonimo libro di François Bégaudeau. Tre articoli e unintervista al regista francese se da un lato sottolineano limportanza e la riuscita del film, dallaltro evidenziano come la forte metafora che sta alla base del soggetto (le lezioni di un professore di francese in una classe multietnica di una scuola media alla periferia di Parigi), limiti, più che in altre occasioni, la possibilità di giustapporre punti di vista diversi sulla sostanza dellopera.
Giampiero Frasca nel suo Campo e controcampo si sofferma su problematiche di carattere stilistico-formale, sottolineando come la divisione tra insegnante e studenti sia evidente già nelle inquadrature che raramente li comprendono insieme. Più concentrato sul personaggio del professor Marin (interpretato dallo stesso Bégaudeau), sui suoi errori e sulle sue incertezze risulta essere I conflitti del silenzio di Roberto Chiesi. La misura delle mura di Francesca Betteini-Barnes D. fa rimpiangere una volta di più limpossibilità (tutta italiana) di vedere i film nella loro versione originale (specie un film così "parlato" come La classe), evidenziando come sfugga alla versione italiana la ricchezza delluso, da parte degli studenti, dellargot, ovvero della "lingua delle banlieues", e del verlan, provocatorio gergo che si basa sullinversione sillabica (verlan deriva proprio dallinversione di "à lenvers", al contrario), che non trovano un corrispettivo in italiano. Lo stesso termine "sgallettate", indirizzato dal professore alle rappresentanti di classe è ledulcorata traduzione di petasses, parola che risulta letteralmente molto vicina a "bagasce" e che rende più spiegabile la violenta rivolta dei ragazzi verso lo stesso professore, cosa che, nella versione italiana, risulta quantomeno eccessiva e pretestuosa. Lintervista al regista non aggiunge molto di nuovo se non il fatto che, a riprese avvenute (circa centocinquanta ore di girato in digitale), non fosse più così chiaro il progetto di farne solo un film per il grande schermo, ma anche una versione più lunga per la televisione; idea poi accantonata, ma che fa chiaramente capire come le differenze tra il linguaggio televisivo e quello cinematografico, si vadano notevolmente sfumando soprattutto nella visione degli stessi registi.
Particolarmente ricca è la sessione dedicata alle schede dei film del mese, soprattutto perché riguardano opere di notevole livello. Tra queste segnaliamo la bella recensione di Pier Maria Bocchi su The Hurt Locker, il film sulla guerra in Iraq di Katrin Bigelow, dove lopera viene scomposta in otto movimenti, come se fosse un brano musicale, ricostruendo così ritmicamente le fasi del racconto, sottolineandone i momenti di espansione e di compressione dello spazio filmico nel quale la pattuglia di artificieri è chiamata ad operare (anche se, a mio avviso, manca lanalisi del ritorno a casa del protagonista che non ha la durata dei precedenti movimenti, ma che rappresenta un epilogo, ad libitum, quanto mai significativo). Addirittura due sono gli articoli che riguardano uno dei film più belli della stagione ovvero Wall-E lultimo capolavoro animato di casa Pixar; particolarmente ispirato risulta quello di Mattia Mariotti, che mette in relazione il robot protagonista con Totò e Ninetto di Che cosa sono le nuvole? di Pier Paolo Pasolini (anche loro "dimenticati" in una discarica), mentre Alberto Pezzotta, in Umano, troppo umano, ci parla dellanimazione digitale, dei suoi progressi e di come il regista Andrew Stanton e la Pixar siano riusciti a realizzare un personaggio "memorabile", pur "ricalcando esplicitamente" la figura di E.T. Si segnalano altresì due articoli su Il matrimonio di Lorna (nuovo capitolo di quella saga degli "ultimi" che è la filmografia dei fratelli Dardenne), ed uninaspettata ottima recensione di Vicki Cristina Barcellona, ultima "resistibile" fatica di Woody Allen.
Segue latteso speciale Tutto Venezia sulla mostra cinematografica del settembre scorso, che, nellarticolo consuntivo di Fabrizio Tassi, viene definita "una brutta annata", soprattutto per quanto riguarda i film in concorso. Queste opere non hanno soddisfatto i redattori di Cineforum, che, infatti, hanno assegnato il loro Leone doro ad una pellicola ingiustamente fuori concorso come Les plages dAgnès di Agnès Varda (una grande lezione di cinema). Sempre fuori concorso sono i film 35 rhums di Claire Denis, Z32 di Avi Mograbi, Melancholia di Lav Diaz ed i corti di Manoel de Oliveira (altra grandissima lezione di semplicità e "secolare" freschezza), ai vertici dellideale top ten della rivista, (dove, comunque, riescono a trovare posto anche i lavori dei "selezionati" Miyazaki, Naderi e quello del vincitore Aronofsky).
Un discorso a parte lo merita uno dei "casi" di questa mostra e cioè la pellicola di José Mojica Marins Encarnação do demônio, un film davvero "estremo" (al limite dello snuff movie), che da più parti è stato indicato come il paradigma della mancanza di coraggio da parte dei selezionatori, che avrebbero dovuto inserirlo tra i film in concorso per la sua grande forza espressiva, la potenza delle sue sequenze e per la tenacia dimostrata dal regista che da più di trenta anni stava cercando di realizzare questa opera. Dopo aver attraversato tutti i generi cinematografici cosiddetti "bassi" (porno compreso), in una sorta di Ed Wood a lieto fine, Mojica Marins è riuscito, finalmente, ad avere riconosciuta la sua dignità di autore in uno dei più prestigiosi festival mondiali. Ovviamente larticolo di Federico Gironi si accoda a questo coro di consensi inserendo, a ragione, il film tra le opere migliori viste alla mostra.
Chiudono il numero due ottime recensioni, vincitrici del Premio Ferrero, sul film di Paolo Sorrentino Il divo e sul "nuovo western" americano, quindi le usuali rubriche Filmese, DVD, Le lune del cinema, Soundtrack e Libri, dove si segnala la recensione della Breve storia del divismo cinematografico (Venezia, Edizioni Marsilio, 2007) di Cristina Jandelli.
Luigi Nepi
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